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12 maggio 2010 3 12 /05 /maggio /2010 21:42
E’ sempre stato così.
 
Alle elementari i miei temi facevano il giro della scuola e le maestre li leggevano come esempio agli altri bambini. Rendendomi simpatica come uno scarafaggio in bagno, questo c’è da dirlo.
Una volta, in seconda, mi sono azzuffata con la figa della classe che con l’arroganza di Mimi Ajuahara disse alla maestra che il racconto che avevo scritto l’avevo copiato: c’aveva le prove. Prove che, dopo 28 anni non mi ha ancora mostrato, ma che le sono costate un paio di ciocche di capelli biondi.
Alle medie i concorsi vinti e le lodi si sprecavano, ma non furono sufficienti ad impedire ai miei genitori l’iscrizione al riformatorio
 
Da qui il buio.
 
Ricominciai  a scrivere davvero solo all’Università, riaccostandomi a quello che per me è stato sempre paragonabile ad una funzione vitale. Scrivere è come la cioccolata: mi fa sentire meglio, più vitale, più viva. Nel 2003 aprii il mio primo blog. Per noia, per voglia di scrivere e farmi vedere. 
 
Nel web, si diceva, qualche editore potrebbe notarti. 
Farti pubblicare un libro. 
Diventare la nuova J.K. Rowling!
Sì certo, infatti.
Come no.
Sìsìsì.
E’ così che succede.
La gente ti legge, su carta e su internet, e ti loda. 
E così uno ci pensa.
Ci prova.
Ci spera.
 
Ma perché non scrivi per vivere?
Sei sprecata!
Buttati!Non hai coraggio, fidati delle tue grandi capacità!
Sei bravissima, dovresti dedicarti di più!
Hai talento!
Se ci credi, riuscirai!
 
Ma vaffanculo.
Certo. Perché infatti in Italia tutto ciò è possibile.
Sarà che capitano solo a me editori che propongono pubblicazioni “a contributo fisso”. Il tuo, però. Giornali che ti pagano ogni volta che passa la cometa di Halley. Gente che ti dice “Sei brava, se vuoi lavorare con noi però… non abbiamo i soldi per pagarti, quindi gratis”.
C’è la crisi.
Mi dispiace.
Vuoi essere pagata per il tuo lavoro? Ma che assurdità! C’è la fila fuori di gente che lavorerebbe gratis, e tu? Tu? TU? 
Tu ti vuoi far pagare???????
Non essere ridicola!
C’è la crisi.
 
Sarà che gira male oggi, ma il prossimo che mi dice perché non scrivo per vivere (visto che sono brava, sono un  genio, sono una scrittrice provetta) si becca una testata fortissima in faccia.
E lo so che sono fortunata: c’è la crisi e io ho due lavori. Uno pagato male e l’altro per niente, ma c’è chi sta peggio.
In fondo, c’è la crisi.
 
Ma sono scoraggiata, e non so come farmi passare questo momento grigio.
Poi magari domani mi telefona un editore/direttore onesto e comprensivo e mi cambia lo scenario.
Magari, dico.
 
 
Ma c’è la crisi, baby…

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11 maggio 2010 2 11 /05 /maggio /2010 22:34
Negozio di spezie a El Quseir. Io e l’Amoremio siamo in cerca di cannella, coriandolo  e tè alla menta da riportare a casa. Noi e la nostra combriccola siamo gli unici occidentali del mercato serale, ma siamo anche abbastanza tosti da saper contrattare con gli egiziani senza dire subito sì.  
Come ci ha spiegato la nostra guida, Adam, per gli egiziani contrattare è una forma di rispetto, un’usanza, ma anche una sceneggiata molto mediterranea con cui si divertono a chiacchierare e ammazzare il tempo.
Una fatica per i turisti più impazienti, un diversivo per chi è tignoso come noi.

 
Dopo 30 minuti di estenuante trattativa con Mustafa, il prezzo è sceso da cinquanta a ventidue euro. Io miro ai venti. Siamo ancora in lotta, comunicando un po’ in inglese e un po’ in italiano, quando lui guarda l’Amoremio e gli fa: “Terribile tua donna. Moglie?
Amoremio: “No
Mustafa: “Allora tu puoi vendere?” 
 
Apro una parentesi. Gli egiziani giocano molto sulla storia del baratto donne/cammelli per far ridere i turisti e rendersi simpatici arruffianandosi la clientela.  
Magari 30 anni fa sarà stato anche vero, ma ora è solo una leggenda ad uso e consumo della trattativa commerciale. Non penso che ci siano egiziani disposti a barattare cammelli per una bionda, ma è certo che i colori nordici in Egitto sono più apprezzati che altrove e non è inusuale che una bionda con gli occhi chiari riceva fischi e apprezzamenti anche se chiattona.
Non è un caso che qui ci siano più russi che egiziani.
Chiusa la parentesi.

 
Io mi fingo accigliata, rido, e ribatto: “E che ci fai con me? Sono scura di pelle e capelli. Praticamente egiziana!
Mustafa mi strizza l’occhio e ribatte: “Tu parla inglese ed italiano, buona per affari! Io vado a fumare narghilè e tu mandi avanti negozio!!
Ma pensa tu.
Pure l’egiziano maschilista fannullone.
Senza mollare la trattativa l’Amoremio gli risponde: “Che offri?
Mustafa sghignazzando sotto i baffoni: “Mmmm… cammelli?
Amoremio: “No, no, e dove li metto in Italia? Contrattiamo in soldi!
Mustafa: “Lire egiziane?
Amoremio: “Macchè! Con le lire egiziane ci compri tua sorella!
Mustafa: “E allora? What?
Amoremio, sempre più divertito: “Euro, oppure dollari!
Mustafa: “Eh!!! Italiano esigente! Però prima per stabilire valore misuriamo caviglia!
Phoebe: “Come??
Amoremio: “Dai, su, fatti misurare la caviglia!
Mustafa: “Dai caviglia?” e tira fuori una specie di metro da sarto.
Io sbarro gli occhi, incredula mentre l’Amoremio mi sollecita: ”Alza il piede, dai!
Phoebe: “Amore, ma la pianti?” Mi comincio un po’ a scocciare, non perché penso di rischiare la cessione (e poi, cessione ma di che? Mica sono una gallina!), ma perché questi due parlano come se io non fossi presente e la femminista che è in me comincia a scalciare. Torno seria: “Possiamo gentilmente tornare a parlare di spezie?
Momento di silenzio. 
Mustafa: “Va bene venti euro, ma tienitela tua donna. Troppo terribile!
L’Amoremio ride sotto i baffi: “Eh, lo so. Ma io sono un tipo paziente!
 
Sì certo, vabbè.

I maschi...

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4 maggio 2010 2 04 /05 /maggio /2010 20:55
Tramite Facebook (e gli amici degli amici degli amici) sono venuta a conoscenza del divertente e sagace, nonché ahimè attualissimo, blog di Luce, ovvero Una vita da stRagista.
Le sue disavventure in un’Italia in cui “la parola lavoro fa paura, è come quando preferisci dire esco con un tipo, o ci vediamo ogni tanto, piuttosto che stiamo insieme” sono comiche  e tragiche insieme, mostruosamente vere.
 
E mi hanno fatto ricordare le mie esperienze devastanti alla ricerca di un lavoro sottopagato (siamo in Umbria, baby) che mi hanno portato di fronte a soggetti dickensiani. O fascisti, a scelta. 
Premessa.
Dopo l’Università ho trovato subito un lavoro sottopagato, ma a tempo indeterminato. Privilegiata senza dubbio, se non fosse ché la brillante azienda che mi assunse passò da crescita vertiginosa e grosse promesse a azienda in crisi subito dopo il mio ingresso. Porto sfiga?
Annaspando per non affogare con la baracca, iniziai a fare curriculum spam, inviandone in ogni dove. Così rimediai diversi calcioni nel didietro e un paio di perle che vi vado a raccontare.
 
Prima perla.
Mi chiama l’azienda Puliti&Lindi Spa per un colloquio. Si tratta di una realtà importante nei dintorni fatti di fabbrichette di rumeni, il solo invito presso la loro sede mi fa saltare dalla gioia. Mi reco speranzosa col mio tailleur della tesi. Bellina. Una bimba. Un bijou.
Mi accoglie Jabba The Hutt con la cravatta ed il sigaro. Acceso.
Jabba: “Mi dica signorina, vedo che lei è laureata in Giurisprudenza. Perché non fa l’avvocato?” 
Simpatico. Cominciamo bene.
E giù io a spiegargli (sorridendo, sempre sorridendo) che faccio anche pratica mentre lavoro, che non è facile, che voglio fare qualcosa di diverso, blabla blabla.
Lui mi guarda sornione e io temo cacci fuori la lingua da salamandra in tutti i momenti.
Jabba: “Guardi, lei è la persona che mi serve”
Bene benissimo. Mi sistemo meglio sulla sedia. “Vede” continua lui “qui non c’è un ufficio legale, siamo cresciuti troppo in fretta e ci è rimasta appesa questa questione. E’ tutto lasciato alla rinfusa. Gestito così, capisce, in uno sgabuzzino. Ci sarebbe bisogno di una persona… idonea.” 
Sì sì, annuisco. Capisco. Capisco. “Almeno finché mio nipote non finisce la facoltà, gli manca poco. Conosce come vanno certe cose, no? Studia alla LUISS, lui.”
Capisco? No, non capisco. E allora sorrido stentata. Mentadent aiutami tu.
Ma Jabba continua: “Così io le offrirei un bel contratto a tempo determinato. Mesi sei. Dieci, undici ore al dì. Senza straordinari, eh, che si deve far le ossa. Terzo livello minimo contrattuale. Poi vediamo. Sa, con mio nipote…”
Io sorrido, lui sorride. 
Silenzio. 
 
Posso mandarti affanculo col primo treno, caro Jabba The Hutt? Fammi capire, tu vorresti che io cacciassi fuori ragni e disastrosi cadaveri legali dal tuo sgabuzzino,  sputassi sangue undici ore al dì sistemando tutte le cartacce e le controversie sospese, senza parlare del recupero crediti, per poi lasciare il tutto lindo e profumato al tuo nipotino fresco di laurea? Il tuo nipotino che, magari, c’ha 40 anni e non riesce a laurearsi nemmeno coi bollini della Esso?? Guarda che idonea non vuol dire cogliona!
 
E invece o risposto: “Grazie, ci penserò. Sa, ho anche altre offerte” e me ne sono andata.
E vaffanculo, eh!
 
