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21 dicembre 2015 1 21 /12 /dicembre /2015 18:00

Sto fuori casa per 12 ore al giorno quando va male, 11 quando va molto bene.
Parto la mattina alle 7:30, porto mia figlia all'asilo ed inizia la mia giornata lavorativa.
In pausa pranzo in genere mi ci deve uscire alternativamente: la palestra, la spesa, i pantaloni da portare ad accorciare dalla sarta, un pranzo con un'amica che non vedo da tanto, il calzolaio, il pagamento delle bollette, le unghie da ritoccare (sono un essere umano anche io) ed altre 1000 mila incombenze burocratiche ed organizzative che tutti hanno in casa.

Torno a casa se va bene alle sette, passo a  caricare la gnocca a casa dei miei genitori che se la sono andati a riprendere a scuola. Mi salta incontro, felice come se avesse visto la Madonna di Medjugorje.
E c'è da capirla povera bambina, amore di mamma sua.
Non ha nemmeno due anni e ha già le incombenze che spettano a persone molto più grandi di lei, con il tempo scandito dagli impegni e da una vita che non può appartenerle.
Torno a casa e c'è la cena da preparare, i panni da stendere, le lavatrici da fare, le stanze da riordinare, la spesa da sistemare.
Spesso mando tutto a quel paese e mi butto a giocare con le costruzione sul tappeto insieme alla gnocca, e vaffanculo alla casa ordinata (ce non ho). A volte vince il senso di colpa e mi tocca cercare di rendere vivibile una casa che mi chiede aiuto in ginocchio sui ceci.

Alla fine, la giornata finisce, perché prima o poi finisce. 
Anche perché la gnocca alle nove collassa e pretende silenzio per dormire. Quindi finalmente, sempre che non mi addormenti a mia figlia, ho un po' di tempo per me e per l'Amoremio.

Mi rendo conto che sono fortunata: ho lavoro, un compagno una bellissima bimba di due anni, la fortuna di avere i miei genitori vicino che mi aiutano.

Nonostante questo,  la mia vita è molto frenetica come quello di un criceto sulla ruota, sempre sul filo del minuto, e spesso qualcosa rimane fuori. Che sia di telefonare ad una vecchia amica o lo studio che mi guarda oberato di roba da riordinare e da buttare, di cose da fare e di persone da incontrare ne ho sempre a pacchi.
Dove la mettiamo poi l'ansia e la smania di controllo?

Le mie giornate, anzi le mie settimane, passano così.
Di corsa,
Emma fra un po' fa due anni e mi sembra ieri che è nata.

Corro, è la mia vita. 
Qualcosa rimane fuori, sì, ma nei miei pensieri e nella mia mente gli amici e le persone a cui voglio bene esistono sempre. Non riesco a sentirle come vorrrei, a vederle come il mio cuore anelerebbe. Ma, mi dico, le vere amicizie capiranno, questo periodo passerà e sarà un giorno un filo regolare.

Capiranno?
Se sono amici sì, sennò pazienza. Non mi sento abbastanza carica mentalmente per avere sensi di colpa che non riguardino quella creatura di novanta centimetri che aspetta le mie attenzioni al ritorno a casa dal lavoro.

Io sopravviverò e loro pure. 

Credo.

 

 

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4 dicembre 2015 5 04 /12 /dicembre /2015 17:00

Stamattina i quotidiani riportano la morte della madre di Eluana Englaro, consumata da una lunga malattia. La vicenda di Eluana è nota a tutti, così famosa da aver generato movimenti nell'opinione pubblica, spettacoli teatrali e persino una graphic novel ispirata alla sua agonia e per questo non ne parlerò oltre, ma questo lutto seppur nella sua tipicità (una donna di 78 anni, una lunga malattia) mi ha invaso la testa di domande. 
Vorrei un interlocutore sensato, un uomo di fede saggio che risponda alle mie domande e con cui poter sedare l'inquietudine che la bambina che andava al catechismo porta dentro di sé. Non dico che vorrei la voce di Dio in persona, ma mi basterebbe Biff.

