In estate può essere utilizzato anche come anti-zanzare.
Mancano meno di due settimane a primavera. Anzi, mancano meno di due settimane a quello che il calendario dice sia l’inizio della primavera.
Ma per quanto le perturbazioni scandinave possano opporsi al suo avanzare, la primavera sta arrivando.
E dentro di me è come se fosse arrivata all’improvviso, come se avessi aperto gli occhi e… puff!... mi fossi ritrovata all’improvviso con la luce della bella stagione negli occhi. E vedo
le giornate allungarsi, le gemme sugli alberi iniziare a farsi verdi e esplodere buttando per terra le vecchie foglie rossastre delle querce rimaste appiccate per caso ai rami.
Nonostante il freddo gelido e le due dita di brina sul vetro della macchina, la primavera sta arrivando.
E io all’improvviso mi accorgo del tempo passato.
Di aver vissuto al buio quest’inverno.
Di aver fatto le cose a testa china, macinando ore e giorni.
Di aver trascurato quel che conta di più, cioè gli amici di sempre che ho nettamente messo in stand by troppo presa da milioni di cose da fare.
Il lavoro, la casa, il gatto. Anche il fidanzato, per dire, occupa tempo.
E dalla stanchezza.
Perdono.
Ma la cosa brutta non è solo questa, è che con gli amici ho iniziato anche trascurare me stessa.
Cosa voglio io? Cos’è meglio per me?
E il tempo per me?
Dov’è?
Com’è?
Può essere meglio di così.
Meglio della routine casa-lavoro-letto per cinque giorni alla settimana senza accorgersi del mutare delle stagioni.
Meglio dei giorni uguali ai giorni.
Meglio della corsa frenetica a fare la spesa.
Meglio.
Speriamo nella primavera, và…
Come si diventa testimonial?
Sì, in un mondo come il nostro fatto solo di estetica come si diventa testimonial di un
prodotto?
La risposta più logica ed al passo con i tempi che stiamo vivendo è certamente una sola:
l'aspetto fisico, il look e anche il didietro. Perché altrimenti bellone che non sanno dire nemmeno i nomi dei prodotti che reclamizzano imperversano in televisione?
Basta un bel fisico e tutti gli attributi per essere un buon testimonial?
Ma adidas non è un'azienda come le altre.
Non a caso veste con ironia una donna tosta come Sue Sylvester, mica la prima gallinella col cervello imbottito di miele e colesterolo che passa per
strada.
Nemmeno per sogno.
Così per nuovissime Honey Stripes
Low, in vendita solo da Athletes World, adidas ha deciso di utilizzare come testimonial i blogger ed in genere gli abitanti della rete.
Selezionandoli come? Il modo per farsi notare da una delle vostre firme preferite è lo stesso che rende piacevole
passare dal vostro profilo sui social network che utlizzate solitamente: Facebook e
Twitter, ad esempio.
Basta andare dal 10 marzo sul sito della campagna Are you my
Honey per avere maggiori informazioni.
Sentite già puzza di bruciato ed immaginate orde di ragazzine minorenni in hot pants che vi passano avanti?
No, non è così.
Non è così facile.
Così come per diventare popolari in
rete non è sufficiente un bel visino messo lì a ridere sul proprio profilo, ma ci vuole molto di più. Ci vuole creatività, passione, ironia. Ma anche capire il momento giusto per essere seri, magari per veicolare un messaggio in cui si crede. E cos'
che faccio io nei miei social network. No, non sono certo la regine della rete, ma chi mi conosce o scopre
torna bene o male a trovarmi.
Ed è per questo che il Sig. adidas dovrebbe scegliere me.
perchè io valgo, sono un tipo interessante e potrei essere un valido testimonial.
E poi perchè mi sono innamorata subito di queste nuove scarpe, così eighties da risultare subito gradevoli anche all'Amoremio, schiavo degli anni in cui si sentiva
gggiovane. E poi sanno di primavera, di gita fuori porta, di vacanze!
Che dice, Sig. adidas... me le regala?
Sono lì, in fila alla cassa del supermercato davanti a me.