Seconda perla
E così me ne tornai sconsolata a casa. Giusto il tempo per rispondere al cellulare. Siamo la casa editrice Truffaldini srl, può venire per un colloquio? Ma con le mani e coi piedi, ci vengo anche gattonando sui ceci! Entusiasta, e leggermente più casual, vado. Al macello.
Dopo quaranta minuti di anticamera una ossigenata segretaria cinquantenne mi spalanca le porte dell’editoria. Che nel mio caso hanno il viso e l’appeal di Mr. Burns.  Allungo la mia mano verso di lui e mi presento. Lui si toglie gli occhiali e inizia a pulirli con una pezza di daino (povera bestia), lasciando il mio arto appeso al nulla. Mi siedo, non invitata, e lui inizia un soliloquio su:
1) quanto sia difficile il mondo dell’editoria
2)I giornalisti che sono tutti stronzi comunisti sindacalisti
3)I contributi statali che non arrivano
4)Piove governo ladro
E io lì, con la copia del mio curriculum in mano. All’improvviso sembra rendersi conto che ci sono anch’io, che non siamo allo yacht club e che dovrebbe (forse) parlare del mio lavoro. Mi guarda con gli occhietti miopi, senza smettere mai di pulire gli occhiali con la pezza di daino con movimenti rotatori che hanno dell’ipnotico. “Vede,” mi dice alla fine “lei mi piace. E’ dinamica” 
Oh, tira là. 
Mr  Burns: “Vede, noi stiamo creando un giornale di annunci  che chiameremo Perugia Annunci o simili. Mi serve gente come lei che lo crei dal nulla, che ci si dedichi, che lo metta al mondo come un bebè. Un lavoro totalizzante e impegnativo. Anche 14 ore al giorno!! Se la sente?”
Ho le stelline agli occhi. Cavoli!!!! Così gli rispondo: “In effetti, bèh… è una sfida interessante!! Io sarei…” 
Mr Burns: “Ovviamente dovrà pensare lei a tutto: reperire investitori, selezionare annunci, creare il giornale dal nulla. Un bella sfida, di responsabilità”.
Io annuisco con veemenza, lui continua a pulirsi gli occhiali.
Mr  Burns: “Naturalmente con il co.co.co. possiamo offrirle al massimo € 300 al mese. Nette, si intende.”
Sono traumatizzata. 
Cioè. 
 
Tu, vecchio spilorcio vuoi che IO crei un giornale dal nulla, da sola, lavorando 14 ore al giorno per 300 euro al mese? Trecento? Non mi ci pago nemmeno la benzina per venire al lavoro tutti i giorni con i tuoi trecento schifosissimi euro! Ma poi, si può offrire un incarico di responsabilità a qualcuno per questa cifra? IO NON HO PAROLE! 
 
Sto per urlargli in faccia il mio disappunto quando lui mi frena: “Guardi, però non voglio illuderla. Sa, abbiamo molti altri candidati per questo posto, alcuni con molta più esperienza di lei.”
Phoebe: “…”
Mr. Burns: “Le faremo sapere”
Phoebe: “…”
Ora, io avrei tanto voluto conoscere gli altri derelitti con più esperienza di me, così disperati da accettare un’offerta come questa. Trecento euro al mese. T-R-E-C-E-N-T-O. 
Sono passati 5 anni e questo giornale non è mai venuto alla luce.

Qualcosa vorrà dire.
 
 
Chissà se il nipote di Jabba poi s’è laureato…ramite Facebook (e gli amici degli amici degli amici) sono venuta a conoscenza del divertente e sagace, nonché ahimè attualissimo, blog di Luce, ovvero Una vita da stRagista.
Le sue disavventure in un’Italia in cui “la parola lavoro fa paura, è come quando preferisci dire esco con un tipo, o ci vediamo ogni tanto, piuttosto che stiamo insieme” sono comiche  e tragiche insieme, mostruosamente vere.
E mi hanno fatto ricordare le mie esperienze devastanti alla ricerca di un lavoro sottopagato (siamo in Umbria, baby) che mi hanno portato di fronte a soggetti dickensiani. O fascisti, a scelta. 
Premessa. Dopo l’Università ho trovato subito un lavoro sottopagato, ma a tempo indeterminato. Privilegiata senza dubbio, se non fosse ché la brillante azienda che mi assunse passò da crescita vertiginosa e grosse promesse a azienda in crisi subito dopo il mio ingresso. Porto sfiga?
Annaspando per non affogare con la baracca, iniziai a fare curriculum spam, inviandone in ogni dove. Così rimediai diversi calcioni nel didietro e un paio di perle che vi vado a raccontare.
Prima perla.
Mi chiama l’azienda Puliti&Lindi Spa per un colloquio. Si tratta di una realtà importante nei dintorni fatti di fabbrichette di rumeni, il solo invito presso la loro sede mi fa saltare dalla gioia. Mi reco speranzosa col mio tailleur della tesi. Bellina. Una bimba. Un bijou.
Mi accoglie Jabba The Hutt con la cravatta ed il sigaro. Acceso.
Jabba: “Mi dica signorina, vedo che lei è laureata in Giurisprudenza. Perché non fa l’avvocato?” 
Simpatico. Cominciamo bene.
E giù io a spiegargli (sorridendo, sempre sorridendo) che faccio anche pratica mentre lavoro, che non è facile, che voglio fare qualcosa di diverso, blabla blabla.
Lui mi guarda sornione e io temo cacci fuori la lingua da salamandra in tutti i momenti.
Jabba: “Guardi, lei è la persona che mi serve”
Bene benissimo. Mi sistemo meglio sulla sedia. “Vede” continua lui “qui non c’è un ufficio legale, siamo cresciuti troppo in fretta e ci è rimasta appesa questa questione. E’ tutto lasciato alla rinfusa. Gestito così, capisce, in uno sgabuzzino. Ci sarebbe bisogno di una persona… idonea.” 
Sì sì, annuisco. Capisco. Capisco. “Almeno finché mio nipote non finisce la facoltà, gli manca poco. Conosce come vanno certe cose, no? Studia alla LUISS, lui.”
Capisco? No, non capisco. E allora sorrido stentata. Mentadent aiutami tu.
Ma Jabba continua: “Così io le offrirei un bel contratto a tempo determinato. Mesi sei. Dieci, undici ore al dì. Senza straordinari, eh, che si deve far le ossa. Terzo livello minimo contrattuale. Poi vediamo. Sa, con mio nipote…”
Io sorrido, lui sorride. 
Silenzio. 
 
Posso mandarti affanculo col primo treno, caro Jabba The Hutt? Fammi capire, tu vorresti che io cacciassi fuori ragni e disastrosi cadaveri legali dal tuo sgabuzzino,  sputassi sangue undici ore al dì sistemando tutte le cartacce e le controversie sospese, senza parlare del recupero crediti, per poi lasciare il tutto lindo e profumato al tuo nipotino fresco di laurea? Il tuo nipotino che, magari, c’ha 40 anni e non riesce a laurearsi nemmeno coi bollini della Esso?? Guarda che idonea non vuol dire cogliona!
 
E invece o risposto: “Grazie, ci penserò. Sa, ho anche altre offerte” e me ne sono andata.
E vaffanculo, eh!
 
Seconda perla
E così me ne tornai sconsolata a casa. Giusto il tempo per rispondere al cellulare. Siamo la casa editrice Truffaldini srl, può venire per un colloquio? Ma con le mani e coi piedi, ci vengo anche gattonando sui ceci! Entusiasta, e leggermente più casual, vado. Al macello.
Dopo quaranta minuti di anticamera una ossigenata segretaria cinquantenne mi spalanca le porte dell’editoria. Che nel mio caso hanno il viso e l’appeal di Mr. Burns.  Allungo la mia mano verso di lui e mi presento. Lui si toglie gli occhiali e inizia a pulirli con una pezza di daino (povera bestia), lasciando il mio arto appeso al nulla. Mi siedo, non invitata, e lui inizia un soliloquio su:
1) quanto sia difficile il mondo dell’editoria
2)I giornalisti che sono tutti stronzi comunisti sindacalisti
3)I contributi statali che non arrivano
4)Piove governo ladro
E io lì, con la copia del mio curriculum in mano. All’improvviso sembra rendersi conto che ci sono anch’io, che non siamo allo yacht club e che dovrebbe (forse) parlare del mio lavoro. Mi guarda con gli occhietti miopi, senza smettere mai di pulire gli occhiali con la pezza di daino con movimenti rotatori che hanno dell’ipnotico. “Vede,” mi dice alla fine “lei mi piace. E’ dinamica” 
Oh, tira là. 
Mr  Burns: “Vede, noi stiamo creando un giornale di annunci  che chiameremo Perugia Annunci o simili. Mi serve gente come lei che lo crei dal nulla, che ci si dedichi, che lo metta al mondo come un bebè. Un lavoro totalizzante e impegnativo. Anche 14 ore al giorno!!Se la sente?”
Ho le stelline agli occhi. Cavoli!!!! Così gli rispondo: “In effetti, bèh… è una sfida interessante!! Io sarei…” 
Mr Burns: “Ovviamente dovrà pensare lei a tutto: reperire investitori, selezionare annunci, creare il giornale dal nulla. Un bella sfida, di responsabilità”.
Io annuisco con veemenza, lui continua a pulirsi gli occhiali.
Mr  Burns: “Naturalmente con il co.co.co. possiamo offrirle al massimo € 300 al mese. Nette, si intende.”
Sono traumatizzata. 
Cioè. 
 
Tu, vecchio spilorcio vuoi che IO crei un giornale dal nulla, da sola, lavorando 14 ore al giorno per 300 euro al mese? Trecento? Non mi ci pago nemmeno la benzina per venire al lavoro tutti i giorni con i tuoi trecento schifosissimi euro! Ma poi, si può offrire un incarico di responsabilità a qualcuno per questa cifra? IO NON HO PAROLE! 
 
Sto per urlargli in faccia il mio disappunto quando lui mi frena: “Guardi, però non voglio illuderla. Sa, abbiamo molti altri candidati per questo posto, alcuni con molta più esperienza di lei.”
Phoebe: “…”
Mr. Burns: “Le faremo sapere”
Phoebe: “…”
Ora, io avrei tanto voluto conoscere gli altri derelitti con più esperienza di me, così disperati da accettare un’offerta come questa. Trecento euro al mese. T-R-E-C-E-N-T-O. 
Ma se sono passati 5 anni e questo giornale non è mai venuto alla luce, bèh, qualcosa vorrà dire.
 
Chissà se il nipote di Jabba poi s’è laureato…

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2 maggio 2010 7 02 /05 /maggio /2010 20:04
Gli uomini non si sanno proprio approcciare ad una donna.
Almeno, una bella fetta della popolazione maschile ha questo problema.
C’è qualcosa nel loro DNA che se da un lato li spinge a cercare la riproduzione ad ogni costo, dall’altro li mette a rischio di estinzione come e più del Dodo.
Esempi? Ve ne porto subito uno.
 