- No, ma dimmi Biff, fammi capire perché questa povera donna s'è dovuta consumare nel dolore per 17 anni? 
- Eh, tu donna partorirai nel dolore!
- No, dai, sìì  serio. A 'sta famiglia i media hanno fatto di tutto. 
- Se la sono anche cercata, predicando l'omicidio.
- Ma che omicidio, dai Biff! Non mi fare il cattolico bigotto. Ce l'avessi tu una figlia ridotta ad oggetto di arredamento manco fosse un Thun come la prenderesti?
- E' egoismo.
- Se permetti Biff, l'egoismo è un'altra storia eh...
- Phoebe carissima, è la volontà divina. L'uomo non può arrogarsi il diritto di decidere sulla vita e la morte. Solo Dio.
- Ma la volontà divina de chè? Se l'uomo non avesse inventato le macchine che la tenevano in vita ed alimentavano Eluana col cavolo che si sarebbe generato questo stillicidio infame.
- La scienza chi vuoi che l'abbia creata? Dio, no?
- Ma come, non eravate contro la scienza?
- Chi, io? Noi? No, ti sbagli.
- Scusa tanto, eh, ma allora l'inseminazione artificiale? 
- Quello è diverso.
- Diverso? 
- Sì, riguarda il sesso e quindi è terreno del diavolo.
- Ma dai. 
- Già.
- E le staminali?
- Che?
- Le sperimentazioni sulle cellule staminali, una tecnologia che potenzialmente può salvare molte vite?
- No, no. E' peccato. Non si può manipolare la vita. Solo Dio crea e distrugge.
- Fammi capire: i macchinari che tengono in vita una persona malata per anni e che è già celebralmente morta , sì. La tecnologia che può guarire, no?
- Ehm. 
- ...
- Oddio, m'ero scordato! Ho lasciato la pentola con l'acqua della pasta sul fuoco! mannaggia! O, grazie della conversazione, eh. Ci vediamo. Stammi bene. 

 

Ecco, quando una si riduce ai dialoghi immaginari comincia a diventare preoccupante.
Anche se state sereni, non sento ancora le voci.

Ancora.

 

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25 novembre 2015 3 25 /11 /novembre /2015 08:00

Sono sempre stata ansiosa, fin da piccola. 

Avevo cinque anni la prima volta che mi venne diagnosticato un simpatico dolore psicosomatico che non era spiegabile in nessun altro modo che questo: ansia. 
Andavo da mia madre e le chiedevo con aria indagatrice: "Ma tu sei felice? Sicura? Sicura, sicura, sicura?" 

Negli anni non sono migliorata, in fondo quando una ci nasce con la smania di fare, aiutare, gestire e soprattutto controllare tutto non si può far molto.
Ho imparato da me stessa che la mia ansia è come un volano e si alimenta della propria forza e frequenza. Se sono stanca, se mi sento sola o semplicemente triste, mi si accende il motore e parto, iniziando a curarmi di faccende che prima consideravo irrisorie o comunque secondarie. 
Tipo la mole impressionante di panni da lavare o stendere o piegare. Oppure le piante che non mi danno adeguata soddisfazione. E le tette? Le mie tette che cedono alla forza di gravità? Mia sorella che caspita combinerà? Ed i miei? I miei genitori avranno qualche pensiero che non mi dicono? E l'Amoremio? Perché fa quello sguardo strano? Mi nasconde qualcosa? 
Ma soprattutto, 'sta povera creatura della gnocca che si ritrova una madre come me... Sarò in grado?  

E allora corri, cerca di far tutto, con una mano stendi i panni, con l'altra giri le pagine di "La favola di mamma pipistrello" mentre rispondi con il controllo vocale ad un messaggio di una amica. Se poi c'è una crisi all'asilo della gnocca di cui sono rappresentante di classe nasce il caos, più o meno come quando riordino i giochi sparsi per casa e mi manca il pezzo giallo della torre dell'Ikea.
E l'Amoremio mi dice che faccio troppo, che voglio metter mano a tutto ed ha ragione.
Forse.
Ma posso farne a meno? O meglio, ci riesco?

Poi leggo un articolo sull'Internazionale che parla proprio di questo: fare meno. 
Fare meno.
Concedere a chi sta vicino di fare un passo verso di noi.
Fare meno: perdonarsi e accettare che il mondo vada a rotoli senza il nostro controllo. Ma anche no, forse. Che se non andasse a rotoli, sarebbe un bello smacco.

O una consolazione?

