Dalla mia recente esperienza elettorale ho capito una cosa che chi mi conosce bene sa già da tanto: la politica non fa per me, visto che non sono accomodante e non riesco a tollerare chi ha idee palesemente errate a mio modo di vedere.
E non lo dico perché non sono stata eletta, in fondo il mio schieramento ha vinto e posso dire di aver contribuito anch'io al successo della campagna. E' che mediarmi mi è difficile da sempre, la diplomazia è una caratteristica con cui non mi hanno accessoriato.
Un esempio? L'altro giorno, mi è capitato di leggere un articolo contro il Gay Pride di Roma, che giusto domenica festeggiava venti anni di onorato servizio. E ognuno chiaramente festeggia a modo so, magari anche esagerando pesantemente. Voi non l'avete mai fatto? Io, ad esempio, all'inizio del secolo portavo un paio di pantaloni lucertolati che avrebbero fatto impallidire Enzo Miccio, ma ero ggiovane, etero e dotata di vagina funzionante, quindi non ho dovuto sostenere nessun esame prima di diventare madre. Già, perché quale miglior occasione di questa per avvalorare le proprie tesi? Per dire “Guarda qua che sconceria, signora mia, mica vorremo davvero riconoscere a 'sta gente dei diritti?” E via di tutta l'erba un fascio, come se il Gay Pride fosse solo tette (finte o meno) al vento, boa di struzzo, drag queen e carnevale incorporato e come se questo fosse una radiografia perfetta della vita di migliaia di persone.
Facile vedere solo quello che si vuole. Vedere “il male” e non anche tutto il mondo che ci gira intorno, fatto di persone normali e molto più simili a sé di quanto certa gente vorrebbe.
Ecco, io con questa gente non sono in grado di mediarmi, forse perché loro non lo fanno e sparano solo giudizi. Se in questo frangente non ho risposto è stato solo perché proprio mentre mi infervoravo mia figlia ha deciso di sbattersi in faccia la mucca che suona con tutta la potenza di cui sono fornite le sue braccia a quattro mesi.
La verità è che non dovrebbe essere permesso di giudicare la vita degli altri e credere di sapere sempre tutto. Nessuno ha la verità in tasca, nemmeno se vive perfettamente nel paradigma di una religione che ritiene inviolabile. Essere religioso, avere dei principi morali propri va benissimo, imporli agli altri invocando il proprio concetto di famiglia un po' meno.
Che poi, cos'è la famiglia?
Negli anni '40 quando mia nonna si sposò non ancora diciottenne andò a vivere con la famiglia di mio nonno. Famiglia composta da genitori, nonni, zie, cugini, nipoti, adottati o naturali che vivevano tutti sotto lo stesso tetto in una unica comunità più o meno serenamente. La famiglia era questo, dividendo tutto, dal lavoro nei campi ai problemi quotidiani.
Quando negli anni '60 mio nonno, attratto dalla chimera di un lavoro più facile, prese l'iconoclasta decisione di lasciare la campagna per andare a fare l'operaio tirandosi dietro moglie e figlia oltre agli strali di chi restava. La sua famiglia diventò all'improvviso composta da tre persone, cambiando il concetto di tutto quello che era stato prima.
I miei genitori hanno avuto una famiglia tradizionale: matrimonio, casa, figli, tutto secondo le regole del caso, ma senza mai imporre nulla nemmeno a quelle sciagurate delle loro due creature.
La mia famiglia è ancora diversa. E' una famiglia allargata, come si dice oggi. Diversa, direbbe qualcuno. Nel peccato direbbero altri. Ho un compagno, una figlia, una figliastra. Sono madre e matrigna, nell'accezione positiva del termine (anche perché non sono certo figa come Angelina Jolie).
Qual è l'accezione giusta di famiglia?
Perché non estendere diritti basilari a tutti? Perché i miei non possono essere davvero di tutti? In un mondo dove procrea Kim Kardashian e chiama la figlia North West, è davvero così sbagliato permettere ad una coppia omosessuale di adottare?
Una volta un ragazzo gay mi disse di essere a favore del matrimonio, ma che non avrebbe mai adottato un bambino. “La vita è già abbastanza dura per me, non voglio coinvolgere altre vite” Che è un po' come dire non procreo perché questo mondo fa schifo. Corretto, per carità, ma triste e poco costruttivo.
Si può cambiare un mondo che fa schifo? Che non riconosce diritti inalienabili e dovuti? Un mondo che giudica e non permette di essere liberi nel rispetto degli altri e della legge è un mondo da risanare o da abbandonare al proprio destino? -
Di sicuro è un'Italia che andrebbe ripulita dalle influenze finto-cattoliche che vorrebbero un paese socialmente immobile e cristallizzato in un quadro che non esiste più, o che forse non è mai esistito se non nella testa di qualche burocrate vaticano.
Ecco, io per questo genere di argomenti potrei discutere per ore e far volare anche parole grosse, dimenticando la diplomazia ed il diritto di pensarla come si vuole, perché poi alla fine si può credere a tutto purché non infici la libertà degli altri.
L'avevo detto che la politica non fa per me, no?