Anni fa ero ad una festa.
Oddio, detto così sembro mia zia Concetta,  comunque è così.
Andiamo avanti.
Dicevo, ero ad una festa, una qualche inaugurazione piena di gente finto chic tardo adolescenziale. Io e le mie amiche eravamo lì soprattutto perché gratis, quando entra un ragazzo bello come Apollo che innalza immediatamente la media della festa. Ragazzine uggiolanti come cocker denutriti iniziano a fare commenti a bassa voce, mentre io scuoto la testa.
Anche da lontano avevo notato che il tizio portava in dotazione, oltre una notevole tartaruga di addominali evidenziata dalla magliettina bianca di due taglie più piccola, anche uno sguardo così simile alle mucche che guardano il treno passare ruminando erba medica e fiori di tarassaco da renderlo intrigante come le mele cotte.
Sbuffo e lo accatasto tra tutti gli altri maschi che pascolano la festa, salvo ritrovarmelo a cinque centimetri dalla faccia davanti al vassoio dei canapè.
Lui sventolando le ciglia mi stupisce con un classico: “Ciao, mi chiamo XXXXXXX” 
Le ragazzine onnipresenti mi lanciano sguardi d’odio. “Hmmm… ehm… ciao, io sono Phoebe
Da qui inizia una conversazione surreale su capelli/sopracciglia/palestra che sono in grado di sostenere solo  spegnendo due terzi del cervello. Finché arriviamo al momento clou. Mi guarda e chiede: “Ti va se ci vediamo domani sera?”  
Spalanco gli occhi un po’ per la sorpresa, un  po’ perché conscia del tentativo di linciaggio che rischio di subire ad opera delle ragazzine uggiolanti. 
Ora, a mia parziale discolpa va detto che:
- Anche se con lo sguardo bovino, rimaneva sempre un gran pezzo di gnocco e ai gran pezzi di gnocco in genere si dà una seconda chance.
- Uscivo da una relazione complicata (prima che la codificasse Facebook, vorrei sottolinearlo) e volevo aria fresca, magari anche un diversivo che non mi facesse pensare a quello stronzo del mio ex.
- Mi annoiavo. Molto.
Così emetto un flebile “ok” e gli passo il mio numero. 
Le mie amiche mi saltellano intorno, benedicendo l’acchiappo e proponendosi per (eventuali) amici altrettanto fighi.
La sera dopo usciamo. 
 
Mi viene a prendere, bel ristorante, passeggiata, lui cavaliere, tutto preciso. Che noia. Oddio che noia. La serata più noiosa della mia vita. E che frustrazione, anche. Perché Dio dovrebbe dare un aspetto così ad uno col cervello più vuoto di un attivo di Dollhouse?? Perché? Dopo avermi chiesto:
1) se la facoltà di Giurisprudenza fosse difficile 
2) cos’è un blog 
3) cos’è un blog 
4) cos’è un blog che non ho capito le altre due volte
L’apice è stato toccato dalla frase “Non capisco come fai a leggere così tanto. I libri non ti si mischiano in testa?” Sì, sapessi come frullano!!!!
Saliamo in macchina e mi accompagna a casa. Metà del mio cervello sta contando le pecore che saltano un immaginario steccato, mentre l’altra metà sta cercando di inventare strategie per evitare un imbarazzante quanto indesiderato approccio sessuale da parte sua. 
Arriviamo sotto casa mia.
Lui ferma la macchina.
La spegne.
Ohia.
La vedo male.
Silenzio.
Mentre preparo la frasetta di circostanza tipo “Sono cattolica osservante, non-te-la-posso-dare” oppure “Scusami devo scappare che domani mi alzo presto. Sai, devo emigrare in Ucraina”, o anche il classico “Ho il ciclo. Perenne.”, lui mi sorprende attaccando un discorso filosofico. 
Filosofico a modo suo, chiaramente. 
Sai” mi dice torturandosi le mani e fissando il tappetino “Tu mi piaci molto e con te sto bene. Mi diverto e sei interessante, ho molto da imparare.” Ecco, ora mi sento davvero zia Concetta alla fiera della padella da crepes. Poi continua: “Ma sai… vedi… io sono abituato ad uscire solo con modelle. Alte, magre, belle, magari stupide, ma non posso farne a meno. Ci ho provato, ma per me l’aspetto fisico è troppo importante. Scusami ma è meglio se tronchiamo qui.”
Phoebe: “…”
Lui: “…”
 
Tante cose mi sono passate per la testa. 
 
Ma brutto australopiteco palestrato col cervello di gallina, come ti permetti di definirmi così poco metaforicamente un cesso? Tu sì che sei bravo a fare i complimenti ad una donna!!!!
Sei TU che mi hai chiesto di uscire e poi mi dici che per te l’aspetto fisico è troppo importante???
Ma vedi di andare a quel paese a piedi, và! Tu e le sciacquette con cui esci di solito il cui unico problema è dato dalla decisione tra scarpe a punta tonda o open-toe.
Senza considerare che non te l’avrei data mai, ma proprio MAI, nemmeno fossi stato l’ultimo sul pianeta, nemmeno da ubriaca tronca di Amaretto di Saronno!
Invece, da vera signora, ho detto solo: “Allora ciao” e sono scesa.
Deficiente.
 
Qualche volta l’estinzione della specie sarebbe auspicabile…

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30 aprile 2010 5 30 /04 /aprile /2010 22:52
In Italia stiamo messi male.
La cultura vacilla, non esiste più.
Insegnanti sottopagati.
Istituzioni vacillanti.
I libri più venduti sono best seller di cucina o idiozie mocciane.
Ragazzini forgiati sull’onda emotiva delle vicende sentimentali di Fabrizio Corona e comandati dallo spirito guida di Maria De Filippi.
 
Ma, oggettivamente parlando, la culla della democrazia non è che stia messa meglio.
Anche se la garrula giornalista de Il Foglio batte allegramente il cinque a queste teorie, ammirandone la comunicazione intelligente, sottotitolando tronfia che in America la scimmia non è più un dogma.
Complimenti.
Forse la scimmia ce l'ha lei.
Gli USA, un paese in cui Kirk Cameron, un soggetto passato da attore teen ager a sacerdote stempiato (io non ho parole), ha più credito di Charles Darwin, eminente scienziato visionario per la sua epoca e delle teorie evoluzionistiche non sta certo messo meglio di noi.
Caro Kirk, se per te “Il darwinismo è ateismo mascherato da scienza” ho una proposta che non potrai rifiutare. Ti offro un pacchettino ben incartato, con un bel fiocco colorato e contenente:
- Il santissimo Joseph Alois Ratzinger, papa supremo.
- Il vescovo Angelo Bagnasco, grande moralizzatore. 
- L’arcivescovo Rino Fisichella, fine teologo.
- Tutti i loro amichetti preti bigotti.
 
E grazie eh, che così, magari, noi in Italia senza la loro ingombrante presenza politica e mediatica  riusciremo a mettere in cantiere un paio di elementari riforme sociali.
Ah, tanto che ci sono, unisco anche il Nano Cavaliere per completare il bouquet offerto. C’ha una certa età, ma è ben tenuto e poco usato: in genere usa gli altri.
 
 
Te lo mando a spese mie, guarda, attendo tuo cenno…

PS. Grazie mille a Galatea per lo spunto!!!

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29 aprile 2010 4 29 /04 /aprile /2010 22:41
Io difficilmente mi adeguo alla vita del villaggio turistico. Voglio vedere, capire il luogo in cui mi trovo, parlare con la gente. Respirare il luogo in cui mi trovo, che è unico e irripetibile, non standardizzato in catene di montaggio vacanziere. Che resta di una vacanza se non si impara nulla? Se non serve anche  a porsi domande, a crescere?
 
Così la visita ad El Qusier si è rivelata una valida soluzione alla nostra voglia di evadere. 
Ci portano a visitare una chiesa costruita all’inizio del secolo da una comunità di italiani (fondatori della città), arrivati fin qui per lavorare  in una fabbrica di fosfati tricolore (ora spostata altrove, a metà strada con Hurgada). 
La Chiesa ci viene spacciata per cattolica da Adam, la nostra guida, che però essendo musulmano si rifiuta di accompagnarci dentro perché non se la sente, lasciandoci in balia di un sacerdote vestito come un beduino che parla solo arabo. Ha un turbante in testa, per dire.
Chiaramente qualcosa non torna, anche perché l’interno è pieno di simboli ignoti e di scritte in greco. Anche nella struttura ricorda più una moschea che una Chiesa cattolica, mi guardo intorno e non riconosco l’iconografia.
E’ chiaramente una chiesa copta ortodossa, mi dico, ma non ho il tempo per riflettere perché il sacerdote inizia a sbraitare in arabo, gesticolando e minacciando a scapito di un gruppo di romani intenti a fotografare l’altare e calpestarne il tappeto. Il sacerdote è davvero molto agitato, tanto da urlare in faccia ad un dodicenne con l’apparecchio che credo diventerà presto un fedele leghista intollerante. Finisce col buttarci tutti fuori, andandosi a lamentare con la guida, che lo calma all’egiziana. E cioè con una mancia. 
Adam ci informa così che abbiamo calpestato un’area sacra senza toglierci le scarpe e lui s’è offeso.
Ora, all’interno non c’erano cartelli in nessuna lingua, sono certa perché io sono molto attenta a queste cose, e il sacerdote parla solo arabo.
E noi no, chiaramente.
Come potevamo sapere?
Certo, se la guida ci avesse accompagnato e tradotto le prescrizioni del sacerdote sarebbe stato diverso, ma lui non se l’è sentita. Non è che non poteva, non se l’è sentita.
Ma io dico, che pensava? Che Allah lo fulminasse? Di prendere fuoco appena varcato l’ingresso? Che Gesù scendesse da un quadro per pugnalarlo di persona? Oppure temeva di essere convertito?
Non capisco.
 
Andiamo oltre, visitando la moschea di El-Takwa. 
O meglio, vedendola da fuori perché in Egitto le moschee non si possono visitare. Arriviamo giusto in tempo per sentire la chiamata del muezzin alla preghiera, una cosa che ho trovato davvero emozionante. La voce leggermente distorta dal microfono che esce dal minareto sembra entrare nell’anima, ammonire l’uomo moderno, richiamarlo alla spiritualità. Il tutto, anche se non so dire nemmeno “dov’è il bagno” in arabo.  Ascoltiamo la spiegazione della guida assistendo all’affluire dei fedeli alla moschea. Uomini, ovviamente. Mentre stiamo là fuori, una signora che avrebbe potuto essere mia madre compie la sconsideratezza di avvicinarsi troppo per fare una foto.
Non è entrata, sia chiaro.
Ha solo salito 2 gradini.
Scoppia il finimondo. Escono due uomini dalla moschea, arrabbiati come se gli avessero rigato la macchina con un cacciavite. Si rischia la crisi, ma Adam si mette in mezzo e placa gli animi alla egiziana. Cioè con una mancia.
I due se ne vanno stizziti ed Adam non manca di redarguire pesantemente la signora sull’importanza del rispetto e lei, imbarazzatissima, balbetta scuse.
Ora, a me un paio di domandine sono sorte subito.
Tutto ciò non poteva essere evitato con una organizzazione più accurata?
 