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9 novembre 2015 1 09 /11 /novembre /2015 13:00

Sono intollerante al latte da oramai sei anni, e come tutte quelle persone che non nascono con una allergia definita ma la subiscono da adulti non posso far a meno di rimpiangere amaramente tutte quelle cose che prima potevo mangiare ed ora non più.
Due sono i miei grandi rimpianti: il gelato e le Galatine. 
Mentre per il gelato c'è rimedio (oddio, non proprio uguale, però...) per le Galatine non c'è soluzione. Sono fatte di latte per l'80%, e con ingredienti buoni e semplici, senza additivi e coloranti artificiali, che quand'ero piccola la rendevano l'unico dolcetto che mia madre mi concedeva. Permissible candy, direbbero oggi le persone molto di tendenza; contentino, diceva mia madre fanatica della vita sana e scevra dalle insalubri merendine.
E aveva ragione, perché solo da grande ho scoperto quando le Galatine fossero un connubio di salute e gusto. 
Oggi il solo vedere il classico incarto delle Galatine mi riporta ai giorni delle elementari, quando mia mamma non faceva mai mancare la sorpresa di una tavoletta al latte nella tasca del mio grembiule e che mi gustavo sempre durante l'intervallo. 
Certo, oggi non posso più mangiarne, ed è un vero peccato, specie adesso che la gamma delle tavolette al latte si arricchisce del gusto latte e fragola, una coccola deliziosa e naturale per grandi e piccini.
Ma se io non posso mangiarne, posso però continuare la tradizione e darle come premio quando fa la brava ad Emma. 
La farò sicuramente contenta con un prodotto naturale e buono come le Galatine, e la tradizione di casa mia continuerà.

Di madre in figlia.

Buzzoole

Buzzoole

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5 novembre 2015 4 05 /11 /novembre /2015 08:00

Da ragazzina mi capitò per caso di imbattermi in un libercolo allora abbastanza di moda o comunque conosciuto, che per me tredicenne trattava comunque temi scottanti: "Lettera ad un bambino mai nato" di Oriana Fallaci.
Il libro, che trattava senza leggerezza il delicato tema di una maternità non cercata, non mi sconvolse né cambio nulla in me, ma mi diede la possibilità di conoscere una grande scrittrice.
Complice la biblioteca della scuola mi diedi alla lettura di tutto quello che aveva scritto nel corso degli anni e la sua presenza caratterizzò (in bene? In male?) la mia disgraziata adolescenza da secchiona.
Il mio sogno era diventare una giornalista come Oriana a vivere una grande storia d'amore come quella raccontata in "Un uomo".
Quale donna non lo vorrebbe?
Magari con un finale meno drammatico, ma alla fine si può sempre affermare di aver vissuto ed amato, no?

L'altro giorno, girando su Fb in cerca di ispirazione mattutina, mi imbatto nel commento di una poco più che ragazzina che afferma senza meno che "Belen è il mio mito, la donna perfetta!".
...
...
Ora, a me va bene tutto. Sono un apersona tollerante e aperta a (quasi) tutte le opinioni. Ma questo no. Ci sono dei limiti. Ci devono essere dei limiti a quello che la televisione commerciale può fare al cevello umano.
Belen Rodriguez.
Sicuramente molto gnocca, niente da dire. Ma è un merito o solo culo? E quando dico culo, lo intendo in molti sensi, credetemi. 
Non che tutti debbano avere miti letterari, ci mancherebbe. Mia sorella da piccola voleva essere la Carrà e la adorava in tutte le sue esternazioni. Come non considerare la Raffaella nazionale una vera icona? 
Ma Belen...
Belen!!!
Non sa ballare, non sa cantare, non sa parlare, non sa recitare.
La gnocchitudine è un punto a suo favore, ma tra venti anni ci facciamo il sapone? Che resterà di lei? Il broncio così secsi?

E' vero che nel tempo la Fallaci mi tradì nel profondo e che rileggere "Un uomo" a trentacinque anni mi ha fatto capire come gli ormoni in processione di una diciottenne possano smuovere le montagne, ma resta sempre una grande figura di riferimento.

A queste ragazzine cosa resterà?
La plastica?
La consapevolezza di non essere mai abbastanza fighe?
Un De Martino con cui fare foto hot?

