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27 gennaio 2012 5 27 /01 /gennaio /2012 10:36

I premi  tra blogger  in internet assomigliano a volte alle catene di S. Antonio, quelle fastidiose e terribili usanze degli anni ’80 che costringevano a copia e incolla, fotocopie e invii a parenti, amici o anche gente pescata a caso dall’elenco telefonico. Pena, ovviamente, malie  sciagure che nemmeno i Maya da cui il solerte esecutore materiale si sarebbe salvato solo con la diligenza. Anzi, magari qualcosa sarebbe anche tornato indietro (a parte gli accidenti dei destinatari delle lettere).

Però, non è sempre così.

Un premio sincero fatto da una amica, seppur ancora solo virtuale,  è un raggio di sole in una giornata grigia. E allora grazie a writergioia di Bricciole di informazione che mi ha omaggiata del premio come Liebster blog.

 

liebsterblog1.png 

La parola Liebster deriva dal tedesco e significa "amabile". In questo caso, blog preferito perché amabile proprio non è una parolina che tutti tutti assocerebbero al mio carattere.

Ogni blogger che lo riceve deve consegnarlo ad altri cinque blog preferiti, con meno di duecento follower, altrimenti Berlusconi e Brunetta vestiti da nani da giardino verranno ad infestare i vostri sogni e a giudicare la vostra fossa biologica. Quindi, attenti.


Ecco le semplici regole da seguire:
1. Il ricevente del premio dovra ringraziare il blog che l'ha premiato e linkarlo;
2. Dovrà copiare e incollare l'immagine del Liebster Blog;
3. Scegliere cinque blog meritevoli con meno di duecento iscritti;
4. Avvisare i blogger con un commento sul loro blog.

La scelta è complicata, ma si devono pur prendere decisioni, no? E allora, ecco qui i nomi in ordine rigorosamente casuale:

 

-       Gatta sorniona

 -       Ladra di Caramelle

 -       Web al cioccolato

 -       Pensieri sparsi di una coccinella felice

 -       Drink Pop 

 

Approfittate della segnalazione per fare la loro conoscenza, non ve ne pentirete!!!

 

E voi destinatari… niente accidenti grazie, che già così

 

UPDATE: Grazie a Sophia per avermi regalato un altro premio!!

 

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26 gennaio 2012 4 26 /01 /gennaio /2012 12:00

Spilled_Coffee_Bad_Day.jpgE ci sono quei giorni, quelli un po’ più complicati.

Quelli in cui svegliarsi è complicato, i neuroni non vogliono accendersi nemmeno col caffè  ed i capelli hanno deciso per l’autogestione.

Mattine difficili, difficili, difficili.

Spesso corrispondono a notti agitate, notti in cui mostri e folletti vengono a farti visita nel letto impedendoti un sonno tranquillo. Notti in cui ti arricci e stiri tra le lenzuola, pensando di non poter arrivare alla mattina senza urlare fortissimo la tua frustrazione.

 

E poi ti addormenti.

E suona la sveglia.

E il gatto si lamenta per la fine indecorosa dei croccantini nella ciotola.

 

Puttanissima di una sveglia ladra.

 

E vorresti avere la febbre, come da piccola, e non andare a scuola. Ma violentando tutto il tuo essere ti metti in moto lo stesso, il lavoro aspetta ed il giorno è già iniziato anche se il tuo cervello rifiuta di accendersi manco fosse la 126 azzurra che aveva tua madre e che tre volte su quattro vi lasciava a piedi quand’eri bambina.

No, lo so che ci stai pensando, ma no mi spiace: non esiste una formula per tornar bambini.

E così inizi a compiere gli stessi identici gesti di tutte le mattine. Prepari la borsa della palestra, ci metti dentro le scarpe, le ciabatte, l’accappatoio, tutto sempre nello stesso ordine.

Poi vai in cucina, fai colazione con il latte di soya sognando i pancakes, tagli l’insalata per il pranzo, ci aggiungi il tonno e il mais,  riempi la ciotola del tuo gatto urlante che si è rifiutato di uscire in giardino (e chiamalo scemo, visto che fuori fa -3°C).