La religione, sì sa, è un argomento delicato, privato anche, per cui è facile offendere e sentirsi offesi. Ma quello a cui ho assistito in entrambi i casi non ha a che fare con l’ignoranza né con l’intolleranza. 
In entrambi i casi, ma specialmente nel primo, la mancanza di comunicazione è la causa. L’ottusità della guida ha fatto il resto. Paura, ottusità e mancanza di comunicazione tra mondi e continenti differenti hanno fatto nascere più di una guerra. E spesso per motivi futili, figuriamoci se ci mettiamo di mezzo la religione.
La fede, qualunque fede, si costruisce su una serie di riti e dettagli congelati nel tempo in rituali spesso svuotati da ogni valore. Io ho smesso di andare in Chiesa il giorno in cui mi sono accorda di ripetere parole e gesti a pappagallo, senza pensare. Un rito collettivo vuoto, come guardare il Grande Fratello senz’audio. Spaventoso. 
Ma non per tutti è così e se è vero che in molte chiese italiana ancora è necessario un abbigliamento consono per poter entrare, mi chiedo se lo sdegno sociale che provocherebbe l’inosservanza di questa regola sarebbe pari a quello a cui ho assistito in queste due occasioni.
Forse no.
Ma siamo più avanti o più indietro?
Stiamo perdendo la nostra identità culturale o adoriamo solo altri dei?
Da piccola se prima di voltare le spalle altare non mi inginocchiavo e facevo il segno della croce don Bruno mi staccava un orecchio a suon di schiaffi. Ora nessuno lo fa più. O quasi.
A chi importa?
 
A Dio non credo proprio…

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27 aprile 2010 2 27 /04 /aprile /2010 22:15
Me ne sto spaparanzata sul divano a leggere.
relax.
Nulla può turbarmi.
O quasi.

Suona il cellulare.

Phoebe: “Pronto?”
Interlocutore Misterioso con Spiccato Accento Napoletano*: “Buongiorno manco per niente, lei mi è venuta addosso ed è scappata. L’ha vista mio cugino!”
Phoebe: “???”
IMSAN:”Sì, sì! Non faccia la fessa, l’ho scoperta tramite il PRA! Lei c’ha una 206 targata XX XXX XX?”
Phoebe: “Sì, ma io…”
IMSAN: “Ma, ma niente. Si vergogni!!!”
Phoebe tra l’attonito ed il divertito: “Guardi, ci deve essere un equivoco…”
IMSAN: ”Sì, sì. Come no? Lei venerdì passato m’è venuta addosso con la macchina in via XXXXXXX a Napoli e poi è scappata! E se ero morto?? E se stavo male? Vergogna!?”
Phoebe cercando di restare seria:”Guardi, davvero, mi spiace ma…”
IMSAN: ”VERGOGNA!”
Mi rendo conto che il mio interlocutore è agitato e pronto ad esplodere, perciò cerco di farlo ragionare.
Phoebe: “Guardi, a parte che io e la mia 206 a Napoli non ci siamo mai state, io venerdì passato ero in Egitto. Ho un visto che lo prova.”
IMSAN: “…”
Phoebe: “ Inoltre la mia macchina era dal meccanico perché si era rotta la friz…”
IMSAN :”Ahhhhhh! Lo sapevo che c’era l’inghippo!!! Traditore!! Illegale!!!!”
Phoebe: “Ma no, io…”
IMSAN: “VERGOGNA!! E poi dicono di noi napoletani!!!!”
Phoebe: “…”
IMSAN: “Guardi, ci risentiamo tramite le nostre assicurazioni, io l’ho chiamata solo per cortesia. Perché io sono meglio di lei. Molto meglio! Sono onesto. Chiaro???”
Phoebe: “Guardi, davvero, si sta sbagl…”
 
*click*
 
 
Ora, io secondo voi con chi me la dovrei prendere?
 
 
*Non sono in grado di  imitare l’accento napoletano nemmeno a voce, figurarsi per iscritto. Però fidatevi, molto molto marcato
 

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26 aprile 2010 1 26 /04 /aprile /2010 21:01
Dove eravamo rimasti? Ah già, qui.Dove eravamo rimasti? Ah già, qui.
Dove eravamo rimasti? Ah già, qui.
 
Ma il dugongo dov’è?
Sarà qui, sarà lì, il dugongo dove sarà? 
Sarà un gonfiabile messo in mezzo al mare solo nei periodi di alta stagione per attirare turisti?
E’ talmente un mito che alcuni ne mettono in dubbio l’esistenza, per altri è morto. Per altri ancora “dugongo” è diventato sinonimo dell’organo sessuale maschile, perciò donne attenzione a ciò che chiedete!
Nei nostri giorni spesi alla ricerca del desiderato sirenide, ci hanno fatto compagnie persone deliziose e divertenti con cui abbiamo formato una combriccola così affiatata da risultare l’unica animazione del villaggio. Ma anche fuori. 
Phone&Go, assumici!!!!! 
Prezzi modici, lo giuro, tutt’al più ci può pagare in vacanze!
 
In esterna.
Siccome in un rifugio dorato tutto sorrisi e mare corallino non ci resisto sette giorni, approfittando di una giornata dotata di un vento in grado di staccarmi da terra (e ce ne vuole, credetemi) decidiamo di aderire ad una visita guidata alla vicina El Quseir (pron. El Cusser), cittadina di 40 mila abitanti. Ora, prima di tutto vorrei far notare che ho trovato questo nome scritto nei cartelli stradali in ogni modo possibile: El Queser, Quisier, Quessir. Va bene che l’alfabeto arabo è diverso, ma possibile che non ci sia una traduzione univoca?
Arriviamo ed è subito chiaro: non siamo a Sharm e nemmeno ad Hurgada.
Ci portano a visitare una chiesa costruita all’inizio del secolo da una comunità di italiani, arrivati fin qui per lavorare  in una fabbrica di fosfati tricolore ormai abbandonata (ma l’evento merita un post a sé). Poi la più bella moschea della città, sita direttamente sul mare. Ascoltare il muezzin che chiama alla preghiera è qualcosa di surreale, fa venire i brividi. La voce, sparata dal microfono direttamente sulla cima del minareto ha il potere di ammutolire. Impossibile evitare la cena “per turisti” e il tour obbligato dei negozi convenzionati col tour operator. Alla fine, dietro nostra insistenza, ci lasciano liberi per il mercato della città, spaventandoci come se i propri concittadini fossero tutti serial killer. Qui mi sbizzarrisco e acquisto spezie  a non finire, fotografando la vita così com’è a più di 4000 km dal Trasimeno, donne musulmane in vestiti tradizionali comprese..
Per contraltare, ci rechiamo un’altra sera  a Port Ghalib, sogno a trenta zeri di un emiro kuwaitiano già possessore dell’aeroporto. Il posto puzza di Porto Cervo lontano un miglio, con spruzzi di costruzioni palazzinare stile quartiere residenziale. Gli yacht ormeggiati si fanno fotografare da aspiranti capitani di canotti, le palme sono lussureggianti, ci sono fontane ad ogni angolo e negozietti di souvenir assatanati ovunque. Tutto è così finto che anche il gelato non è fatto con il latte. Per fortuna la compagnia è buona, così decidiamo di berci una birretta (birra Stella everywhere) e fare due chiacchiere. A Port Ghalib ovunque c’è la connessione wi-fi gratuita e questo mi lascia di stucco.
Perché in mezzo al deserto sì e a casa mia no????
 
Perle.
Potevo io non lasciare il segno con mirabolanti peripezie? Eccone alcune:
- Andiamo a fare un’escursione alla spiaggia di Abu Dabbab per vedere le tartarughe marine giganti. Dopo un’ora di snorkeling in cui mi sentivo in un documentario del National Geographic , mi appare una tartaruga grande come me. L’Amoremio che mi nuotava a fianco ha ammesso di aver sentito distintamente, nonostante entrambi indossassimo maschera e boccaglio, la mia voce dire: “Uuuuuhhhhhh! Che bellaaaaaa!”. Dopodiché, agile come un pesce trombetta, ho infilato tutta la testa e tutto il boccaglio nell’acqua per vederla meglio. 
Peccato che io non nuoti esattamente come un pesce trombetta e che abbia rischiato di affogare.  Ho fatto fermare tutta l’escursione e avuto una crisi di panico tra le risate di tutto il gruppo, tartaruga compresa. Olè.
- Andiamo al ristorante per cena, belli ed eleganti, mano nella mano. Che bello indossare già i vestiti estivi e lasciarsi alle spalle il freddo!!! All’improvviso, un lampo bianco mi attraversa davanti. Una lucertola? No! Un bellissimo, piccolo geco bianco latte con due occhioni neri. Scatto come Bolt, agile come una gazzella  e lo inseguo fino ad un muretto per poterlo vedere meglio. Peccato che il tacco della mia scarpa molto figa decida di rimanere in compagnia dei sampietrini che pavimentano il villaggio. Per tutto il resto della vacanza mi dovrò accontentare delle ballerine nere, non avendo portato altro per ragioni di peso del bagaglio. ..
- Tour di El Quseir, sono stufa di girare i negozi per turisti, voglio essere lasciata libera di decidere dove andare. Basta. Allo stop dell’autobus all’ennesimo negozio di souvenir made in China, lancio un sarcastico commento alla guida: “Ma le pentole quando ce le vendete?” Adam (confuso): “Qui no pentole, ma papiri. Bellissimi papiri. Papiri egiziani. Le pentole non le facciamo in Egitto”. Tutto l’autobus sghignazza. E vabbè…
- In fila per il check-in al ritorno, dietro di me una coppia che si lamenta della Phone&Go. Inizio a chiacchierare e chiedo: “Ma in che villaggio stavate?” 
Loro: “Best Western Solitaire
Phoebe: “Pure io!”
Loro sconsolati: “Lo sappiamo. Sei quella perugina che chiacchiera. Sempre.”
Momento di vergogna.
 