Stranamente mi son portata dietro l’Amoremio, che detesta con tutta l’anima sua andare al supermercato, ma la cui virile presenza è richiesta nel caso dell’acquisto di innumerevoli confezioni da
6 di minerale. E loro sono lì, davanti a noi.
Lui avrà un’ottantina d’anni ed indossa un completo giacca e pantaloni un po’ troppo abbondante per lui. Sopra porta un cappotto color cammello stinto che di sicuro ha visto stagioni migliori di
quest’inverno 2010/2011. Se ne sta fiero ed eretto allisciandosi un paio di robusti baffi bianchi a manubrio troppo grandi per il suo viso e rimira intorno a sé. Lei è più bassa di me, indossa
una pelliccia che sembra visone all’odor di naftalina e un vezzoso cappellino col fiore nei toni del marrone. La sua età è indefinibile, dai settanta in su comunque. E’ truccata come una
ballerina di Charleston e l’indecisione del rossetto rosso sulle sue labbra mi ipnotizza e fa tenerezza insieme.
La cassiera fa il conto alla allegra coppietta, che caccia fuori per una modesta cifra una banconota da cento euro. Per dodici euro e quarantasei. Tutto regolare, direte voi. Sì, certo. Ma
non avete fatto i conti con l’ingenua cassiera che, ignara, formula la più innocente delle domande: “Ce l’avete qualche spiccio?”
Termina la frase e già s’è pentita, ché l’arzilla signora ha tirato fuori un portamonete di tutto rispetto ed ha iniziato a contare.
I centesimi.
Uno a uno.
Uno, due, tre…
La gente in fila rumoreggia. Con la stessa velocità con cui la moglie conta gli spicci, l’uomo infila la spesa nella busta. Sono le sette e la gente vuole rientrare a casa dopo il lavoro. Come
dargli torto?
…quattro, cinque, sei…
Con l’accortezza che solo le mani nodose riescono ad avere con l’artrite, lei conta e conta ancora i centesimi. Il rumoreggiare si fa più forte e nervoso. Sembra quasi un ruggito sordo che
aumenta con l'aumentare della fila.
...sette, otto...
“Certo che…” mi fa l’Amoremio.
“Dai, cerca di aver pazienza. Un giorno non tanto lontano anche tu…”
“Zitta, và!”
Per magia, tra le mani stremate dal tempo della signora compare una moneta da cinquanta centesimi e la porge con un sorriso radioso ad una sollevata cassiera.
Raccoglie, sempre coi suoi tempi, le monetine tirate fuori dal borsellino e poi inizia a contare accuratamente il resto.
Sembra non esserci via d’uscita.
Quando sembra che il pernottamento nel supermercato sia obbligatorio e stiamo pianificando un accampamento degno di Los, l’attempata coppia inizia a d allontanarsi dalla cassa lanciando un saluto
alla cassiera e alla combriccola tutta.
“Spero che siano venuti a piedi” sentenzia l’Amoremio previdente e premuroso verso i vecchietti “Sai trovarseli per strada davanti che guidano a 5 all’ora?”
Ah.
“Ma no, dai. Abiteranno vicino.”
E invece no. All’uscita li troviamo ancora intenti a riporre la poca spesa nel portabagagli di una fiammante macchina cabrio.
Evidentemente quello in difficoltà deve esser lui, perché la vecchina lo aiuta a salire dal lato passeggero, poi sale alla guida e parte con una leggera sgommata.
Mi hanno fatto tenerezza, li ho immaginati a passare la vita insieme e a pretendere, ancora, la loro autonomia. Insieme.
Chissà come saremo noi da vecchi…
Ci sono giorni difficili, giorni che non sembrano diversi dagli altri, ma son giorni complicati.
Giorni in cui una parola, quella parola detta di troppo, buttata lì non volendo all’interno di una
conversazione banale.
Come una stretta che prende lì, tra il cuore e la gola, a metà tra i sentimenti e la razionalità.
Sì proprio quella parola detta da un estraneo, un conoscente, un amico, poco conta chi la dica.
Ma è lì.
Ed eccola che scava, riporta alla memoria un dolore che credevi morto o almeno affievolito dalla dolce droga dell’oblio. Ma sta lì, invece, in piedi.