E tutti questi gesti ti sembrano un circolo vizioso, una ripetizione cotta della tua vita, una imprescindibile follia quotidiana. Nemmeno fossi in quel vecchio film, quello con Bill Murray, quello in cui rivive sempre lo stesso giorno ma non riesce ma a far tutto perfetto.

Ti ci senti imprigionato, in questa coazione a ripetere, vorresti mettere il mais al gatto e le scarpe della palestra ai piedi. Magari uscire in accappatoio solo per fare un gesto iconoclasta e far prendere un colpo al vicino guardone (e poi morire di freddo, per la gloria però).

 

Poi senti un “Cof cof” alle tue spalle e non è il gatto, no.

E’ l’Amoretuo, l'uomo premuroso che ti ha fatto la colazione, ha sopportato in silenzio (o forse sogghignando) il tuo ciabattare scnsolato per casa manco fossi uno zombie, il cattivo umore e le tempestose nuvole emotive dei tuoi capelli.

Ridacchia e ti abbraccia.

E tu sai che ce la devi fare, anche con quest’umore.

Che tutto andrà bene.

 

Anche con questi capelli…

 

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24 gennaio 2012 2 24 /01 /gennaio /2012 12:51

407359_326447864061776_239407502765813_972435_1262046263_n.jpgAnni e anni di berlusconesimo, di culi e tronisti, di nani e ballerine ci hanno forse rincitrullito il cervello?

Abbiamo perso l’uso dell’intelletto o semplicemente siamo diventati tutti miopi?

Ok, mi calmo, mi calmo.

Respira, 1…2 … 3…

Aehm.

Scusate ma ho appena finito una accesa discussione e chiaramente l’adrenalina che avevo in corpo e che è rimasta inespressa (non ho avuto modo, ahimè, di mettere le mani in faccia al mio interlocutore. La ragione ha prevalso, ma di poco.)

Il quid della questione è non solo semplice, ma anche di attualità: lo sciopero degli autotrasportatori proclamato dal 23 al 27 gennaio.

E siccome io lavoro in una azienda di trasporti, tutti si sentono in diritto di straparlare.

 

Ma guarda che casino, ma questi proprio non c’hanno nulla da fare?? Già che intasano sempre le autostrade, ora pure a protestare???

Caro amico mio, ma secondo te i prodotti nei negozi chi ce li porta? La Befana? Degli elfi con la slitta? Il teletrasporto? Non lo sai che più dell’80% del trasporto merci in Italia avviene su gomma? E’ sbagliato, inquina e fa traffico, ne sono convinta. Ma è così ed è bene che tutti ne siano consapevoli.

 

Che palle, fra tassisti e camionisti… ora pure i farmacisti!!

No, calma. Tassisti e farmacisti non possono essere assimilati alla protesta in corso degli autotrasportatori. Questi ultimi non difendono un corporativismo, non sono una casta e non c’è certo bisogno di chissà quale rituale speciale per guidare un camion: basta la patente. E’ un lavoro duro e chi fa la linea lo sa.

Senza nulla togliere alle altre categorie, che magari vedono cadere privilegi guadagnati con fatica, i trasportatori chiedono solo di poter sopravvivere senza affamarsi.

 

Ma poi questi, che vogliono?

Che vogliono, che vogliono… vogliono che non ne possono più, che la benzina è arrivata a € 1,70 al litro, aumentando del 30% in un anno. E poi c’è il costo dell’autostrada, le assicurazione esose, gli adempimenti amministrativi sempre più onerosi. Per questo molte piccole imprese volano verso il baratro del fallimento, strozzati dai costi e dalla mancanza di credito delle banche. Volete altro?

 

Ma che vuol dire? Aumenteranno le tariffe, no?

Ahahahahhahahahahhahah!

 

Ma che ti ridi?

