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24 febbraio 2014 1 24 /02 /febbraio /2014 15:07

Ho sempre avuto una vita frenetica, scandita da ritmi vorticosi casa/lavoro/tutto il resto che lasciavano poco spazio alla noia o anche solo alla riflessione. Sono una che si asciuga i capelli e legge un libro, oppure che fa la marmellata di limoni mentre guarda un film.
Polivalente. Incasinata. Casinista. Sempre si corsa.
Abituata a vivere a mille, sempre.
Finché la mia vita non è cambiata drasticamente e si è asservita ai tempi ed ai ritmi della mia principessa, che c'ha un mese scarso e già comanda tutti a bacchetta e piega si suoi voleri nonni, genitori e zii adoranti.

Girl power.
All'inizio non è stato facile ridimensionare il mio modo di vivere virando verso uno stile di vita più lento e a misura di neonato, mettendo in secondo piano tutto quello che non fosse legato ai suoi più stretti bisogni corporali ed istintivi. Perché, in fondo, un neonato è così: solo istinto, senza nessuna mediazione, e tu madre sei l'unica ancora che conosca.

Almeno all'inizio.

Poi, dicono, crescono.

Ogni quattro ore (se sei fortunata), va in scena la combinazione pannolino+poppata, con diverse ed imprevedibili varianti che possono portare la durata dell'operazione da trenta minuti fino anche ad un'ora e mezza. Ha fatto la cacca? Si è sporcata fino alle orecchie? Oggi propriononc'havoglia? E le vitamine? Se non riesci a dargliele? E se piange?
SE PIANGE?????? Che faccio?

E questo sia di giorno che di notte, chiaramente.
Ecco, questo all'inizio risulta essere un tantino aberrante, alla neo mamma sembra di entrare in un loop senza fine e il chimelohafattofare insieme al potevostareaberemojitosopraundivanetto regnano sovrani tra i tre neuroni rimasti miracolosamente attivi nonostante tutto.
Poi ci si abitua, si prendono i ritmi e le misure giuste.

Dicono.

Certo è che ho imparato a dormire ovunque ed a qualunque ora. Non che prima per me fosse complicato, eh. Diciamo che ora sono pure giustificata.

Adattare la mia frenesia e mania del controllo alla nuova vita non è stato facile, ma alla fine ci sono riuscita, complice anche la tecnologia ed una buona dose di testardaggine che non mi ha mai fatto difetto.

Riesco a portare mia figlia a passeggio accoppiandoci quattro chiacchiere con una amica, riuscendo persino a non parlare di cacca e pannolini per almeno un 50% della conversazione.

Mentre allatto, visto che la magia di guardare mia figlia che pranza è durata per i primi tre giorni, leggo. Come? Benedetto sia sempre l'ebook reader, la sua maneggevolezza e la possibilità di usarlo con una mano sola. Ninno mia figlia e gioco a Quizduello. Ecco, ora magari non chiamate i servizi sociali, erano solo ipotetici esempi.

Ipotetici, certo.

Sono riuscita persino a fare la marmellata di limoni, se volete vi rendo partecipi della ricetta. E riesco anche a contenere la gelosia latente di Nevruz, che cerca in tutti i modi di occupare le zone della casa frequentate da Emma con significativi sit-in di protesta.

Sono arrivata persino a scrivere post sulle note dell'iPhone dalla tazza del cesso.
Profondo vero? Dite la verità, un po' ve lo eravate pure immaginati.
Poi c'è l'Amoremio, ma questo è un capitolo a parte.

Insomma, riassumendo il mio sproloquio, volevo solo dirvi una cosa: vivere essendo mamme si può. Rimanendo quel che si è sempre state, non stravolgendosi e conservando l'ironia. E' dura, ma si può fare.

Non voglio illudere nessuno però, non è che faccio otto ore di sonno filato così come prescritto da tutte le super top model per avere una pelle da urlo. Non ci contate, anzi dimenticatevelo proprio.

Certe cose sono utopia pura.