Come un tarlo che rosicchia una seggiola rendendola sghemba e vuota dall’interno. E rimane solo la polvere, come lacrime essiccate.
E lo sai, sì che non l’ha fatto apposta.
Che lui parlava di fatti suoi, che nemmeno ti conosce o forse sì, ma non sa cosa dentro di te si agita come un tizzone ardente nascosto sotto la cenere del camino.
Non l’ha fatto apposta, no. Ha solo sollevato un velo, sottile e impalpabile come le ali della falena.
E tu lo sai, sì lo sai che puoi dominarlo questo dolore, questa spina nel fianco che ti brucia. L’hai fatto altre volte, anche quando faceva più male e le lacrime non potevano smettere di
scendere neanche sotto comando. L’hai fatto quand’eri più fragile, solo una ragazzina,e puoi farlo anche ora se solo lo vuoi.
Ma ci sono giorni che è più complicato, giorni in cui tutto è più difficile e senti cedere le tue difese, non così solide come credevi di averle costruite.
E il tuo viso sembra deformarsi in un abbozzo di normalità, non lo domini. Vorresti restare impassibile ma lui si muove e tu sei lì, impotente davanti ad altri essere umani che ti chiedono:
“Che cos’hai? Stai bene?”.
E tu abbozzi, dici che saranno gli ormoni o la luna piena, poco conta.
L’importante è essere creduti, anche per finta non importa, l’importante è richiudere la porta e non far entrare nessuno.
Sì sì, sto bene. Non è niente.
Passerà.
Un mio caro amico giorni fa mi gira, incattivito come il mio gatto a caccia della balorda cimice che contnua (geniale e
subdola) a sfuggirgli giorno dopo giorno, un link per una petizione on
line.
Ora, oggigiorno c’è una petizione on line per tutto, da “Berlusconi dimettiti” a “Salviamo la tipicità dei cetriolini sott’olio”.
Per dire.
Quindi il mio scetticismo è stato subito palpabile.
Tuttavia questa segnalazione mi ha permesso di venire a conoscenza di una diatriba sul web molto accesa e che francamente ignoravo.
Pare che la pietra dello scandalo sia, come un po’ tutto ultimamente, la celebrazione di questo anniversario dell’Unità d’Italia che tanto rompe alla parte leghista del nostro governo.
Pare infatti che la RAI abbia scelto Giovanni Allevi per eseguire e rimodernare l'Inno di Mameli per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia.
Il tutto dirigendo l’Orchestra Sinfonica della RAI stessa. Pare anche che questo abbia scatenato le ire funeste di esperti di musica classica e amanti in genere, nonché degli addetti ai
lavoro.
Senza contare che per tutto il 2011 la versione Allevi del già troppo discusso nostro Inno nazionale sarà sigla di apertura dei programmi di Radio Rai con conseguente corresponsione di diritti
Siae per aver revisionato il pezzo. E con la crisi dei teatri a molti è sembrato uno spttanamento di denaro pubblico mica da poco.
Allevi sarebbe, a detta degli esperti del settore, il Federico Moccia della musica italiana (Oh m-i-o D-i-o!!), espressione della svendita del patrimonio classico, plagiatore fin
nel midollo, ruffiano e piacione nella sua totalemancanza di cultura.
In più gli addetti ai lavori lo tacciano di essere un falso modello per i giovani che studiano musica dentro e fuori dai Conservatori privo di serietà, preparazione e cultura.
Ad infastidire è anche l’aura finto innocente di Giovanni Allevi, un’aria da folletto dei boschi che emerge dalla brughiera solo per suonare, che ha dichiarato di non avere un pianoforte in
casa perché va in concerto e suona, senza studiare le sue performance. Diffondendo così si diffonde l’idea che studio e applicazione non servano a niente, che il successo arriva con facilità e
per botta di culo.
Ah. Ecco.
No, perché io ad un concerto di Allevi ad Assisi ci sono stata e mi è anche piaciuto molto. Ed ho anche scar... ehm… ehmm… cof, cof… comprato diversi suoi cd che
ascolto immancabilmente mentre faccio le pulizie. Dovreste vedere come vado spedita con straccio e ramazza dietro le sue note, meglio di un ippopotamo rosa di Fantasia, altrochè!