Rido perché non capisci il problema amico mio. Quelli che protestano non sono le grandi aziende di trasporto, che pure hanno margini molto risicati.  A protestare sono i trazionisti, i padroncini  e tutti coloro che vengono pagati a viaggio,  e sono loro che pagano il prezzo più alto. L’equazione maggiori costi = maggiori tariffe = aumento dei beni di consumo non è più automatica. La concorrenza nel mondo del trasporto su gomma è spietata e viene combattuta con armi spesso illegali: mancato rispetto dei tempi di guida nei migliori casi, lavoro nero nei peggiori. Se si aumentano le tariffe ad un cliente, nove volte su dieci lui volerà verso lidi più economici.

Capite bene che aziende come quella in cui lavoro io, dove la correttezza, il rigore e la trasparenza sono importanti e dove a regolarità contributiva è un aspetto essenziale, campano male.

 

Eh, ho capito. Pure a me hanno aumentato l’assicurazione e trovo vergognoso il costo della benzina, ma mica metto la macchina di traverso in autostrada!

Male, molto male. Abbiamo imparato a stare zitti ed accettare tutto mettendoci a novanta. Non è che sia un pregio, eh.

 

E poi, ho visto che ci sta di mezzo pure Forza Nuova…

Sì, vabbè. Questi qui sono in grado di strumentalizzare tutto, pure la morte di Pietro Taricone, per dire. E quindi?

 

Uffa, ma al supermercato non trovo più il latte fresco che uso di solito!

E ‘sti cazzi?

A parte che frasi come “aziende e regioni in ginocchio”, “caos nei negozi” e “supermercati vuoti, il terrore nella folla” mi sembrano esagerati per un giorno e mezzo di fermo. E se nevicava? Via su, siamo logici e razionali un minimo almeno per un attimo.

 

Tanto non serve a nulla.

Può essere, sì. Può essere.
e mi rendo anche conto che questo non è il metodo perfetto, ma se avete una idea migliore io la ascolto fiduciosa.

 

Ma il blocco stradale è reato.

E l’usura?

 

Ecco, con questo ho finito lo sproloquio.

Se ho offeso o indispettito qualcuno mi spiace.

Ma anche no.

Attendo, fiduciosa commenti, insulti e quant’altro. Oppure, semplicemente, possiamo istruire una bella tavola rotonda sul mio blog.

 

Io, di sicuro, idea non la cambio, ma se volete provare la porta è aperta.

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23 gennaio 2012 1 23 /01 /gennaio /2012 11:21

suri-cruise.jpgFaccio una doverosa premessa: non ho figli, anche se spero di averne.

Quindi, alla luce di ciò, vi informo che tutto ciò che sto per scrivere è puramente teorico, perché gli ormoni messi in circolo dalla maternità possono far impazzire più di una donna sana (l’ho visto accadere, giuro) e rendere beota anche la femmina più tosta ed anticonformista.

Ad ogni modo, uno degli atteggiamenti genitoriali che più mi infastidisce è quello, tipico dell’arpulito (ndr. in dialetto umbro colui che provenendo da classi sociali disagiate ed avendo salito la scala sociale, intende dimostrare al mondo la propria pecunia), di vestire i propri figli con abiti griffatissimi con un gusto e uno spregio della miseria tale da  rendere Posh Spice una dilettante.

Bambini vestiti con lo stemmino di Ralph Lauren pure sulle mutande ed il piumino della Peuterey in versione mini (che costa il doppio della versione maxi, eh, mica va a peso!), inseguiti sugli scivoli del parco giochi da mamme e nonne che gli urlano: “Non sporcarti!! Non correre! Non sudare!”.

Bambine vestite uguali alle mamme, con tanto di scarpette col tacco e borsetta che provano ad ancheggiare per motivi a loro sconosciuti. Ma sono tanto carine, glielo dicono tutti e allora sarà vero. Lo trovate preoccupante? Eppure è così.

Ci sono negozi che vendono solo griffe per bambini e non c’è stilista di moda che non abbia previsto una linea baby visto che pare l’unica che in tempo di crisi non conosce sofferenze.

Non voglio passare per bacchettona e nemmeno per veterocomunista (cosa di cui sono stata tacciata già, per dire) ma io trovo questa cosa AMORALE.

Sì, non voglio usare mezzi termini.

Trovo che comprare un paio di scarpe da € 200,00 ad un bambino sia uno schiaffo alla miseria. E non solo per il costo in sé, ma perché potrà metterle al massimo pochi mesi visto che (speriamo) non rimarrà alto un metro e venti per sempre.