Ma è anche vero che i figli crescono in fretta, pure troppo.

 

La mia ha già messo le scarpe per iniziare a correre...

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17 febbraio 2014 1 17 /02 /febbraio /2014 18:23

A volte credo di avere una sensibilità diversa dalla media, oppure, come direbbe una mia amica molto diretta, di essere proprio una bestia senza Dio. Volete un esempio? Non ci credete? L'avete vista la pubblicità della P&G sulle Olimpiadi invernali che impazza virale in rete? Ecco, tutti la trovano commovente, io no. Voglio dire, carina eh, anche se ci sarebbe proprio da discutere su Sochi come sede delle Olimpiadi in generale, ma lasciamo stare.

Bello il messaggio delle mamme che aiutano i propri figli a diventare campioni olimpici domani, ma mi sono chiesta subito:
1) I padri? Sono tutti morti in guerra in tempo di pace oppure sono a vedere la Champion's?
2) Come si abbina questo messaggio con la P&G che produce più che d'altro detersivi e prodotti per il bagno? Il trait d'union è che sono la mamme che fanno la spesa? O che fanno il bucato?
Mah. E, tra l'altro, le multinazionali sono il male quindi non vedo e capisco la commozione che dovrebbe suscitarmi questo spot.
Sono un mostro?

Non festeggio nemmeno S. Valentino, per dire. 
E' la festa dei fiorai e io non lo sono.

No, perché ho iniziato ad avere dei dubbi alla nascita di mia figlia. Tutti mi dicevano che il momento in cui me l'avrebbero messa sopra sarebbe stato di svolta per la mia vita. Sia le mie amiche che altre donne di cui avevo letto le esperienze in rete lo confermavano: un momento da ricordare!
Io, invece, no.
Dopo il cesareo l'avevo vista per un attimo e la dottoressa, che è anche una amica, mi aveva rassicurato confermando che era tutto a posto. Quando me l'hanno messa addosso mi aspettavo un'esplosione. DOVEVA essere così, in fondo lo è stato per tutte, vero?

E invece no. Lei mi si è arrampicata addosso e mi ha puntato in faccia i suoi occhi cerulei. E io non ho pensato nulla di romantico o materno, ma mi sono detta: “Oh cazzo, ed ora che faccio? Come faccio a crescerla, proteggerla, a capirla? Dov'è il libretto delle istruzioni?"
Avete presente il terrore puro? Ecco, io al quadrato. 
Panico proprio. Sarà stata l'anestesia, la stanchezza, l'operazione. Ma anche no.
Mi ci è voluto un po' per provare quella sensazione, ci siamo dovute imparare a conoscere io e mia figlia, una neonata che si è presentata a sua madre mordendole due volte un seno e trasformandola da un lato solo in Pamela Anderson, ma con sfumature violacee.
Simpatica come sua madre.

Ora, quando la guardo dormire o cercare spasmodicamente di strapparsi la faccia, mi rendo conto che è mia. Che l'ho fatta io. L'ho fatta io, capite? Sì, ok, pure l'Amoremio ci ha messo qualcosa di suo, ma l'artigiano sono io. Ed è perfetta sotto tutti i punti di vista, fatta da me che di perfetto non sono riuscita a fare mai nulla, nemmeno il parallelepipedo di cartone bristol a lezione di tecnica alle medie.
E quando mi guarda con i suoi occhi cerulei aggrottando la fronte mi chiedo ancora se sarò all'altezza, se troverò mai il libretto delle istruzioni oppure no. Ma soprattutto mi sento stringere dentro; la guardo e so che lei è il mio diamante, il più prezioso che poss esistere. 
E so anche che non c'è nulla che non farei per lei.

Ecco, ora mi commuovo.

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13 febbraio 2014 4 13 /02 /febbraio /2014 09:00

Non sono una che abitualmente guarda la televisione, e questo non per spocchia ma per generale carenza di tempo e cronica predisposizione ad ammucchiare le cose da fare in pile da 100 alla volta. Tanto che l'Amoremio mi lascia in giro per casa liste compilate da lui di cose che devo fare e che continuo a rimandare. Come dividere carta e plastica, per dire.

