Quando ero piccola, alle elementari, i miei temi facevano il giro delle altre quattro classi della mia piccola scuola di paese, con l’orgoglio della maestra e la vergogna mia di sentirmi letta ad alta voce. Quasi violata.
Se non fossi olivastra di pelle, sono certa che tutti avrebbero potuto vedere il rossore avvampare sotto l’epidermide come un fuoco estivo.
Mi infastidiva e odiavo le occhiate dei compagni, convinti che copiassi le favole che inventavo da chissà quale magico e antico libro.
Alle medie ed alle superiori ho poi imparato in fretta che la capacità di scrivere quattro cavolate lasciando a bocca aperta i professori (ed intontiti da una marea di scempiaggini), in genere annoiati dalla banalità e degli errori di grammatica, poteva essere un facile lasciapassare per un otto facile facile, buttato lì come una assicurazione perenne sulla propria vita scolastica e sul proprio fancazzismo adolescente.
Ma, a dirla tutta, nel momento in cui vedevo scorrere gli occhi del professore di turno sulle pagine vergate con la mia grafia, un sottile e nascosto senso di nausea veniva a stringermi la gola.
Perché?
Non l’ho mai capita bene questa forma di pudicizia sciocca.
Magari di modestia. O di mancata consapevolezza delle proprie capacità. Ed anche a sentir lodare le mie capacità, un senso di angoscia mi ha sempre stretto la gola e portato a schernirmi, perché non c’ho mai visto niente di particolarmente eccezionale. Insomma, non so fare 1500 piroette consecutive, non sono Picasso e nemmeno Ungaretti.
Oppure, semplicemente, una violazione della propria privacy, dei pensieri che frullano nella mia testolina incasinata e che solo per un puro caso sono finiti lì, impressi tra le righe di un quaderno, accolti dalla carta e cullati dalla penna.
Capite bene, tuttavia, che se tra i propri desideri il più grande è quello di scrivere, questo può essere un problemino da niente.
Per questo, tanto tempo fa, ho aperto un blog.
Per esorcizzare questa paura.
Ed ha funzionato, perché esporsi al pubblico ludibrio tutti i giorni rende la pelle un po’ più dura.
Ma ora mi si pone davanti un problema diverso, più grave.
Il vuoto pneumatico concettuale.
Non riesco a scrivere qualcosa che duri più di quattro o cinque pagine.
Perdo le fila.
Mi annoio.
Regredisco.
O magari è solo pigrizia eccessiva, i neuroni attorcinati dalla vecchiaia o dal troppo pensare.
E allora, dopo aver bruciato i romanzi giovanili scritti fino ai 20 anni sentendosi una delle sorelle Bronte, dopo la formattazione involontaria e dolorosa a causa di un virus dell’hard disk del mio pc di casa e dopo aver mandato a riciclare per più utili e decorosi fini pagine e pagine di soliloqui, mi ritrovo a zero.
Senza un romanzo nel cassetto.
Con la paura di rinunciare ai propri sogni ed il terrore di affrontarli davvero.
La testa prosciugata, come se i Borg mi avessero assorbito tutti i neuroni.
Mille scuse. Mi manca un quaderni adeguato.
La stanza dove tengo il pc è fredda.
O calda.
O troppo isolata.
O rumorosa.
Voglia di rinunciare.
Poi apri la mail, così per sfizio.
“Cara phoebe o come ti chiami davvero, ho letto il tuo blog, o meglio parte del tuo blog..me lo hanno consigliato due giorni fa e nei momenti liberi me lo sto leggendo pian piano mordicchiando qua tra un articolo e l'altro.. sei una grande..davvero..mi sono fatta delle assurde risate davanti al mio portatilino comprato causa tesi bisognosa di supporto tecnologico..ma ho anche riflettuto..alcune frasi messe li tra un piatto di porcellana e una diavoleria thun sono state come uno schiaffo in faccia..brava, brava davvero, mi piace un sacco come scrivi, quello che scrivi, e cosa pensi…” Fra
“Nel tuo blog ci sono capitato non so neanche io come durante uno stanco vagabondare virtuale e ci ho passato un falso batter d'occhio: l'ho letto praticamente tutto fino a giungere in dietro nel tempo agli archivi di dicembre 2004...
Che dire, sei una meravigliosa padrona di casa ed una pungente osservatrice delle dinamiche sociali e delle relazioni umane.
A volte forse un pò troppo pungente (direi perforante) nei confronti di noi
masculi, ma a leggere le tue esperienze (l'avvocato che credeva che il blog fosse una malattia mi ha fatto ribaltare dalla sedia) tanto cinismo sembra addirittura
giustificato. Certo sarebbe interessante sentire "le altre campane", anche se mi sembra assurdo che una come te fatichi così tanto a trovare qualcuno. Forse è vero
che preferiamo le oche. Sigh.
Ad ogni modo hai guadagnato un lettore ed un fan. Non abbandonare mai il tuo blog, in una selva di cyber-monotonia le tue parole sono petali e spine. Necessarie ma
anche no.” Giuseppe
“Il tuo blog è stu-pen-do e mi rispecchio in tantissime cose che scrivi, che vivi... e che racconti di te: anche io ho trent'anni, anche io sono un Capricorno, anche io sono per la maggior parte del tempo single e, soprattutto, anche la mia incrollabile fede nell'amore comincia decisamente a vacillare”. Ldc
E allora un po’ mi rincuoro, e non solo per autocelebrazione.
Anzi. Sempre la mia forma di imbarazzo atavico me lo vieta.
Sto meglio e sorrido, pensando che posso rendere anche solo più allegra la giornata di qualcuno, anche lontanissimo da me. Che non mi conosce e mai lo farà. Forse. Che riesco a far ridere, riflettere, discutere.
Pensando che qualcuno, anche solo una persona, aspetta che io pubblichi la mia prossima accozzaglia di cavolata.
E, con un po’ più di fiducia, aspetto paziente che torni la mia voglia di scrivere.
Tornerà, perché è una necessità come quella di respirare.
Tornerà, magari insieme alla felicità.
Intanto, abbiate pazienza. Anche per me, magari...