Ma nemmeno per sei mesi.

 

Ma che vuoi che sia, se i genitori se lo possono permettere!

Preferisco comprare per lui/lei, piuttosto che per me!

Tutti i suoi compagni ce l’hanno!!!

E’ così carino!!!! Non trovi?

Bè, era in saldo.

E’ un regalo dei nonni!

 

Certo, certo.

Ma il problema resta, secondo la mia banalotta opinione.

Cosa si insegna a questi bambini? C’è veramente bisogno di renderli schiavi del marketing e della moda ancor prima che sappiano leggere correttamente?

Non sarebbe meglio fargli capire il valore dei soldi?

Un bambino è davvero più felice con una camicia di Ralph Lauren rispetto che con una maglietta dell’uomo ragno del mercato?

Vogliamo veramente che imparino a valutare gli altri a seconda della maglietta che portano?

Ne vogliamo fare un bel gregge di tronisti e smutandate?

Ok, esagero.

Ma i miei mi hanno cresciuta senza bisogno di tutte queste cavolate. Se ho voluto i jeans della Levi’s e gli anfibi del Doc  Martens (oddio, oddio, oddio, come sono anziana…) mi sono messa a fare ripetizioni e me li sono guadagnati, altrimenti non se ne parlava proprio.

Sì, facevo già le superiori.

E sono cresciuta bella sana, senza traumi e senza mortali turbe psichiche. Che vuol dire, detestavo la ragazzina del secondo banco alle elementari a cui non mancava mai nulla, ma invidiavo allo stesso modo anche Yu che aveva due gattini magici e che si trasformava in Creamy.

Quindi, care mamme che vestite i vostri figli come nemmeno Suri Cruise, fatevi un esame di coscienza.

O quantomeno una domanda.

 

Per chi lo fate?

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20 gennaio 2012 5 20 /01 /gennaio /2012 16:45

art_stieg-and-eva_300.jpgIl nome di Eva Gabrielsson non dirà nulla ai più, ed è normale che sia così. Per quanto sia una giornalista e scrittrice, la sua fama lavorativa non è mai uscita dalla Svezia.

Sono sicura però che il nome di un altro svedese vi dirà qualcosa: Stieg Larsson.

Ah! Lui lo conoscete, eh? Certo, dopo l’IKEA la Trilogia di Millenium è la cosa più svedese che salta in mente, visto il suo successo planetario e la (nuova) recente trasposizione cinematografica che vedrà protagonista nei panni di Mikael Blomkvist il notevolissimo(issimo) Daniel Craig.

 

Bene, Eva Gabrielsson è la sua compagna storica.

 

La loro storia è ormai nota. Stieg Larsson muore di un infarto facendo le scale nel 2004.

Triste destino, lui perseguitato dai gruppi filonazisti per il suo lavoro, sempre attento e sotto protezione, muore facendo le scale.

Poco dopo esplode in tutto il mondo il caso letterario Millenium, che polverizza qualsiasi record di vendite. Peccato che il suo autore non possa godere di tanta gloria e completare una serie di libri che da dieci rimarranno per sempre tre.

Peccato anche che Eva, compagna di Larsson da 32 anni, veda portarsi via tutto dalla legge svedese: i due non erano sposati, ergo lei non è erede del suo compagno. E tutto, diritti d’autore compresi, passa in mano al padre ed al fratello dello scrittore. Anche se non si vedevano né parlavano da decenni. Questa è la legge.

Bello.

Molto bello.

E dire che siamo nella civilissima Svezia. 

Tutto il mondo è paese a quanto pare.

Ma Eva, che non è donnina facile, non si arrende. Spunta fuori un quarto libro, che nel frattempo  vale oro, e che non si sa se esista o meno. I parenti serpenti chiedono il sequestro del PC del povero Stieg e lei risponde picche. La guerra legale che ne è uscita dura tutt’ora e mi fa tremare i polsi, perché Eva non vuole soldi, ma maggior tutela per l’eredità artistica del suo compagno. Non vuole carrozzoni mediatici, feticci o tazze e mouse pad ispirati a Millenium. Come darle torto?