Ma la televisione, dicevamo, l'ho sempre vista poco.

Telefilm, tutt'al più, che poi è quello che guardo ancora con continuità (che l'inventore di MySky sia fatto Santo subito) e con affezione variabile. In questo momento, il mio preferito è "The blacklist", ma non disdegno "The Americans", "Elementary" e più in genere le serie che non difettano di ironia oltre che di una trama interessante. E poi c'è "The walking dead" che mi terrorizza, ma è un altro discorso.

La televisione generalista l'ho sempre schifata, un po' per questioni di tempo, ma parecchio anche per noia. Raiuno per me esiste solo in funzione di Montalbano, per dire.

Questo prima.

Prima della maternità obbligatoria, della nascita di mia figlia e prima della stagione più piovosa degli ultimi 25 anni che mi ha costretto in casa senza via di uscita.

Da quando sono a casa, dopo pomeriggi di zapping in cui non riuscivo a trovare niente che attirasse la mia attenzione, che mi facesse passare il tempo. Poi ho scoperto la morbosa curiosità generata in me da “La vita in diretta” e dal suo salotto.

A parte le labbra mostruose della Perego che sono in grado di ipnotizzarmi quando parla tanto quanto i gilet di Di Mare, la capacità di sviscerare giorno dopo giorno fatti di cronaca apparentemente insignificanti o comunque banali o poco rilevanti dal punto di vista globale e renderli interessanti e perversamente curiosi mi affascina molto. La ragazzina di Bollate picchiata e la picchiatrice, l'uomo che maltratta la moglie, la donna scomparsa, fino ad arrivare alla tragedia dell'uomo che uccide i suoi figli. Con interviste ai vicini, all'edicolante sotto casa e pure al lattaio, che mica si scherza.
Un salotto buono, per bene, pieno di opinionisti e di gente a modo. Smettere di guardarlo è complicato, un po' come smettere di guardare il vicino di casa folle che appende manichini agli alberi del giardino. Non si può.

Ma è solo perché mi piace analizzare lucidamente i fenomeni.

Sì, sì. Ecco, in questi giorni ho capito come si genera la paura nella gente comune, come si innesca il sospetto tra i propri simili, come si inizia a guardare l'uomo o la donna che si incontra alla cassa del supermercato con preoccupazione. Ora capisco la casalinga che guarda la televisione mentre stira e chiude con la doppia mandata tutte le finestre di casa appena va giù il sole.

 

Ma smetto quando voglio, eh.

E poi, dicono che la pioggia sia finita, che sia in arrivo la primavera.

Posso smettere quando voglio, in fondo la colpa è degli ormoni.

 

Aiutatemi...

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11 febbraio 2014 2 11 /02 /febbraio /2014 13:58

Mentre ero in attesa di Emma, non ero preoccupata dall'idea del parto, dal dolore o dalla paura della sofferenza. Con la determinazione del cappone che sente avvicinarsi il Natale, sapevo che mi sarebbe toccato come atto finale della gravidanza, inevitabile sotto tutto i punti di vista.
No, quello che più mi spaventava, da donna organizzata e maniaca del contollo, era il ritorno a casa. Come me la sarei cavata con la piccola? Io e lei, solo io e lei? Sarei stata in grado? Io, proprio io, che non avevo mai cambiato un pannolino in vita mia? Che non avevo mai preso un neonato in braccio per paura di romperlo? Come mai avrei potuto fare? E se mi scivola mentre le faccio il bagnetto?
Per sopperire a queste paure, sono andata al corso preparto organizzato dalla mia Asl, fiduciosa che lì avrei trovato tutte le risposte di ci avvertivo la necessità. Sbagliavo. Con mio enorme disappunto, il corso si è rivelato ben più teorico che pratico in senso stretto, vertendo molto sulla psicologia e sul cambiamento, sulla rottura dei falsi miti e sull'empatia tra future mamme. Insomma, sul momento mi sembrò inutile, tranne per la parte riguardante l'allattamento al seno, unico argomento corredato da vere spiegazioni tecniche su come tenere il neonao, come deve attaccarsi, la posizione della bocca, ecc..
Ecco, come al solito, nella mia testa si sono subito accalcate mille domande e dentro di me ero certa di una cosa: non ce l'avrei mai fatta.