La sindacalista del volo MHS3974
L’ombra della nube scaturita dal vulcano  Eyjafjallajokull si allunga su noi villeggianti che cominciamo a chiederci se e quando torneremo a casa. L’aeroporto di Roma in teoria è aperto, ma solo in ricezione. Andiamo a letto sabato sera sapendo di partire il pomeriggio seguente, ma sperando di fermarci un po’ di più. 
Alle sette suona il telefono della camera. Panico. E’ Borat, ehm pardon… Mohamed che ci annuncia che partiamo alle 11, cioè tra quattro ore. Abbiamo vinto infatti un viaggio in autobus fino ad Hurgada, cioè 260 km di strada egiziana, e da lì un volo fino a Roma. 
La prendiamo con filosofia e dopo un saluto alla spiaggia ed un ultimo bagno, baciamo tutti nuovi amici e andiamo. 
Il viaggio in autobus va meglio del previsto, approfittiamo per fare foto e vedere il deserto. Ma giunti ad Hurgada inizia il supplizio: il volo viene rimandato. Prima di un ora, poi un’altra ora ancora. L’aeroporto è immobile, fermo. Non partono e arrivano aerei. I gate sono tutti chiusi. Gli speaker parlano solo arabo e russo, mentre il banco informazioni è occupato da un ragazzetto che parlo un inglese così stentato che in confronto il mio spagnolo è fluente. Ecco, in questo scenario apocalittico m’è venuto un attacco di panico. O quasi. E qui voglio ringraziare pubblicamente non solo l’Amoremio, ma anche Alessia che da buona romana ha saputo farmi ridere e ritrovar coraggio. Grazie.
Rincuorata, mi aggiusto la kefiah intorno al collo e parto all’attacco.
Chiedo gentilmente al ragazzo del banco informazioni novità. Lui ride e mi dice “Kdont vorri miss”. Come? Ma Miss un par de ciufoli, io voglio sapere! Messo alle strette il ragazzino chiama il manager di Air Memphis. Arriva un tizio che in Italia dal look sarebbe stato bollato subito come spacciatore. Dopo lo sbigottimento iniziale dimostra il miglior inglese sentito da un egiziano, si scusa, spiega che l’aereo sta arrivando dal Cairo, ci offre succhi di frutta e divento subito sua sorella. Olè. 
Indovinate chi ha letto l’annuncio di imbarco al gate 5 in italiano?
 
Finalmente a casa.
Voglio ripartire.
Voglio ripartire.
Voglio ripartire.
 
Andiamo?
 
 
Dove eravamo rimasti? Ah già, qui.
Ma il dugongo dov’è?
Sarà qui, sarà lì, il dugongo dove sarà? 
Sarà un gonfiabile messo in mezzo al mare solo nei periodi di alta stagione per attirare turisti?
E’ talmente un mito che alcuni ne mettono in dubbio l’esistenza, per altri è morto. Per altri ancora “dugongo” è diventato sinonimo dell’organo sessuale maschile, perciò donne attenzione a ciò che chiedete!
Nei nostri giorni spesi alla ricerca del desiderato sirenide, ci hanno fatto compagnie persone deliziose e divertenti con cui abbiamo formato una combriccola così affiatata da risultare l’unica animazione del villaggio. Ma anche fuori. 
Phone&Go, assumici!!!!! 
Prezzi modici, lo giuro, tutt’al più ci può pagare in vacanze!
In esterna.
Siccome in un rifugio dorato tutto sorrisi e mare corallino non ci resisto sette giorni, approfittando di una giornata dotata di un vento in grado di staccarmi da terra (e ce ne vuole, credetemi) decidiamo di aderire ad una visita guidata alla vicina El Quseir (pron. El Cusser), cittadina di 40 mila abitanti. Ora, prima di tutto vorrei far notare che ho trovato questo nome scritto nei cartelli stradali in ogni modo possibile: El Queser, Quisier, Quessir. Va bene che l’alfabeto arabo è diverso, ma possibile che non ci sia una traduzione univoca?
Arriviamo ed è subito chiaro: non siamo a Sharm e nemmeno ad Hurgada.
Ci portano a visitare una chiesa costruita all’inizio del secolo da una comunità di italiani, arrivati fin qui per lavorare  in una fabbrica di fosfati tricolore ormai abbandonata (ma l’evento merita un post a sé). Poi la più bella moschea della città, sita direttamente sul mare. Ascoltare il muezzin che chiama alla preghiera è qualcosa di surreale, fa venire i brividi. La voce, sparata dal microfono direttamente sulla cima del minareto ha il potere di ammutolire. Impossibile evitare la cena “per turisti” e il tour obbligato dei negozi convenzionati col tour operator. Alla fine, dietro nostra insistenza, ci lasciano liberi per il mercato della città, spaventandoci come se i propri concittadini fossero tutti serial killer. Qui mi sbizzarrisco e acquisto spezie  a non finire, fotografando la vita così com’è a più di 4000 km dal Trasimeno, donne musulmane in vestiti tradizionali comprese..
Per contraltare, ci rechiamo un’altra sera  a Port Ghalib, sogno a trenta zeri di un emiro kuwaitiano già possessore dell’aeroporto. Il posto puzza di Porto Cervo lontano un miglio, con spruzzi di costruzioni palazzinare stile quartiere residenziale. Gli yacht ormeggiati si fanno fotografare da aspiranti capitani di canotti, le palme sono lussureggianti, ci sono fontane ad ogni angolo e negozietti di souvenir assatanati ovunque. Tutto è così finto che anche il gelato non è fatto con il latte. Per fortuna la compagnia è buona, così decidiamo di berci una birretta (birra Stella everywhere) e fare due chiacchiere. A Port Ghalib ovunque c’è la connessione wi-fi gratuita e questo mi lascia di stucco. Perché in mezzo al deserto sì e a casa mia no????
 
Perle.
Potevo io non lasciare il segno con mirabolanti peripezie? Eccone alcune:
Andiamo a fare un’escursione alla spiaggia di Abu Dabbab per vedere le tartarughe marine giganti. Dopo un’ora di snorkeling in cui mi sentivo in un documentario del National Geographic , mi appare una tartaruga grande come me. L’Amoremio che mi nuotava a fianco ha ammesso di aver sentito distintamente, nonostante entrambi indossassimo maschera e boccaglio, la mia voce dire: “Uuuuuhhhhhh! Che bellaaaaaa!”. Dopodiché, agile come un pesce trombetta, ho infilato tutta la testa e tutto il boccaglio nell’acqua per vederla meglio. 
Peccato che io non nuoti esattamente come un pesce trombetta e che abbia rischiato di affogare.  Ho fatto fermare tutta l’escursione e avuto una crisi di panico tra le risate di tutto il gruppo, tartaruga compresa. Olè.
Andiamo al ristorante per cena, belli ed eleganti, mano nella mano. Che bello indossare già i vestiti estivi e lasciarsi alle spalle il freddo!!! All’improvviso, un lampo bianco mi attraversa davanti. Una lucertola? No! Un bellissimo, piccolo geco bianco latte con due occhioni neri. Scatto come Bolt, agile come una gazzella  e lo inseguo fino ad un muretto per poterlo vedere meglio. Peccato che il tacco della mia scarpa molto figa decida di rimanere in compagnia dei sampietrini che pavimentano il villaggio. Per tutto il resto della vacanza mi dovrò accontentare delle ballerine nere, non avendo portato altro per ragioni di peso del bagaglio. ..
Tour di El Quseir, sono stufa di girare i negozi per turisti, voglio essere lasciata libera di decidere dove andare. Basta. Allo stop dell’autobus all’ennesimo negozio di souvenir made in China, lancio un sarcastico commento alla guida: “Ma le pentole quando ce le vendete?” Adam (confuso): “Qui no pentole, ma papiri. Bellissimi papiri. Papiri egiziani. Le pentole non le facciamo in Egitto”. Tutto l’autobus sghignazza. E vabbè…
In fila per il check-in al ritorno, dietro di me una coppia che si lamenta della Phone&Go. Inizio a chiacchierare e chiedo: “Ma in che villaggio stavate?” 
Loro: “Best Western Solitaire”
Phoebe: “Pure io!”
Loro sconsolati: “Lo sappiamo. Sei quella perugina che chiacchiera. Sempre.”
Momento di vergogna.
 
 
 
La sindacalista del volo MHS3974
L’ombra della nube scaturita dal vulcano  Eyjafjallajokull si allunga su noi villeggianti che cominciamo a chiederci se e quando torneremo a casa. L’aeroporto di Roma in teoria è aperto, ma solo in ricezione. Andiamo a letto sabato sera sapendo di partire il pomeriggio seguente, ma sperando di fermarci un po’ di più. 
Alle sette suona il telefono della camera. Panico. E’ Borat, ehm pardon… Mohamed che ci annuncia che partiamo alle 11, cioè tra quattro ore. Abbiamo vinto infatti un viaggio in autobus fino ad Hurgada, cioè 260 km di strada egiziana, e da lì un volo fino a Roma. 
La prendiamo con filosofia e dopo un saluto alla spiaggia ed un ultimo bagno, baciamo tutti nuovi amici e andiamo. 
Il viaggio in autobus va meglio del previsto, approfittiamo per fare foto e vedere il deserto. Ma giunti ad Hurgada inizia il supplizio: il volo viene rimandato. Prima di un ora, poi un’altra ora ancora. L’aeroporto è immobile, fermo. Non partono e arrivano aerei. I gate sono tutti chiusi. Gli speaker parlano solo arabo e russo, mentre il banco informazioni è occupato da un ragazzetto che parlo un inglese così stentato che in confronto il mio spagnolo è fluente. Ecco, in questo scenario apocalittico m’è venuto un attacco di panico. O quasi. E qui voglio ringraziare pubblicamente non solo l’Amoremio, ma anche Alessia che da buona romana ha saputo farmi ridere e ritrovar coraggio. Grazie.
Rincuorata, mi aggiusto la kefiah intorno al collo e parto all’attacco. Chiedo gentilmente al ragazzo del banco informazioni novità. Lui ride e mi dice “Kdont vorri miss”. Come? Ma Miss un par de ciufoli, io voglio sapere! Messo alle strette il ragazzino chiama il manager di Air Memphis. Arriva un tizio che in Italia dal look sarebbe stato bollato subito come spacciatore. Dopo lo sbigottimento iniziale dimostra il miglior inglese sentito da un egiziano, si scusa, spiega che l’aereo sta arrivando dal Cairo, ci offre succhi di frutta e divento subito sua sorella. Olè. 
Indovinate chi ha letto l’annuncio di imbarco al gate 5 in italiano?
 
Finalmente a casa.
Voglio ripartire.
Voglio ripartire.
Voglio ripartire.
 
Andiamo?
 
