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24 maggio 2006 3 24 /05 /maggio /2006 17:00

American psycho è, senza alcun dubbio, uno dei casi letterari del ‘900. Certamente un’opera che fa riflettere, che riempe il cervello anche mentre si è in fila alla Posta o mangiando un’insalata seduti al bar.
Rimane con te.
Nel tuo cervello.
Ed il mondo appare all’improvviso diverso.


Scritto e pubblicato nel 1991, giaceva da circa 2 anni nella pila dei libri da leggere, scavalcato da novità e vecchie glorie, rimesso in fondo alla pila in momenti non adatti, coperto di polvere in attesa pigra del fatidico istante.

“Quando incontro una bella ragazza per strada, mi vengono in mente due cose. A una parte di me gli viene voglia di abbordarla, di parlarle gentilmente e di fare il galante con lei”. Taccio, scolo il mio J&B. “E all’altra parte? Cos’è che gli viene voglia, all’altra parte di lui?” domanda Hamlin. “Di vedere che effetto farebbe la sua testa infilzata su un palo”, dico io.

Il libro, la cui fama è innegabile fu lanciato puntando tutto sulla violenza e sulla morbosità di alcuni suoi capitoli (pochi in verità, anche se in tutti viaggia nascosta e strisciante una violenza inenarrabile), prova ne è il fatto che le riviste Time e Spy pubblicarono come anticipazioni rispettivamente la descrizione di uno scuoiamento e quella di una decapitazione con annessa fellatio, entrambe ai danni di giovani donne, scatenando un tale bailamme soprattutto da parte di associazioni femminili e di genitori preoccupati della purezza della propria prole, che la casa editrice fu costretta a ritardare l’uscita del romanzo (o alimentò il caso,  per giusto per vendere così un numero record di copie, a voler essere tendenziosi…).
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Tutto ciò ha fatto di American Psycho un libro straveduto, sull’onda della moda dei serial killer degli anni’90. Ma  di certo non un libro capito fino in fondo. American Psycho non è un thriller, né un libro sui serial killer.
E’ una metafora.
Ben 515 pagine di metafora.
Anche gli omicidi seriali diventano un puro pretesto, svelato in un finale che lascia in piedi molte interpretazioni e nessuna certezza vera. Patrick Bateman, il magnetico, schizoide, sadico yuppie protagonista della vicenda, forse è un assassino, forse è solo pazzo, ma senza dubbio alcuno è il feticcio di qualcos’altro, di qualcosa di diverso.

Alcuni critici ci hanno visto un peana alla nostra cultura, rovesciata completamente e denigrata, con Patrick abile burattinaio di un orribile spettacolo, dove i corpi vengono abusati, uccisi, divorati, trasformati, consumati, fagocitati, privati della loro umanità e risputati senza domani, buoni solo per le mosche. Come la nostra cultura, che celebra la trasgressione del sé negando l’umanità in nome dello spettacolo e della massificazione omologata.

Altri critici hanno invece cercato e trovato un messaggio politico nelle efferate gesta di Patrick lo yuppie, con la sua ossessiva litania ipnotica di marche, griffe, multinazionali, ristoranti alla moda, tecnologie inutili ma all’avanguardia e cocaina altri non è che il sistema capitalistico in persona, che conduce violentemente alla omologazione, alla de-umanizzazione, allo spoglio dell’anima simboleggiata perfettamente dall’abisso senza luce nel quale sprofonda Bateman, mentre schiaccia senza pietà e con animalesca ferocia tutti i ‘deboli’ che gli si parano innanzi: barboni, animali domestici, prostitute, ex compagne di liceo, conoscenti. Senza perché. Senza motivo.
Incapace dei sentimenti elementari.
Incapace di empatia.
Per il piacere del possesso.
Ed è così che và.

La società capitalistica non ha tempo per i non perfettamente omologati, li sfrutta per il suo piacere (eventuale e breve) e poi li getta in una discarica, smembrati, in modo da non avere nemmeno più la sembianza minima di esseri umani, così ridotti al rango di cose, giocattoli rotti da un bambino viziato, burattini mutilati, involucri vuoti, inutili, senza senso. L

Attenzione, questo è un romanzo “pesante” e molesto, sebbene così ipnotico e coinvolgente da essere stato da me consumato nel giro di sei giorni lavorativi.

Non mi sento di consigliarlo a tutti, specie se siete facilmente impressionabili.
In alcune scene della seconda parte mi sono sentita quasi male nell’immaginare le torture che infligge l’elegante yuppie alle sue ignare vittime. Da donna mi sono sentita disturbata, impaurita, minacciate e disgustata.

Ma è anche vero che nelle prime 150 pagine è molto facile sentirsi affini al giovane Bateman.
Chi di noi non vorrebbe uccidere con una sparachiodi il collega leccaculo che ci ha soffiato l’affare del secolo?
Chi di noi non ha mai immaginato di far soffrire con indicibili torture medievali la donna o l’uomo che ci ha abbandonato spezzandoci il cuore? 
Chi non ha mai sentito il desiderio fortissimo di tagliare la giugulare al furbone che scavalcano la fila ci soffia il turno alle Poste?
Fantasie.
Anche positive, perché ci ermettono di scaricare l’aggressività.
Solo fantasie che non realizzeremo mai, a causa della morale, dell’educazione, ma anche e soprattutto per paura delle conseguenze e dei sensi di colpa. E allora scatta automatica la simpatia con il perfido yuppie psicopatico. Ma niente è come sembra davvero.

Forse…

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Tutto quello che c'è nella mia testa...vita, amore, arte, libri, immaginazione, musica. Il tutto naturalmente immerso nella confusione più totale. Poco? Qualche volta, pure troppo!!!

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