Se Emma da grande avrà questi riferimenti, mi sentirò una madre fallita, che non è stata in grado di insegnare niente alla propria discendenza.

Esagero? Sono anziana?

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1 settembre 2015 2 01 /09 /settembre /2015 09:00

Rientro dalle ferie.
Shock globale.
Ufficio (composto di sole donne) in silenzio.
Solo tic tac svogliati sulla tastiera.
Amarezza.
Molta amarezza.

 

- Se rinasco, giuro che rinasco prostituta.
- Ma che dici!?!?
- Sì, sì. Ma mica una battona sfruttata, che pensi? Una di quelle d’élite, che si fanno mantenere nel lusso e non muovono un bicchiere in casa. Servite e riverite.
- Ho capito, ma ti devi incontrare bene, eh.
- Mi trovo un omino. Anziano. E mi faccio intestare tutto, ecco.
- Io invece se rinasco, voglio rinascere lesbica. Mi sono rotta dei maschi.
- Sbagli, non cambierebbe nulla. 
- Tanto alla fine una relazione è una relazione.
- Dici?
- Eh.
- Allora meglio rinascere maschio. Vuoi mettere?
- Sìììì!
- Guadagnerei sicuramente di più.
- Non come a fare la prostituta, però.
- Effettivamente.
- Eh.
- Già.
- ...
- ...
-  Io invece voglio rinascere ibrida.
- …         
- …
- …
- Caffè?
- Sì, dai.
- Andiamo.
- Meglio.
- Sì, sì.

 

E bentornati (a chi è stato in ferie).

 

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7 agosto 2015 5 07 /08 /agosto /2015 14:00

Avrei voluto scrivere un post parlando di quella gente che si fa schermo dei social per scrivere cose orrende e sostenere tesi ed idee che non avrebbe mai il coraggio di sostenere apertamente in pubblico senza vergognarsi come un ladro.

Avrei voluto scrivere di amene signore di mezza età dedite a nipoti che grazie ai social si trasformano in arrabbiate megeret rita-immigrati.

Avrei voluto scrivere del mio stato d'animo, che mi porta a sentirmi sola sopra uno scoglio con tutto il mare intorno e con la sensazione di aver passato la vita ad inseguire gente che in realtà non è interessata a te più di quanto tu non lo sia alla fisica quantistica.

Avrei voluto scrivere del mio disturbo alla tiroide che mi porta insonnia, sbalzi d'umore e sbalzi di temperatura incontrollati, rendendomi una brutta persona più di quanto la natura abbia già fatto.

Avrei voluto scrivere una recensione de "Il deserto dei tartari", libro bellissimo appena finito e colpevolmente mancante tra le mie letture. avrei voluto raccontravi del modo di scrivere di Dino Buzzati, del suo leggere l'animo umano in maniera universale, della paura del tempo che fugge, di Giovanni Drogo e della Fortezza che ci costruiamo intorno tutti quanti.

Avrei voluto scrivere un post intelligente, ironico, divertente, di quelli che rimangono nella storia e dopo anni, se li ritiri fuori, ti piacciono ancora.

Avrei voluto, sì.
Ma ogni volta che ho provato a buttar giù un'idea lei, la gnocca, arrivava come un treno in corsa davanti alla mia scrivania con la sua fila di denti in bella mostra, le fossette cicciotte e quell'espressione che la rende così somigliante a mia sorella dipinta in viso. Mi guarda ed allunga la mano e cerca la mia, in un invito più che esplicito ad andare a giocare e ballare con lei.


Come rifiutare?

 

 

 

 

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30 luglio 2015 4 30 /07 /luglio /2015 09:00

Sin da bambina sono sempre stata considerata complicata. Non mi piaceva giocare con gli altri bambini (a meno che non potessi dirigere tutto io), inventavo storie per me e le mie bambole giocando da sola per pomeriggi interi, mi piaceva costruire il mondo come volevo che fosse, eliminando tutto quello che non andava.

Facevo finta che fosse sempre tutto perfetto, senza urla, litigate o problemi da risolvere. Senza malattie a portarsi via la mente di mio nonno. No, non era vero. Il mondo era bello, io lo sapevo, e me lo sarei costruita come volevo.

Gli anni sono passati, la bambina timida e solitaria si è trasformata in una donna che troppo spesso cerca di affermare la sua personalità, anche con mezzi poco canonici.