L’avidità umana non ha limiti, e questa vicenda lo dimostra.

 

Oggi, a otto anni dalla morte di Stieg Larsson, Eva torna con un libro che è più di una autobiografia,è la loro storia. Sono loro.  Stieg e io. La storia d’amore da cui è nata la Millenium Trilogy è il suo titolo, arriva in Italia dopo aver furoreggiato in altri 20 paesi, e per gli appassionati contiene anche alcuni retroscena sul famoso quarto libro e sulla sua trama. Libro che, mi spiace, non verrà mai pubblicato.

Il perché lo racconta Eva nella sua intervista a Io Donna in edicola domani.

 

Quel che posso dire io è che la loro storia mi mette sempre tristezza e su fronti diversi. Il fatto che Larsson non abbia mai potuto godere del suo successo è davvero triste, ingiusto e ingiusto ancora. Ma quello che è successo ad Eva è persino peggio. Ha perso l’amore della sua vita, ma non solo. E se questo accade nella Svezia dei diritti assicurati, cosa mai accadrebbe qui in Italia, regno sovrano del Papato e della sua morale contorta?

Cos’è che rende meritevoli più della compagna dei parenti con cui non si parla da decenni e con cui non si hanno (né vogliono rapporti)? Il legame di parentela? Il sangue? La stipula di un contratto come il matrimonio avrebbe ucciso qualsiasi pretesa parentale. Ma loro non si sono mai sposati, perciò per la legge 32 anni passati insieme non valgono nulla.

 

Questa storia mi ricorda quella di Alessandra Biancalani, compagna da 12 anni di una delle vittime della strage di Viareggio del 29 giugno 2009  che in qualità di convivente non è stata ammessa al risarcimento previsto per i parenti. Preso dall’ex moglie. Che non è che abbia detto no, eh.

 

Ed il Papa annuisce.

Perché le cose, giustamente, vanno fatte a modino rispettando diktat  imposti dall’alto. Zitti e muti, e poco importa il valore di un amore che dura per tutta la vita.  Se non hai il pezzo di carta nulla vale e la tua rilevanza è assimilabile a quella del postino.

 

Ora, io sarò anche di parte, ma vi sembra giusto?

 

 

A me, no…

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19 gennaio 2012 4 19 /01 /gennaio /2012 13:07

logo.jpgBabbo Natale, nella veste dell’Amoremio, mi ha regalato l’ebook reader tanto desiderato ed agognato.

Ma non uno qualunque, un bellissimo Sony PRS-T1 bianco come la neve.

Fa tante cose in più, tipo il Wi-fi (e tante altre che ancora non ho scoperto, mica posso leggere il libretto d istruzioni, vi pare?), e poi è proprio leggero, bello, invitante.  Senza considerare la meravigliosa opportunità di poter portare con sé nella borsa l’equivalente di uno scatolone di libri.

Un vero feticcio, insomma.

All’inizio ero scettica, è vero.
Molto più che scettica.

 Come si possono abbandonare i vecchi cari libri di carta?

Come si può far a meno del loro profumo, di sfogliare le pagine e di sentirle sotto le dita?

Come? Come?

 

Poi l’ho preso, l’ho provato, e devo dire che è stato molto meglio di come mi aspettassi. Se all’inizio lo volevo solo ed esclusivamente perché occorre arrendersi all’avanzare della tecnologia, ora mi piace proprio. Non da abbandonare totalmente il cartaceo, ma diciamo che lo trovo un ottimo integratore.

Ha lo schermo non illuminato come un PC, il mio fidanzato l’ha chiamato e-paper facendolo sembrare ancora più chic, ma ha bisogno di una fonte di luce per poter leggere. Proprio come con il libro di carta, insomma.

Ve lo devo dire?

Sono innamorata. E me lo porto sempre con me, coccolandolo e mostrandolo in giro.

Il mio tessssoro.

Anche perché, diciamocelo, in internet si trovano quasi tutti i libri belli e pronti per essere letti.

Gratis.

Sì, gratis.

