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14 giugno 2005 2 14 /06 /giugno /2005 11:39

Adoro la moda.
Sono totalmente schiava della moda, dei cataloghi, del fashion , più in generale, diquellochepiaceame.

In particolare io adoro le BORSE.

I miei amici lo sanno, non resisto.
Per quanto possa essere minimalista in fatto di vestiti, poco eccentrica in fatto di abbigliamento, se c'è una borsa minimamente kitch nel raggio di due chilometri deve essere mia.
Ne ho collezionate nel corso degli anni davvero dei bei esemplari, sempre sfoggiati con la giusta convinzione.
Alcune bellissime perla a cui sono particolarmente affezionato sono:
- la borsa con la foto di Marilyn
- la borsa rosa piena di piccolissime pietre comprata in un outlet romano insieme alla mia Guru
- la piccolissima pochette tutta-tempestata-di-pietre-preziose acquistata a Riccione.

Tuttavia, questa insana passione è ostacolata da un grosso e vistoso problema.
No, non è quello (seppur rilevante vista l'impossibilità manifesta da parte mia di appropriarmi di una delle bellissime borse di Gucci) della vil pecunia. Il problema è ben più grave. La moda ed il senso estetico dominante, nonchè il mio, vogliono borse sempre più piccole e strette.

Mentre li uomini, lo avrete notato, conducono esistenze spartane fatte del magico trittico portafogli - cellulare - chiavi e l'anacronistico ed eventuale classico pacchetto di sigarette, noi donne non ci sentiamo libere ed autonome se non ci portiamo dietro una parte (importante) della nostra casa.
Questo spartano dovere alla leggerezza, sancito dalla moda che impone borsette più piccole del chihuahua di Paris Hilton, se mi piace in astratto, proprio non mi si confà nella cruda realtà.

Queste borsette dai nomi da panetteria parigina e dalle dimensioni ridotte, concupite dalla maggioranza delle donne e adorate sulle riviste patinate, dimostrano tutta la loro inutile geometria davanti alla ridondanza della mia Pinko Bag, scelta per le dimensioni decisamente "importanti" e per la sua smisurata capacità contenitiva.

Avete indovinato, siori e siore, sono proprio io!
La discendente in linea diretta della saccente tata Mary Poppins, la cugina di secondo grado di Doraemon, l'adepta devota di Eta Beta (ma parlo meglio).
Come una diligente lumachina, sono condannata a trascinarmi dietro buona parte della mia casa, nella remota eventualità che possa accadere qualcosa di imprevisto. Che, puntualmente, accade, ma per cui ovviamente non ho cura nella borsa.

Una delle operazioni nelle quali devo applicarmi più spesso nell'arco della giornata è quella di ravanare con la frenesia di un criceto davanti alla ciotola dei semi nella mia borsa, alla disperata ricerca di qualcosa che, secondo l'ineluttabile legge di Murphy, si trova esattamente sotto tutte le altre causandomi scene di imbarazzo da antologia.
Cerco la penna? Ecco che salta fuori la bustina viola dell'assorbente. Mi chiedono un fazzolettino? Ecco che esce fuori la boccetta del Pep. Dove ho messo l'agenda? Spuntano allegri i calzini da palestra che all'ultimo secondo mi sono ricordata di prendere per precauzione.

Gli psicologi ammmericani, che loro sì che ci capiscono nella psiche umana, sono giunti alla conclusione che nella nostra borsa noi donne portiamo a  spasso tutte le nostre nevrosi, anche le più nascoste. E la riempiamo di cose, la ingozziamo a dismisura di inutilità (o quasi) come a placare le nostre vulnerabili insicurezze, le nostre debolezze, le vanità frustrate.
Ok, fin qui mi può anche andare bene.

Ma se avesse ragione Freud, sostenendo che la borsa rappresenta simbolicamente l'utero?

Fosse vero, nel mio c'è un po' di casino...


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