 
Ma il dugongo dov’è?
Sarà qui, sarà lì, il dugongo dove sarà? 
Sarà un gonfiabile messo in mezzo al mare solo nei periodi di alta stagione per attirare turisti?
E’ talmente un mito che alcuni ne mettono in dubbio l’esistenza, per altri è morto. Per altri ancora “dugongo” è diventato sinonimo dell’organo sessuale maschile, perciò donne attenzione a ciò che chiedete!
Nei nostri giorni spesi alla ricerca del desiderato sirenide, ci hanno fatto compagnie persone deliziose e divertenti con cui abbiamo formato una combriccola così affiatata da risultare l’unica animazione del villaggio. Ma anche fuori. 
Phone&Go, assumici!!!!! 
Prezzi modici, lo giuro, tutt’al più ci può pagare in vacanze!
In esterna.
Siccome in un rifugio dorato tutto sorrisi e mare corallino non ci resisto sette giorni, approfittando di una giornata dotata di un vento in grado di staccarmi da terra (e ce ne vuole, credetemi) decidiamo di aderire ad una visita guidata alla vicina El Quseir (pron. El Cusser), cittadina di 40 mila abitanti. Ora, prima di tutto vorrei far notare che ho trovato questo nome scritto nei cartelli stradali in ogni modo possibile: El Queser, Quisier, Quessir. Va bene che l’alfabeto arabo è diverso, ma possibile che non ci sia una traduzione univoca?
Arriviamo ed è subito chiaro: non siamo a Sharm e nemmeno ad Hurgada.
Ci portano a visitare una chiesa costruita all’inizio del secolo da una comunità di italiani, arrivati fin qui per lavorare  in una fabbrica di fosfati tricolore ormai abbandonata (ma l’evento merita un post a sé). Poi la più bella moschea della città, sita direttamente sul mare. Ascoltare il muezzin che chiama alla preghiera è qualcosa di surreale, fa venire i brividi. La voce, sparata dal microfono direttamente sulla cima del minareto ha il potere di ammutolire. Impossibile evitare la cena “per turisti” e il tour obbligato dei negozi convenzionati col tour operator. Alla fine, dietro nostra insistenza, ci lasciano liberi per il mercato della città, spaventandoci come se i propri concittadini fossero tutti serial killer. Qui mi sbizzarrisco e acquisto spezie  a non finire, fotografando la vita così com’è a più di 4000 km dal Trasimeno, donne musulmane in vestiti tradizionali comprese..
Per contraltare, ci rechiamo un’altra sera  a Port Ghalib, sogno a trenta zeri di un emiro kuwaitiano già possessore dell’aeroporto. Il posto puzza di Porto Cervo lontano un miglio, con spruzzi di costruzioni palazzinare stile quartiere residenziale. Gli yacht ormeggiati si fanno fotografare da aspiranti capitani di canotti, le palme sono lussureggianti, ci sono fontane ad ogni angolo e negozietti di souvenir assatanati ovunque. Tutto è così finto che anche il gelato non è fatto con il latte. Per fortuna la compagnia è buona, così decidiamo di berci una birretta (birra Stella everywhere) e fare due chiacchiere. A Port Ghalib ovunque c’è la connessione wi-fi gratuita e questo mi lascia di stucco. Perché in mezzo al deserto sì e a casa mia no????
 
Perle.
Potevo io non lasciare il segno con mirabolanti peripezie? Eccone alcune:
Andiamo a fare un’escursione alla spiaggia di Abu Dabbab per vedere le tartarughe marine giganti. Dopo un’ora di snorkeling in cui mi sentivo in un documentario del National Geographic , mi appare una tartaruga grande come me. L’Amoremio che mi nuotava a fianco ha ammesso di aver sentito distintamente, nonostante entrambi indossassimo maschera e boccaglio, la mia voce dire: “Uuuuuhhhhhh! Che bellaaaaaa!”. Dopodiché, agile come un pesce trombetta, ho infilato tutta la testa e tutto il boccaglio nell’acqua per vederla meglio. 
Peccato che io non nuoti esattamente come un pesce trombetta e che abbia rischiato di affogare.  Ho fatto fermare tutta l’escursione e avuto una crisi di panico tra le risate di tutto il gruppo, tartaruga compresa. Olè.
Andiamo al ristorante per cena, belli ed eleganti, mano nella mano. Che bello indossare già i vestiti estivi e lasciarsi alle spalle il freddo!!! All’improvviso, un lampo bianco mi attraversa davanti. Una lucertola? No! Un bellissimo, piccolo geco bianco latte con due occhioni neri. Scatto come Bolt, agile come una gazzella  e lo inseguo fino ad un muretto per poterlo vedere meglio. Peccato che il tacco della mia scarpa molto figa decida di rimanere in compagnia dei sampietrini che pavimentano il villaggio. Per tutto il resto della vacanza mi dovrò accontentare delle ballerine nere, non avendo portato altro per ragioni di peso del bagaglio. ..
Tour di El Quseir, sono stufa di girare i negozi per turisti, voglio essere lasciata libera di decidere dove andare. Basta. Allo stop dell’autobus all’ennesimo negozio di souvenir made in China, lancio un sarcastico commento alla guida: “Ma le pentole quando ce le vendete?” Adam (confuso): “Qui no pentole, ma papiri. Bellissimi papiri. Papiri egiziani. Le pentole non le facciamo in Egitto”. Tutto l’autobus sghignazza. E vabbè…
In fila per il check-in al ritorno, dietro di me una coppia che si lamenta della Phone&Go. Inizio a chiacchierare e chiedo: “Ma in che villaggio stavate?” 
Loro: “Best Western Solitaire”
Phoebe: “Pure io!”
Loro sconsolati: “Lo sappiamo. Sei quella perugina che chiacchiera. Sempre.”
Momento di vergogna.
 
 
 
La sindacalista del volo MHS3974
L’ombra della nube scaturita dal vulcano  Eyjafjallajokull si allunga su noi villeggianti che cominciamo a chiederci se e quando torneremo a casa. L’aeroporto di Roma in teoria è aperto, ma solo in ricezione. Andiamo a letto sabato sera sapendo di partire il pomeriggio seguente, ma sperando di fermarci un po’ di più. 
Alle sette suona il telefono della camera. Panico. E’ Borat, ehm pardon… Mohamed che ci annuncia che partiamo alle 11, cioè tra quattro ore. Abbiamo vinto infatti un viaggio in autobus fino ad Hurgada, cioè 260 km di strada egiziana, e da lì un volo fino a Roma. 
La prendiamo con filosofia e dopo un saluto alla spiaggia ed un ultimo bagno, baciamo tutti nuovi amici e andiamo. 
Il viaggio in autobus va meglio del previsto, approfittiamo per fare foto e vedere il deserto. Ma giunti ad Hurgada inizia il supplizio: il volo viene rimandato. Prima di un ora, poi un’altra ora ancora. L’aeroporto è immobile, fermo. Non partono e arrivano aerei. I gate sono tutti chiusi. Gli speaker parlano solo arabo e russo, mentre il banco informazioni è occupato da un ragazzetto che parlo un inglese così stentato che in confronto il mio spagnolo è fluente. Ecco, in questo scenario apocalittico m’è venuto un attacco di panico. O quasi. E qui voglio ringraziare pubblicamente non solo l’Amoremio, ma anche Alessia che da buona romana ha saputo farmi ridere e ritrovar coraggio. Grazie.
Rincuorata, mi aggiusto la kefiah intorno al collo e parto all’attacco. Chiedo gentilmente al ragazzo del banco informazioni novità. Lui ride e mi dice “Kdont vorri miss”. Come? Ma Miss un par de ciufoli, io voglio sapere! Messo alle strette il ragazzino chiama il manager di Air Memphis. Arriva un tizio che in Italia dal look sarebbe stato bollato subito come spacciatore. Dopo lo sbigottimento iniziale dimostra il miglior inglese sentito da un egiziano, si scusa, spiega che l’aereo sta arrivando dal Cairo, ci offre succhi di frutta e divento subito sua sorella. Olè. 
Indovinate chi ha letto l’annuncio di imbarco al gate 5 in italiano?
 
Finalmente a casa.
Voglio ripartire.
Voglio ripartire.
Voglio ripartire.
 
Andiamo?
 

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23 aprile 2010 5 23 /04 /aprile /2010 19:54
Premessa.Premessa.
Premessa.
Ho sempre infamato in 45632 modi diversi chi va nei villaggi vacanze a fare il gioco aperitivo e la gara di limbo, lo so.  Ma che dire all’Amoremio che mi guarda con gli occhioni luccicanti e propone di scappare dagli scampoli di questo lungo inverno che non molla la presa? Mar Rosso?
E sia! 
Smanetto su Internet, attendo come una leonessa acquattata nella savana l’uscita di last minute (o last second, meglio ancora), scelgo, pondero, faccio due conti… ed alla fine si parte: destinazione Marsa Alam.  Il nostro tour operator è Phone&Go e questo nome dopo una rapida ricerchina su Internet mi mette un po’ in agitazione.
Scopro infatti che molta gente vorrebbe dar fuoco alla sua sede e strappare le unghie dei piedi ai dipendenti della società, ma ormai abbiamo prenotato e visto il prezzo pagato decidiamo di comune accordo di rimetterci alla divina provvidenza. Amen.

 
Valigie&Affini.
Prenotando una settimana prima non c’è molto tempo per sentirsi in vacanza e organizzare tutto. Chiaro che l’Amoremio, uomo preciso e metodico, vada in crisi. Ma ci sono io, la regina dell’arruffo!!!!! In due giorni riesco a fare, nell’ordine:
- Mettere me e l’Amore mio in posa dentro una macchinetta fai-da-te per delle orribili fototessere degne del miglior Marilyn Manson, indispensabili per il visto d’entrata.
- Buttare cose a caso in valigia, senza dimenticare l’essenziale cioè ciabattine e costume. E libri, ovvio.
- Comprare una crema protezione 50 e una a 30, perché io valgo.
- Concludere tutti i lavori che portavo avanti, sistemando tutto a regola d’arte e senza sospesi (quasi).
- Fare scorta di gallette e merendine senza frumento e lattosio, perché io sono intollerante anche in vacanza.
- Leggere otto volte consecutive il sito del Ministero degli esteri per essere certa di non fare casini e di non trovarmi a svernare in u carcere egiziano.
- Informarmi su escursioni, cosa da fare/non fare e sull’esistenza del mitico dugongo, sirenide molto raro che pare viva proprio a Marsa Alam.
Si và!