Non vi dico dove, no, ma basta che cerchiate su Google “siti per scaricare ebook gratis italiano” ed il gioco è fatto. Per esempio io ora mi sto dedicando allegramente alle Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin, tutte inserite nel mio comodissimo e piccolissimo Sony.

Amorino mio.

 

Illegale? Sì, certo. Molto.

Ma far pagare un libro € 22,00 invece non lo è?

Secondo me sì, specie a me che leggo più di 80 libri all’anno (ndr. dati certificati dalla mia pagina di Anobii, se non ci credete controllate pure).

E specie considerando che:

-  Molte edizioni, dal costo paurosamente vicino ai € 20,00, fanno schifo. Si scollano le pagine, sono semplicemente cartonate e non rilegate, e curate da schifo. Vogliamo poi parlare delle traduzioni? Vogliamo? No, meglio di no.

-  All’autore va al massimo il 5% del prezzo di copertina. Questo vuol dire  se, mettiamo, Wilbur Smith prende il 5%, lo scrittore novellino prenderà, se va bene, il 3%. Ed il resto? Il resto se lo ciucciano distribuzione/editore e compagnia cantante. Pure il libraio? Sì, ma in percentuali così misere che avere una libreria è più antieconomico del Leftorium di Ned Flanders.

-   La matematica non è un’opinione: 80 x 20,00= € 1.600. Chiaramente non posso permettermelo, almeno finché non decide di iniziare la carriera di signorina da marciapiede. E alla mia età, francamente, sento di non aver mercato.

Non fate i perbenisti, non dite: “Eh, ma allora c’è la biblioteca!”

Quella del mio paese non solo è sguarnita e triste, ma apre in orario di ufficio. Comodo, eh?

E poi io i libri, siano di carta o digitali, li tesaurizzo.

Mi piace sapere che sono miei.
Solo miei.
E stanno son me.

Con me.

Solo con me.

 

Per sempre…

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18 gennaio 2012 3 18 /01 /gennaio /2012 07:09

Criceto.pngLi vedi la mattina, vestiti  dei materiali più improbabili. Tu vai al lavoro, loro corrono.

Sulla pista ciclabile che corre intorno al lago, per strada, al parchetto.

Dotati delle andature più improbabili, corrono spesso abbigliati come per un’avventura al Polo Nord.

Ce ne è uno identico al nonno di Bear Grylls, anzi sono abbastanza sicura che si tratti proprio del suo ottuagenario parente: barba e capelli stile Cast Away, percorre su e giù la pista ciclabile tutte le mattine che Dio ha messo in terra alle sette e quaranta precise.

No dico, ci siete mai stati al Lago Trasimeno d’inverno?

Bello, eh. Tramonti e albe mozzafiato e colori che non trovi in molte altre parti del mondo.

Ma un freddo.  

Non solo è freddo, ghiaccia e c’è la nebbia, ma è così umido che riesce a trapanarti le ossa.

Loro no.

Loro corrono.

Giuro che una mattina mi fermo e gli chiedo dove cazzo vanno co’sto freddo, che per sghiacciare il parabrezza c’ho messo 10 minuti stamattina.

No, perché deve essere motivato tutto questo dolore.

Almeno chi porta a spasso il cane c’ha un perché, c’ha la povera bestia che deve fare i bisogni e il padrone rispettoso la asseconda.

Ma quelli che corrono con -3° io proprio non li capisco.

No, non ci arrivo.

No.

No.

E poi si sentono una specie di élite, questi corridori.

Una casta.

 

Che siano criceti in corpi umani??

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16 gennaio 2012 1 16 /01 /gennaio /2012 07:30

empatia-455x250.jpgIeri sera ero in fila alla cassa del mio discount di riferimento,lanciando lo sguardo tra le cianfrusaglie lì intorno appoggiate e riflettendo sulla possibilità di un’isola e di un tablet a 80 euro. Le mie elucubrazioni vengono involontariamente interrotte dalla signora accanto a me (molto più che ottuagenaria e parecchio più che cotonata) che inizia scompostamente a blaterare contro l’immobilità della fila. Non posso che darle ragione, in effetti siamo immobili da un po’.

