C’è la crisi.
C’è la crisi, è esplosa all’improvviso e ci ha stretto lo stomaco in una morsa d’acciaio.
C’è la crisi e nessuno fino a ieri se lo aspettava, anche se gli stipendi dalla conversione in euro ad oggi non sono mai aumentati e se lo facevi notare eri un ingordo comunista
mangiabambini.
C’è la crisi ed i negozi sono pieni di gente che gira e rigira, ma non compra nulla. O comunque compra meno, non butta più. E chi se lo può permettere? Guarda, prende un oggetto in mano e
pensa “Ma questo mi serve davvero?”. E poi lo riappoggia sullo scaffale, un po’ come faceva mia nonna al mercato, quando il consumismo era un neologismo senza significato, i soldi erano
davvero pochi e ancora ci si ricordava bene della fame e dei crampi allo stomaco.
C’è la crisi ed i negozi che vendono una maglietta a mezze maniche al prezzo di un cappotto di cachemire si sono svuotati all’improvviso, mentre tutti gli altri mettono fuori cartelli di vendite
promozionali motivate nelle maniere più fantasiose, dal rinnovo locali, al compleanno del proprietario, ma in realtà è solo un modo come un altro di anticipare i saldi.
C’è la crisi, la bolla finanziaria è scoppiata e nessuno ha vigilato su qualcosa di diverso che sui propri guadagni. Enti
pubblici, società di rating, Ministeri assortiti di varie nazionalità. La colpa è di tutti, ma alla fine non è di nessuno.
C’è la crisi e tutti la vediamo all’improvviso. Tiriamo la cinghia come se tutto fosse cambiato nell’arco di una notte, ci sentiamo in guerra, non ci fidiamo più di nessuno. Il nemico è alle
porte ed è sempre più spesso identificato con il diverso da noi. Che vogliono ‘sti cinesi? Ma quanti so? Ed i rumeni? Tutti ladri! Sono tutti lì a portarci via lavori che non vogliamo (o
non volevamo?) fare più. Il manovale, la badante, l’operaio, il facchino. Vivono vicino a noi e all’improvviso ci fanno paura: sono loro che vogliono portarci via il benessere?
C’è la crisi, il pasticcio di Alitalia, i tagli all’istruzione. Nessuna novità, se non ci fosse la crisi.
C’è la crisi, dicono i giornali. Lo battono e lo ribattono, numeri su numeri, allarme dietro allarme. L’economia è al collasso, l’ambiente si ribella, la fine del mondo incombe. Ma sarà proprio
vero? Il nostro amato premier sorride, quindi così nera non potrà essere.
A parte l’ironia, la crisi c’è e si vede. Le aziende chiudono o producono di meno, la sfiducia della gente è palpabile.
Forse è perché quel consumismo esasperato che gli anni ‘80 e ’90 ci hanno insegnato con tanto amore è finito. Non possiamo comprare più un paio di scarpe alla settimana, se il televisore si
guasta invece di buttarlo e prenderne un altro dobbiamo per lo meno provare ad aggiustarlo.
E forse, dico forse, il disprezzo con cui abbiamo ammucchiato cose inutili per anni, stipandole in armadi sempre più stracolmi dovrebbe insegnarci qualcosa di più.
O magari ha ragione John Titor.
Ci preoccupiamo troppo, tanto nel 2012 inizierà comunque una nuova era fondata sulla riscoperta dei valori veri e sull’amore. Sempre che sopravviviate ad una guerra nucleare.
O che non arrivi la fine del mondo come dicevano i sacerdoti Maya…