Non pensavo che potesse essere il male personificato, nonché il nipote acquisito di Apicella.
A mia parziale discolpa posso dire che io di musica strictu sensu non ci capisco una cippa. Maestri e professori alle elementari prima e alle medie poi, hanno tentato
inutilmente di insegnarmi non dico a leggere la musica, ma anche solo a disegnare palline sul pentagramma.
Con esiti disastrosi: non ho mai compreso il legame tra le note disegnate storte sul pentagramma e la musica.
Il trauma si è ingigantito a dismisura con l’introduzione del famigerato flauto dolce di plastica con cui non sono mai riuscita a suonare nemmeno Fra Martino Campanaro, ma tutt’al più a
sputacchiare per casa e rendere parzialmente sorda da un orecchio mia sorella minore.
Detto questo, ribadisco che io con Allevi ci faccio benissimo le pulizie.
Volteggio. Piroetto. Faccio la polvere.
Mi piace, ok?
Perché me lo volete togliere?
E’ musica da ascensore? Sì, forse.
E’ farlocco? E’ un plagiatore? Boh, che ne so.
E’ un finto autistico che cerca di ingraziarsi le folle? Secondo me una rotella o due gli mancano per davvero.
Checco Zalone suona meglio di lui?
Chi sono io per giudicare?
Tuttavia, nella mia immensa spocchia voglio capire. Se lui è davvero un cialtrone pompato dai media e dalle case discografiche fatemi capire e rendetemi
edotta.
Senza polemiche, dico davvero: voglio migliorare.
Consigliatemi, educatemi all’ascolto, fatemi nomi e datemi idee.
Non lasciatemi nell’ignoranza…
Alle medie ero una ragazzina dagli occhi grandi e solitari.
Niente a che spartire con la maggioranza di coetanee sculettanti ed aspiranti RagazzediNonèlaRai di allora, né Veline di oggi, e all’epoca me ne crucciavo assai. Ero timida, con
gli altri non mi trovavo, mi sentivo brutta e leggere Cioè mi divertiva molto poco anche perché non avevo esperienze dirette con i ragazzi e non mi andava di provare a limonare con il
Cicciobello di mia sorella piccola.
In questo quadretto u po’ squallido e solitario, in prima media feci la conoscenza con il professore di italiano, tale Augusto De Meis. Piccolo, tozzo ed anziano, nonché pedante conservatore
della grammatica italiana, aveva tutto meno l’appeal che ha Robin Williams ne L’attimo fuggente.
Anzi, credo gli puzzasse pure l’alito, per dire.
Eppure il professor De Meis aveva un grande pregio: non ci parlava come a bambini rincitrulliti ma come fossimo adulti.
E così, nell’ora di educazione civica, che seguiva due massacranti ore di grammatica ad alti livelli che uccideva i neuroni di molti dei miei compagni di classe, iniziò la sua personale campagna
politica.
Il professore era infatti tesserato ed assai combattente membro del Partito Radicale che fu e si sentiva in dovere di formare le giovani menti che aveva davanti parlando delle sue lotte per
ottenere leggi sull’aborto ed il divorzio, parlando di stato laico e libertà che noi davamo per scontate, ma non lo erano affatto. Parlava di libertà, di stessi diritti per tutti, di
omosessualità e liberalizzazione delle droghe leggere. Un uomo ateo che non aveva paura di raccontare le sue lotte e la sua ideologia a un mazzetto sparuto di ragazzini cresciuti in un
piccolo paese dell’Umbria.
Immaginatevi io che vado da mia madre e le chiedo: “Mamma, è giusto essere atei? Ma a Dio non dispiace un po’?” ed i suoi occhi sgranati per la sorpresa.
Tutto questo rimestare di politica alle scuole medie non andò sprecato. Per la prima volta nella mia vita inizia a parlare a tavola dei fatti quotidiani con più coscienza di causa, dicendo anche
immani cavolate, ma stimolando il dialogo coi miei genitori.
In particolare con mio padre, con cui passavo le sere a parlare e che non aveva paura che la presenza nella mia istruzione di professori particolari inculcasse chissà che di orribile nella mia mente.
Altri tempi, altra politica forse.