Ma certi giorni, no.
Certi giorni è troppo faticoso.
E' troppo e basta.
Certi giorni mi sembra di esser caduta in un buco nero fatto di terra argillosa. E mi arrampico, mi graffio, ma non riesco ad uscirne nemmeno applicandomi al massimo e mi sale l'ansia, mentre le pareti mi si sbriciolano intorno.

Certi giorni mi sento all'angolo, inchiodata con i piedi al pavimento. 

C'è stato un giorno, lo ricordo bene, un giorno in cui mi son detta: "La mia vita è perfetta, non posso desiderare di più". E poi niente, l'attimo è passato e io sono rimasta qui a guardare il mondo che corre velocissimo. 

Domani magari sarà un giorno migliore. Sì, certo, lo cantava Cremonini, ma non so se nemmeno lui c'ha mai creduto veramente. Magari sì.

Magari è vero.

Magari domani smetto di vedere tutto nero.

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29 luglio 2015 3 29 /07 /luglio /2015 09:00

Molti mi chiedono perché me la prenda così tanto contro chi non veda la naturalezza delle unioni tra persone dello stesso sesso. In fondo la loro legalizzazione in Italia non riguarda qualche mio parente stretto o un amico caro.

A parte il fatto che per perseguire una ingiustizia non dovrebbe essere necessario averne titolo, quello che più mi lede il sistema nervoso è il pregiudizio ed il cinguettio sociale che lo precede e contraddistingue.

In seconda battuta, la mia incazzatura deriva dall'ignoranza che dilaga in questo paese ed alla sua ipocrisia. Oggi anche il peggior cristiano della penisola si erge a paladino della morale, rivendicando l'univocità della parola famiglia come se ne fosse l'unico fiero detentore. 

E non posso fra a meno di pensare che, in questo paese che dimentica e che copre le storture con un colpo di spugna e servendo in tavola una bella ciotola di spaghetti, i nonni o i bisnonni di quelli che ora predicano contro le famiglie diverse erano quelli che negli anni '40 e '50 ce l'avrevano con il tipo di famiglia che oggi è il mio. Sono quelli che mi avrebbero chiamato donnaccia per strada, puttana sottovoce e rovinafamiglie al bar prendendo il caffè con gli amici prima della partita di briscola.

Prima l'unica famiglia accettata era quela generata dal matrimonio cattolico, unico ed indissolubile, ed i figli nati fuori da questo inscindibile vincolo erano reietti, figli di NN  o comunque di serie B. Se poi lui o lei avevano alle spalle un matrimonio... anatema!!!!! Divorziare? Roba da andare all'inferno per direttissima, macchia incancellabile, diffida sociale! Dove mai andremo a finire?? E' la morte della famiglia!!! 
Vi suona familiare?

Poi, dopo lotte e lunghi periodi in cui i più facoltosi sganciavano denaro alla Sacra Rota per eliminare il vincolo o facevano legittimare da giudici progressisti sentenze di divorzio ottenute in altri paese, nel 1970 anche l'Italia ha avuto la sua legge sul divorzio.

Prima piano piano, poi sempre più velocemente, è diventato un fatto normale. Grazie alla legge, ad un referendum, ma anche alle telenovelas brasiliane. Tutto normale, quasi banale.

Ed eccomi qui, nel 2015. Compagna di un uomo divorziato, madre e matrigna tutt'altro che odiata. Eppure non mi hanno ancora lapidata, anzi. Anche se solo cinquant'anni fa sarei stata additata per la strada come un male della società, come Rita Pavone o la Dama Bianca. Esempi glamour, c'è poco da dire.

Eppure quello della matrigna cattiva era un mito difficile da scardinare, proveniente dalle favole, dall'inconscio nascosto di ogni babino che vive dentro di noi. Matrigne cattive, che vogliono il cuore delle figliastre per metterlo in una scatola o che abbandonano i poveri pargoli nel bosco per farli mangiare dai lupi. 
Brutte persone, insomma, ma sempre vestite bene. E' un must.
Esiste una donna più fashion di Grimilde?

Eppure niente, il loro mito è finito, destinato a rimanere confinato nelle favole di una volta. 