 
3, 2, 1… si parte!
Visto che il volo parte da Roma alle 8, da bravi soldatini ci alziamo alle 3 e arriviamo due ore prima. Check in, biglietti, tutto regolare. Solo che alle 7 di mattina mi sento come se fosse mezzogiorno. Vegetiamo sulle poltroncine guardandoci nelle pupille. Non riesco nemmeno a leggere Vanity Fair che lascio aperto sulle ginocchia a mò di vessillo, mentre medito di uccidere due hostess a caso soffocandole con quegli odiosi foulard che indossano qualora il volo ritardi anche di soli 5 minuti.
E invece sono puntualissimi, voliamo Alitalia, posti larghissimi in cui dormo 3 ore, pranzo ottimo.  Il volo mi sembra velocissimo (sarà per lo stato semicomatoso?) e in un lampo siamo a Marsa Alam. 
 
In vacanza!!!!
Scendiamo, ed è subito shock termico.  Diciamo che non c’è proprio l’ombrosa umidità del Trasimeno, ecco. E io c’ho il giacchetto di pelle addosso. Afa.
Bagagli in un attimo, autobus che ci attende e alle 14 siamo già nel ristorante del villaggio a ingozzarci, con in mano le chiavi della nostra camera. Immediatamente mi metto in mostra rovesciando la bottiglia dell’aceto balsamico e chiedendo in inglese a Ismael, il caposala, se per caso avevano qualcosa gluten free. Alla sua alzata divertita di sopracciglia comprendo con sconcerto che il mio problema non è molto sentito in Egitto. Tuttavia appena iniziamo a parlare di kamut diventiamo grandi amici e mi promette tutto l’aiuto possibile.
Appena apriamo la porta troviamo già le nostre valigie in camera, e una valanga di fiori freschi. Ovviamente ci buttiamo addosso il costume e scappiamo verso la spiaggia. 
Lì veniamo accolti da bagnini e valletti che in cinque minuti ci accompagnano alla palma coi lettini, sistemano materassini e asciugamani, girando il tutto perpendicolare al sole. Ecco, io a queste cose non ci sono abituata, mi trovo spiazzata, mi viene male. Sono abituata a far da me, a badare a me stessa e tutta questa gente che si sbatte per me mi mette in agitazione. Lo so, è tutto pagato o propedeutico alla mancia (vera istituzione in Egitto), ma fra un po’ questi mi mettono pure la crema. No, grazie.
Il nostro villaggio è il Best Western Solitaire, gestione egiziana, una struttura spartana ma pulita, con un bel giardino (nel deserto, voglio sottolinearlo), una spiaggia ed un pontile da urlo, così bello che i possidenti facoltosi alloggiati nel bellissimo Veraclub accanto pagavamo tutti i giorni € 3 a testa per venire ad usare. 
La rivincita del proletariato, concedetemelo.
E così iniziamo a goderci la nostra vacanza, con io che lancio urletti di stupore ad ogni pesce colorato, paguro o pezzetto di corallo che vedo, scatenando l’ilarità del bagnino. Che ci posso fare se per me la barriera corallina è un vero miracolo di bellezza? Medito già di farmi assumere dallo speziale del villaggio e fermarmi in questo paradiso terrestre a vendere cannella e rose del deserto, mentre l’Amoremio si ricicla come bagnino.
Non male, no?
 
Ah,  dimenticavo: sia io che l’Amoremio decidiamo in contemporanea di rinunciare alla tecnologia perciò niente televisione, internet o cellulare a guastare il nostro relax.
Tanto, ci siamo detti, che può accadere in una settimana?
 
Capite come, col senno di poi, sia stata una decisione quantomeno azzardata…
Ho sempre infamato in 45632 modi diversi chi va nei villaggi vacanze a fare il gioco aperitivo e la gara di limbo, lo so.  Ma che dire all’Amoremio che mi guarda con gli occhioni luccicanti e propone di scappare dagli scampoli di questo lungo inverno che non molla la presa? Mar Rosso? E sia! 
Smanetto su Internet, attendo come una leonessa acquattata nella savana l’uscita di last minute (o last second, meglio ancora), scelgo, pondero, faccio due conti… ed alla fine si parte: destinazione Marsa Alam.  Il nostro tour operator è Phone&Go e questo nome dopo una rapida ricerchina su Internet mi mette un po’ in agitazione. Scopro infatti che molta gente vorrebbe dar fuoco alla sua sede e strappare le unghie dei piedi ai dipendenti della società, ma ormai abbiamo prenotato e visto il prezzo pagato decidiamo di comune accordo di rimetterci alla divina provvidenza. Amen.
Valigie&Affini.
Prenotando una settimana prima non c’è molto tempo per sentirsi in vacanza e organizzare tutto. Chiaro che l’Amoremio, uomo preciso e metodico, vada in crisi. Ma ci sono io, la regina dell’arruffo!!!!! In due giorni riesco a fare, nell’ordine:
Mettere me e l’Amore mio in posa dentro una macchinetta fai-da-te per delle orribili fototessere degne del miglior Marilyn Manson, indispensabili per il visto d’entrata.
Buttare cose a caso in valigia, senza dimenticare l’essenziale cioè ciabattine e costume. E libri, ovvio.
Comprare una crema protezione 50 e una a 30, perché io valgo.
Concludere tutti i lavori che portavo avanti, sistemando tutto a regola d’arte e senza sospesi (quasi).
Fare scorta di gallette e merendine senza frumento e lattosio, perché io sono intollerante anche in vacanza.
Leggere otto volte consecutive il sito del Ministero degli esteri per essere certa di non fare casini e di non trovarmi a svernare in u carcere egiziano.
Informarmi su escursioni, cosa da fare/non fare e sull’esistenza del mitico dugongo, sirenide molto raro che pare viva proprio a Marsa Alam.
3, 2, 1… si parte!
Visto che il volo parte da Roma alle 8, da bravi soldatini ci alziamo alle 3 e arriviamo due ore prima. Check in, biglietti, tutto regolare. Solo che alle 7 di mattina mi sento come se fosse mezzogiorno. Vegetiamo sulle poltroncine guardandoci nelle pupille. Non riesco nemmeno a leggere Vanity Fair che lascio aperto sulle ginocchia a mò di vessillo, mentre medito di uccidere due hostess a caso soffocandole con quegli odiosi foulard che indossano qualora il volo ritardi anche di soli 5 minuti.
E invece sono puntualissimi, voliamo Alitalia, posti larghissimi in cui dormo 3 ore, pranzo ottimo.  Il volo mi sembra velocissimo (sarà per lo stato semicomatoso?) e in un lampo siamo a Marsa Alam. 
In vacanza!!!!
Scendiamo, ed è subito shock termico.  Diciamo che non c’è proprio l’ombrosa umidità del Trasimeno, ecco. E io c’ho il giacchetto di pelle addosso. Afa.
Bagagli in un attimo, autobus che ci attende e alle 14 siamo già nel ristorante del villaggio a ingozzarci, con in mano le chiavi della nostra camera. Immediatamente mi metto in mostra rovesciando la bottiglia dell’aceto balsamico e chiedendo in inglese a Ismael, il caposala, se per caso avevano qualcosa gluten free. Alla sua alzata divertita di sopracciglia comprendo con sconcerto che il mio problema non è molto sentito in Egitto. Tuttavia appena iniziamo a parlare di kamut diventiamo grandi amici e mi promette tutto l’aiuto possibile.
Appena apriamo la porta troviamo già le nostre valigie in camera, e una valanga di fiori freschi. Ovviamente ci buttiamo addosso il costume e scappiamo verso la spiaggia. 
Lì veniamo accolti da bagnini e valletti che in cinque minuti ci accompagnano alla palma coi lettini, sistemano materassini e asciugamani, girando il tutto perpendicolare al sole. Ecco, io a queste cose non ci sono abituata, mi trovo spiazzata, mi viene male. Sono abituata a far da me, a badare a me stessa e tutta questa gente che si sbatte per me mi mette in agitazione. Lo so, è tutto pagato o propedeutico alla mancia (vera istituzione in Egitto), ma fra un po’ questi mi mettono pure la crema. No, grazie.
Il nostro villaggio è il Best Western Solitaire, gestione egiziana, una struttura spartana ma pulita, con un bel giardino (nel deserto, voglio sottolinearlo), una spiaggia ed un pontile da urlo, così bello che i possidenti facoltosi alloggiati nel bellissimo Veraclub accanto pagavamo tutti i giorni € 3 a testa per venire ad usare. 
La rivincita del proletariato, concedetemelo.
E così iniziamo a goderci la nostra vacanza, con io che lancio urletti di stupore ad ogni pesce colorato, paguro o pezzetto di corallo che vedo, scatenando l’ilarità del bagnino. Che ci posso fare se per me la barriera corallina è un vero miracolo di bellezza? Medito già di farmi assumere dallo speziale del villaggio e fermarmi in questo paradiso terrestre a vendere cannella e rose del deserto, mentre l’Amoremio si ricicla come bagnino. Non male, no?
 
Ah,  dimenticavo: sia io che l’Amoremio decidiamo in contemporanea di rinunciare alla tecnologia perciò niente televisione, internet o cellulare a guastare il nostro relax.
Tanto, ci siamo detti, che può accadere in una settimana?
 