Mi chiedo cosa penserebbe il prof. De Meis del mondo d’oggi, di Pannella capellone, di Capezzone portavoce di Berlusconi. Mi chiedo se sia ancora vivo, dove sia finito.
Fattostà che mi ha lasciato molto. Non le sue idee, ma le domande che mi spingeva a farmi non avevano prezzo. Cos’è giusto? Cos’è sbagliato? Potrebbe essere diverso? Migliore? Peggiore? Io posso
cambiare il mondo?
Non sono atea, ma sono profondamente convinta della laicità dello stato.
Sono convinta che la libertà di scelta sia essenziale, che nessuno possa entrare nella tua sfera personale né tu nella sua senza il libero consenso. Sono a favore del testamento biologico,
delle scuole e degli uffici pubblici senza crocefissi e di tante altre cose che fanno inorridire i (finti) benpensanti da due lire.
Lo devo a lui? Non lo so. Di certo non mi ha plagiata, tutt’al più ha piantato nel mio cervello semi che poi son cresciuti da soli.
Chissà se esiste ancora l’educazione civica, se i professori hanno smesso oppure no di cercare di aprire le teste ai ragazzi. Non è un male parlare di politica, non è un male cercare di ampliare
gli orizzonti di ragazzini condannati a leggere solo 3MSC e a scrivere messaggini con le k.
Spero non si siano arresi, nonostante tutto.
Spero per l’Italia tutta che non lo facciano mai…
“Ciao”
“Ciao”
“…"
“…”
“Siediti, accomodati.”
“Grazie”.
“Io sono Marco.”
“Marta”.
“Sì”
“Sì.”
Occhi bassi, tutti e due. Eccoci qui, pensa Marco. Tutti e due a occhi bassi. Che poi, chissà perché quando si
è in imbarazzo o non si sa che dire si tengono gli occhi bassi. Forse per non esporsi, per non fra vedere che uno vorrebbe essere a mille mila miglia di distanza. Oddio, non è che lei vorrebbe
essere a mille mila miglia da me, eh? Che magari è un conto chattare tramite un sito di incontri, poi vedersi dal vivo è
div…
“Ordiniamo?”
“Sì, certo. Che prendi tu?”
“Un caffè d’orzo lungo in tazza grande” Ah.
Silenzio.
“Visto, ho portato la rosa?” inizia lei “Anche se devo dire che a girare con una rosa in mano mi ci sono sentita un po’ sciocca all’inizio. Mi avresti riconosciuta senza?”
Silenzio.
Se non riesco a dire nulla penserà che sono un idiota.
O un maniaco.
“Ehi, ma sei vivo?”
“Sì, scusa… ehm… no, è che… sai è la prima volta che utilizzo un sito di incontri e… oddio, magari penserai
che dicono tutti così e che sono un maniaco… e che io…. io già non sono molto brillante con le ragazze e poi…”
Marta all’improvviso scoppia a ridere.
Una risata sonora, fragorosa.
Eccoci, pensa che sono un’idiota.
E c’ha pure ragione. Anche Milena infatti…
“Guarda, facciamo una cosa. Facciamo finta che non ci sia di mezzo un sito di incontri, ok? In fondo è stato solo un modo per conoscerci,
per fare amicizia.”
“…”
“Facciamo che ci siamo incontrati davanti ad una edicola. Io che compro il Fatto Quotidiano e tu il Giornale con il mezzo le Ore. E poi…”
“Ehi, ma io non leggo ‘ste cose??!!”
Lei ride, e la sua risata è contagiosa.
Il ghiaccio è rotto, il sito di incontri on line
archiviato nel cassetto degli aneddoti per i nipoti (eventuali).
Il cameriere porta da bere a due ragazzi allegri, che chiacchierano e stanno bene.
Magari al caffè d’orzo seguirà uno spritz.
Magari sarà amore o solo amicizia.
Magari se non avessero superato i loro pregiudizi stasera starebbero davanti alla televisione a mangiarsi le unghie rimembrando amori da telenovela.
Magari…chissà!!!
Tutto quello che c'è nella mia testa...vita, amore, arte, libri, immaginazione, musica. Il tutto naturalmente immerso nella confusione più totale. Poco? Qualche volta, pure troppo!!!