E allora mi chiedo, cosa risponderò ad Emma quando tra trent'anni mi chiederà: "Ma davvero neggli anni '10 c'era tutto sto casino contro le unioni civili? Mamma mia, che ridicolezza!!" Perchè non solo nel frattempo sarà diventata l'ennesima consuetudine italica che nessuno mai si era sognato di avversare.

Pensateci.

Ma soprattutto si accettano scommesse su chi sarà additato a nuovo mostro.
 


 

 

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17 luglio 2015 5 17 /07 /luglio /2015 09:00

Partiamo da un presupposto: sono stordita dalla nascita e con la vecchiaia non è che si migliori, dicono. Non aiuta nemmeno lo stress portato da una gnocca di 13 kg, seppur buonissima. 
E l'imprevisto è dietro l'angolo.

UN MESE PRIMA.
L'Amoremio alle porte del fine settimana becca un virus intestinale. Ora, come potranno testimoniare tutte le donne del mondoche sono diventate madri, avere un bambino malato è brutto, ma se si ammala il proprio compagno è nettamente peggio.
Dopo una notte in bianco, sabato mattina ci svegliamo tutti e tre con facce livide, anche se Emma ha dormito tutta la notte. Colazione, (poca) conversazione, pianificazione della giornata... e all'improvviso la gnocca si trasforma in Linda Blair ne "L'esorcista". 
Panico.
L'inconfondibile odore che emette poco dopo, poi, rivela una sconfortante verità: il virus intestinale è arrivato.
Posso morire in un angolo?

Cominciano sei ore di inferno in cui:
- l'Amoremio con 38 di febbre fa la spola tra il divano e il bagno, bianco come un cencio e con in faccia l'espressione del condannato al braccio della morte.
- Emma evacua con alternanza perfetta dall'alto e dal basso, piangendo (povera stella mia) ogni volta che le passa un crampo alla pancia.
- Io cerco invano di accudire i malati e, contemporaneamente molesto il pediatra via sms maledicendo le gionate festive.

Poi, una luce in fondo al tunnel: mia madre mi ricorda che il nostro medico di base risponde anche il sabato e che, nei tempi antichi, era anche pediatra. La chiamo e mi faccio prescrivere le medicine (per l'Amoremio)  e mille rassicurazioni sul fatto che passerà tutto presto (per la gnocca).

Approfittando di un momento di calma, scappo e vado in farmacia con una lista che nemmeno l'ipocondriaco più stressato. Prendo tutto, controllo, faccio passare la tesserina del codice fiscale, allungo il bancomat al farmacista... e niente, il vuoto.
Il PIN del mio bancomat, dopo dieci anni, è sparito dal mio cervello. Sparito, volatilizzato, perso nei vuoti tra le sinapsi del mio cervello. Bye bye, ciao ciao, auf wiedersehen. Ricordo solo vagamente il movimento della mano sui tasti, ma niente di più.
PIN ERRATO.
Al secondo tentativo il farmacista, che mi coosce bene, mi invita a fermarmi, rilassarmi e riprovare domani. O lunedì.
Pago con la carta di credito e esco dimessa.
Come è possibile? Come si può scordare un numero dopo dieci anni?
Ah, ma tornerà. Tranquilla. Ti tornerà in mente!
Certo, certamente, certino.
Sì, sì.

Per dirlo alla maniera di Oxford: col cazzo!!!  
Sono passati giorni senza vedere la luce, senza che mi tornasse in mente quel maledetto numero. Niente. Svenito. Cancellato. Andato. PERSO.
No, non l'avevo segnato.
No, il foglietto con cui me lo mandarono dieci anni fa non ce l'ho più.
No, non serve concentrarmi.
NO, NO, NO.

 

Ad oggi sono qui, una donna senza bancomat che fissa la cassetta delle lettere sperando che il postino le porti le agognate novità e e che la banca si sbrighi a riemettere la nuova tesserina.

Giuro che il nuovo PIN me lo tatuerò sul polso, anche solo per non sentirmi dire dall'Amoremio (ah, nel frattempo LORO sono guariti) quanto sono svanita e poco pratica.

 

E a voi, è mai capitato?

 

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Tutto quello che c'è nella mia testa...vita, amore, arte, libri, immaginazione, musica. Il tutto naturalmente immerso nella confusione più totale. Poco? Qualche volta, pure troppo!!!

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