Mi affaccio oltre la sterminata prateria di carrelli della spesa e vedo la causa di della coda: un uomo, dall’aspetto sudamericano e comunque chiaramente extracomunitario, ed un bambino. Sono lontana, ma anche da lì riesco bene a capire quel che succede. L’uomo, al momento del conto, si è reso conto di non avere abbastanza soldi e sta scalando con pazienza certosina quel che non si può permettere davanti agli occhi del bambino. Che sembra non capire perché il papà stia ridando indietro alla signorina della cassa la vaschetta col suo gelato.

Lui, dai tratti chiaramente andini, si scusa e sorride. Millanta di aver lasciato i soldi a casa e si scusa, si scusa e gesticola.

Si scusa troppo, a dire il vero.  Troppo per essere un disguido.

E contemporaneamente accarezza il bambino, che avrà nove anni si e no e un paio di occhi scurissimi.

La gente, in fila, rumoreggia.

La cassiera gentilmente scala dalla spesa, minimizzando e sorridendo.

Mi chiedo quante volte al giorno le succeda.

Inizia a scalare cartoni del latte.

Uno dopo l’altro.

Un groppo mi sale in gola all’improvviso, come una morsa mi scende fino allo stomaco e mi leva il fiato.

Perché non è giusto.

Perché la gente intorno a lei rumoreggia perché si sta facendo tardi e inizia Money Drop.

Perché la compassione è sparita dal mondo insieme al Natale e forse ricomparirà il 25 dicembre 2012 (se non intervengono prima i Maya).

Perché potrebbe succedere a tutti.

Perché potrebbe succedere a me.

A tutti.

Eppure la gente intorno non sembra curarsene, solo la cassiera continua a sorridere come se sul viso quell’espressione gli fosse stata impressa a forza.

Avrei voluto fare qualcosa, andar lì e pagare il gelato al bambino o anche solo strillare alla vecchia dietro di me di piantarla e di star zitta.

Ma non ho fatto nulla, sono rimasta muta a fissare l’espositore dei preservativi.

 

Non sono migliore degli altri, no.

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13 gennaio 2012 5 13 /01 /gennaio /2012 07:26

769087334Ed eccoci qui, finalmente è arrivato.

Archiviati brindisi, spumante e panettone, trenino di rito e proponimenti vari, eccolo qui in mezzo a noi: il 2012 è arrivato.

E fa una certa impressione, non è difficile da rilevare, forse perché da almeno dieci anni Giacobbo con la sua trasmissione su Raidue ce la mena con il 2012 e la fine del mondo.

Solo che sembrava così lontano, sembrava ci fosse tanto tempo, che fosse solo materiale per film basati su disastri naturali ed eroi improponibili e improvvisati tipo Nicholas cage o peggio, ma ci sbagliavamo: è arrivato.

E adesso?

 

Ci credo?

No, ovviamente no.

E poi lo so, il programma di Giacobbo ha la stessa autorità scientifica del mago Otelma: uomini falena, cerchi nel grano, cospirazioni massoniche e gesuitiche che nemmeno Dan Brown, e ovviamente il mitico chupacabra, una specie di demone succhia capre che abiterebbe le zone desertiche degli Stati Uniti e passerebbe il tempo ciucciando via il sangue dagli animali.

Poteva non aggiungere improbabili profezie Maya al suo già ampio carnet di fobie e mitologie urbane?

 

Ma da buona italiana non mi sento di escludere nulla.

Che poi oggi è pure venerdì 13.

E in fondo non lo dice solo Giacobbo. A parte il calendario Maya che finisce proprio il 21 dicembre 2012, ci si mettono pure Nostradamus e tutta la compagnia cantante.

Non solo. Serissimi canali di divulgazione scientifica come il Discovery Channel o History Channel iniziano a costruire i loro palinsesti sulla prossima ventilata fine del mondo. Ecco, diciamo che il 21 dicembre mi sembra una data un po' troppo vicina, non mi sento molto pronta.

Macchie solari, inversione dei poli, riscaldamento globale, meteoriti che giocano a ping pong con la terra, sollevamento delle acque, apocalisse, allineamenti galattici che nemmeno mio nonno quando giocava a bocce: e se avessero ragione?