Capite come, col senno di poi, sia stata una decisione quantomeno azzardata…Premessa.
Ho sempre infamato in 45632 modi diversi chi va nei villaggi vacanze a fare il gioco aperitivo e la gara di limbo, lo so.  Ma che dire all’Amoremio che mi guarda con gli occhioni luccicanti e propone di scappare dagli scampoli di questo lungo inverno che non molla la presa? Mar Rosso? E sia! 
Smanetto su Internet, attendo come una leonessa acquattata nella savana l’uscita di last minute (o last second, meglio ancora), scelgo, pondero, faccio due conti… ed alla fine si parte: destinazione Marsa Alam.  Il nostro tour operator è Phone&Go e questo nome dopo una rapida ricerchina su Internet mi mette un po’ in agitazione. Scopro infatti che molta gente vorrebbe dar fuoco alla sua sede e strappare le unghie dei piedi ai dipendenti della società, ma ormai abbiamo prenotato e visto il prezzo pagato decidiamo di comune accordo di rimetterci alla divina provvidenza. Amen.
Valigie&Affini.
Prenotando una settimana prima non c’è molto tempo per sentirsi in vacanza e organizzare tutto. Chiaro che l’Amoremio, uomo preciso e metodico, vada in crisi. Ma ci sono io, la regina dell’arruffo!!!!! In due giorni riesco a fare, nell’ordine:
Mettere me e l’Amore mio in posa dentro una macchinetta fai-da-te per delle orribili fototessere degne del miglior Marilyn Manson, indispensabili per il visto d’entrata.
Buttare cose a caso in valigia, senza dimenticare l’essenziale cioè ciabattine e costume. E libri, ovvio.
Comprare una crema protezione 50 e una a 30, perché io valgo.
Concludere tutti i lavori che portavo avanti, sistemando tutto a regola d’arte e senza sospesi (quasi).
Fare scorta di gallette e merendine senza frumento e lattosio, perché io sono intollerante anche in vacanza.
Leggere otto volte consecutive il sito del Ministero degli esteri per essere certa di non fare casini e di non trovarmi a svernare in u carcere egiziano.
Informarmi su escursioni, cosa da fare/non fare e sull’esistenza del mitico dugongo, sirenide molto raro che pare viva proprio a Marsa Alam.
3, 2, 1… si parte!
Visto che il volo parte da Roma alle 8, da bravi soldatini ci alziamo alle 3 e arriviamo due ore prima. Check in, biglietti, tutto regolare. Solo che alle 7 di mattina mi sento come se fosse mezzogiorno. Vegetiamo sulle poltroncine guardandoci nelle pupille. Non riesco nemmeno a leggere Vanity Fair che lascio aperto sulle ginocchia a mò di vessillo, mentre medito di uccidere due hostess a caso soffocandole con quegli odiosi foulard che indossano qualora il volo ritardi anche di soli 5 minuti.
E invece sono puntualissimi, voliamo Alitalia, posti larghissimi in cui dormo 3 ore, pranzo ottimo.  Il volo mi sembra velocissimo (sarà per lo stato semicomatoso?) e in un lampo siamo a Marsa Alam. 
In vacanza!!!!
Scendiamo, ed è subito shock termico.  Diciamo che non c’è proprio l’ombrosa umidità del Trasimeno, ecco. E io c’ho il giacchetto di pelle addosso. Afa.
Bagagli in un attimo, autobus che ci attende e alle 14 siamo già nel ristorante del villaggio a ingozzarci, con in mano le chiavi della nostra camera. Immediatamente mi metto in mostra rovesciando la bottiglia dell’aceto balsamico e chiedendo in inglese a Ismael, il caposala, se per caso avevano qualcosa gluten free. Alla sua alzata divertita di sopracciglia comprendo con sconcerto che il mio problema non è molto sentito in Egitto. Tuttavia appena iniziamo a parlare di kamut diventiamo grandi amici e mi promette tutto l’aiuto possibile.
Appena apriamo la porta troviamo già le nostre valigie in camera, e una valanga di fiori freschi. Ovviamente ci buttiamo addosso il costume e scappiamo verso la spiaggia. 
Lì veniamo accolti da bagnini e valletti che in cinque minuti ci accompagnano alla palma coi lettini, sistemano materassini e asciugamani, girando il tutto perpendicolare al sole. Ecco, io a queste cose non ci sono abituata, mi trovo spiazzata, mi viene male. Sono abituata a far da me, a badare a me stessa e tutta questa gente che si sbatte per me mi mette in agitazione. Lo so, è tutto pagato o propedeutico alla mancia (vera istituzione in Egitto), ma fra un po’ questi mi mettono pure la crema. No, grazie.
Il nostro villaggio è il Best Western Solitaire, gestione egiziana, una struttura spartana ma pulita, con un bel giardino (nel deserto, voglio sottolinearlo), una spiaggia ed un pontile da urlo, così bello che i possidenti facoltosi alloggiati nel bellissimo Veraclub accanto pagavamo tutti i giorni € 3 a testa per venire ad usare. 
La rivincita del proletariato, concedetemelo.
E così iniziamo a goderci la nostra vacanza, con io che lancio urletti di stupore ad ogni pesce colorato, paguro o pezzetto di corallo che vedo, scatenando l’ilarità del bagnino. Che ci posso fare se per me la barriera corallina è un vero miracolo di bellezza? Medito già di farmi assumere dallo speziale del villaggio e fermarmi in questo paradiso terrestre a vendere cannella e rose del deserto, mentre l’Amoremio si ricicla come bagnino. Non male, no?
 
Ah,  dimenticavo: sia io che l’Amoremio decidiamo in contemporanea di rinunciare alla tecnologia perciò niente televisione, internet o cellulare a guastare il nostro relax.
Tanto, ci siamo detti, che può accadere in una settimana?
 
Capite come, col senno di poi, sia stata una decisione quantomeno azzardata…
Premessa.
Ho sempre infamato in 45632 modi diversi chi va nei villaggi vacanze a fare il gioco aperitivo e la gara di limbo, lo so.  Ma che dire all’Amoremio che mi guarda con gli occhioni luccicanti e propone di scappare dagli scampoli di questo lungo inverno che non molla la presa? Mar Rosso? E sia! 
Smanetto su Internet, attendo come una leonessa acquattata nella savana l’uscita di last minute (o last second, meglio ancora), scelgo, pondero, faccio due conti… ed alla fine si parte: destinazione Marsa Alam.  Il nostro tour operator è Phone&Go e questo nome dopo una rapida ricerchina su Internet mi mette un po’ in agitazione. Scopro infatti che molta gente vorrebbe dar fuoco alla sua sede e strappare le unghie dei piedi ai dipendenti della società, ma ormai abbiamo prenotato e visto il prezzo pagato decidiamo di comune accordo di rimetterci alla divina provvidenza. Amen.
Valigie&Affini.
Prenotando una settimana prima non c’è molto tempo per sentirsi in vacanza e organizzare tutto. Chiaro che l’Amoremio, uomo preciso e metodico, vada in crisi. Ma ci sono io, la regina dell’arruffo!!!!! In due giorni riesco a fare, nell’ordine:
Mettere me e l’Amore mio in posa dentro una macchinetta fai-da-te per delle orribili fototessere degne del miglior Marilyn Manson, indispensabili per il visto d’entrata.
Buttare cose a caso in valigia, senza dimenticare l’essenziale cioè ciabattine e costume. E libri, ovvio.
Comprare una crema protezione 50 e una a 30, perché io valgo.
Concludere tutti i lavori che portavo avanti, sistemando tutto a regola d’arte e senza sospesi (quasi).
Fare scorta di gallette e merendine senza frumento e lattosio, perché io sono intollerante anche in vacanza.
Leggere otto volte consecutive il sito del Ministero degli esteri per essere certa di non fare casini e di non trovarmi a svernare in u carcere egiziano.
Informarmi su escursioni, cosa da fare/non fare e sull’esistenza del mitico dugongo, sirenide molto raro che pare viva proprio a Marsa Alam.
3, 2, 1… si parte!
Visto che il volo parte da Roma alle 8, da bravi soldatini ci alziamo alle 3 e arriviamo due ore prima. Check in, biglietti, tutto regolare. Solo che alle 7 di mattina mi sento come se fosse mezzogiorno. Vegetiamo sulle poltroncine guardandoci nelle pupille. Non riesco nemmeno a leggere Vanity Fair che lascio aperto sulle ginocchia a mò di vessillo, mentre medito di uccidere due hostess a caso soffocandole con quegli odiosi foulard che indossano qualora il volo ritardi anche di soli 5 minuti.
E invece sono puntualissimi, voliamo Alitalia, posti larghissimi in cui dormo 3 ore, pranzo ottimo.  Il volo mi sembra velocissimo (sarà per lo stato semicomatoso?) e in un lampo siamo a Marsa Alam. 
In vacanza!!!!
Scendiamo, ed è subito shock termico.  Diciamo che non c’è proprio l’ombrosa umidità del Trasimeno, ecco. E io c’ho il giacchetto di pelle addosso. Afa.
Bagagli in un attimo, autobus che ci attende e alle 14 siamo già nel ristorante del villaggio a ingozzarci, con in mano le chiavi della nostra camera. Immediatamente mi metto in mostra rovesciando la bottiglia dell’aceto balsamico e chiedendo in inglese a Ismael, il caposala, se per caso avevano qualcosa gluten free. Alla sua alzata divertita di sopracciglia comprendo con sconcerto che il mio problema non è molto sentito in Egitto. Tuttavia appena iniziamo a parlare di kamut diventiamo grandi amici e mi promette tutto l’aiuto possibile.
Appena apriamo la porta troviamo già le nostre valigie in camera, e una valanga di fiori freschi. Ovviamente ci buttiamo addosso il costume e scappiamo verso la spiaggia. 
Lì veniamo accolti da bagnini e valletti che in cinque minuti ci accompagnano alla palma coi lettini, sistemano materassini e asciugamani, girando il tutto perpendicolare al sole. Ecco, io a queste cose non ci sono abituata, mi trovo spiazzata, mi viene male. Sono abituata a far da me, a badare a me stessa e tutta questa gente che si sbatte per me mi mette in agitazione. Lo so, è tutto pagato o propedeutico alla mancia (vera istituzione in Egitto), ma fra un po’ questi mi mettono pure la crema. No, grazie.
Il nostro villaggio è il Best Western Solitaire, gestione egiziana, una struttura spartana ma pulita, con un bel giardino (nel deserto, voglio sottolinearlo), una spiaggia ed un pontile da urlo, così bello che i possidenti facoltosi alloggiati nel bellissimo Veraclub accanto pagavamo tutti i giorni € 3 a testa per venire ad usare. 
La rivincita del proletariato, concedetemelo.
E così iniziamo a goderci la nostra vacanza, con io che lancio urletti di stupore ad ogni pesce colorato, paguro o pezzetto di corallo che vedo, scatenando l’ilarità del bagnino. Che ci posso fare se per me la barriera corallina è un vero miracolo di bellezza? Medito già di farmi assumere dallo speziale del villaggio e fermarmi in questo paradiso terrestre a vendere cannella e rose del deserto, mentre l’Amoremio si ricicla come bagnino. Non male, no?
 
Ah,  dimenticavo: sia io che l’Amoremio decidiamo in contemporanea di rinunciare alla tecnologia perciò niente televisione, internet o cellulare a guastare il nostro relax.
Tanto, ci siamo detti, che può accadere in una settimana?
 
Capite come, col senno di poi, sia stata una decisione quantomeno azzardata…

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22 aprile 2010 4 22 /04 /aprile /2010 11:17

Tranquilli, sono tornata.

Il vulcano islandese Eyjafjallajokull non ha avuto la meglio su di me e sulla mia vacanza.

E non sono stata venduta nemmeno per un numero considerevole di cammelli, nonostante le richieste ricevute dall'Amoremio.

Dopo innumerevoli peripezie, che non mancherò di raccontare appena avrò disfatto le valigie e fatto la lavatrice, sono di nuovo in Italia.
E scopro che nulla, proprio nulla è cambiato.
O quasi.

Non che mi aspettassi miracoli, però...




Vi sono mancata?

 

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Tutto quello che c'è nella mia testa...vita, amore, arte, libri, immaginazione, musica. Il tutto naturalmente immerso nella confusione più totale. Poco? Qualche volta, pure troppo!!!

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