Se il mondo fosse davvero sul punto di finire?

Dovremmo forse buttarci e vivere al massimo fino al 21 dicembre sparando tutte le nostre cartucce?

Dovremmo dare spazio all’anarchia???

 

Calma, non facciamoci prendere dal panico.

CALMA.

A parte che se mai il pianeta Terra e i suoi abitanti dovessero scomparire, sono certa che ciò accadrà non per eventi soprannaturali o cosmici, ma perché l’uomo ha combinato l’ennesima cazzata. Noi uomini siamo bravissimi in questo: inquinamento, depauperaento del territorio, saccheggi, magheggi genetici e chimici, OGM e chi più ne ha più ne metta.

Ma poi, per assurdo, anche fosse così e avesse ragione Giacobbo che cosa possiamo fare?

 

Scappare, non si può.

Urlare fortissimo non servirebbe a nulla.

Pregare? Quale Dio esattamente?

E a che pro?

 

Io intanto mi prendo un sacchetto di popcorn e aspetto…

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11 gennaio 2012 3 11 /01 /gennaio /2012 13:17

"speak now"

C'è la crisi.
C'è la crisi, la crisi, la crisi. 
Ce lo dicono tutti, lo strilla il telegiornale, rimbalza tra i negozi ancora pieni nonostante i saldi. 
E allora?
Che fare?
Nell'attesa che arrivino i Maya e la loro fine del mondo, poco resta da fare in questo paese che sembra prendere a schiaffi chi non ha esperienza o chi è troppo giovane per averne. 

E così la mia cuginetta, laureanda in economia, si lagna e lagna con me, che pur lavorando nell'ufficio del personale di una aziend agrande per essere umbra non ho la chiave per aiutare tutti.

"E quindi, che faccio?"
"Potresti provare a cercare un lavoro fuori, in un paese emergente magari!"
"Sarebbe bello, ma..."
"Ma tu l'inglese lo sai?"
"Eh, sì... no, cioè, a scuola..."
"Vabbè, ho capito... the cat is on the table e poco altro, sbaglio?"
"Ehm..."
"Non è che fai come i miei genitori che non sanno trovare un bagno all'estero, eh?"
"Io... ecco..."
La capisco.
Eccome.
Pure io tanti anni fa beccai una telefonata di un cliente inglese al lavoro e feci la figura dell'idiota, non riuscendo nemmeno ad appuntarmi il numero di telefono.
E allora mi è venuta l'idea: "Perchè non provi con i dvd di "speak now"?

E così le ho spiegato, chè la mia cuginetta è un po' fuori dal mondo reale.
Dal 9 gennaio, tutti i lunedì con Repubblica e L'Espresso c'è SPEAK NOW! FOR WORK, un corso di inglese in venti uscite (composte ognuna da libro + dvd) che mira essenzialmente a preparare il lettore ad affrontare il mondo del lavoro estero. Come si scrive un curriculum? Come si approccia un colloquio di lavoro? Come scegliere il lavoro ideale? E i colleghi? Come farsi assumere? 

Il tutto con divertenti sketch in dvd, esercizi collegati e pratici glossari. E con la guida istrionica di "John Peter Sloan", ex cabarettista di Zelig con l'anima dell'insegnante di inglese. Quello di Istant English, do you know? Non c'è Autogrill che ne sia sprovvisto, giuro.
La prima uscita è al prezzo promozionale di € 4,90, le altre le trovate a € 12,90. Affrontabile, vero? Poi però ci vorrà tutto il vostro impegno, non basta mettere tutte le dispense in bella mostra in salotto ed i dvd impilati accanto allo stereo!

"E se poi resto in Italia?" mi chiede la cuginetta.
"Bè, male non ti fa in ogni caso... credimi!!!"

E voi, perché non provate?



Articolo sponsorizzato

 

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Tutto quello che c'è nella mia testa...vita, amore, arte, libri, immaginazione, musica. Il tutto naturalmente immerso nella confusione più totale. Poco? Qualche volta, pure troppo!!!

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