Ma come diceva mia nonna con la saggezza della campagna, Dio manda il freddo secondo i panni e tutte le mie paure (o quasi) sono state spazzate via dopo pochi giorni dalla nascita di mia figlia.
Pupa che, appena adagiata sopra di me dopo il cesareo, manco fosse posseduta mi si è arrampicata addosso alla ricerca del seno e con una attaccatura da manuale ha deciso che l'ora di pranzo era abbandantemente passata servendosi da sé.
Pannolini? Le papere davanti, come giustamente osservato dalla miglior zia del mondo, mia sorella. 
Per il resto, la pratica vale più della grammatica e, magari sbagliando, giorno per giorno acquisto sicurezza.
Non tremo più appena sento piangere Emma, per dire.

 

Ho scoperto invece che tutta la teoria del corso, che ascoltavo sbuffando perché ritenevo vuota e prolissa, mi è stata più utile di quel che avessi mai potuto immaginare per capire me stessa e gli stati d'animo che ho attraversato ed attraverso tutt'ora.
Insomma, sbagliavo. Era solo paura. Non che io sia la mamma dell'anno, ma posso lavorarci su.

Ve l'ho già detto che sono maniaca del controllo?

 

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10 febbraio 2014 1 10 /02 /febbraio /2014 10:14

Milioni di parole sono state scritte per descrivere lo stato d'animo medio di una neo mamma, centinaia di frasi sono state buttate in aria e su carta per raccontare il disagio di un cambiamento di vita che può sconvolgere nel suo essere meraviglioso e nel quale si intersecano talmente tanti fattori da non essere facilmente individuabili, ma che sono raccontate a meraviglia dal libro "Latte nero" di Elif Shafak (lo consiglio a tutte le donne, mamme, in attesa e non).
E tra tutte queste parole, potevano forse mancare le mie? Sì, potevano benissimo mancare, ma perché limitarmi?
Dire che non sono felice sarebbe una bugia; sono molto più che felice e sarebbe impossibile dire il contrario. 
Ma ci sono giorni, giorni più fragili, in cui la guardo dormire e la vedo così tremendamente piccola, così minuscola che il mio cuore perde un battito e comincio a chiedermi se sarò mai in grado di proteggerla, di crescerla e di far sì che sia sana e felice.
Oppure giorni in cui piange disperata, in cui sono più stanca e mi sento più sola, in cui la ninno tra le braccia con zero risultati, pregando perché mia figlia mi spieghi cos'ha (cosa impossibile, visto che la massima interazione di cui è attualmente capace è strabuzzare gli occhi quando fa la cacca. Ecco, si parla di cacca, visto?) e mi chiedo: "Ma chi me l'ha fatto fare? C'ho un lavoro in cui sono brava, competente, dove capisco sempre come devo comportarmi per risolvere i problemi... e mi sono buttata in questa cosa che non sono capace di fare! Ma come ho fatto??"

E' normale, dicono.
Ed è vero, perché poi passa. I giorni neri si diradano, la voglia di piangere diminuisce e anche gli altri cominciano a capirla meglio.
Gli ormoni, dicono, tornano normali. 

Col tempo.
Ma la realtà è che credo sia normale avere paura. Paura di sbagliare, di fare involontariamente del male alla cosa più bella e preziosa che io abbia mai visto, ma così fragile da sembrare di cristallo. 
Almeno finché non piange, lì già dimostra un bel caratterino.

Avrà preso dalla mamma...

 

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7 febbraio 2014 5 07 /02 /febbraio /2014 08:28

Ad Emma domenica è caduto (ovviamente e finalmente) l'ombelico.
A parte la paranoia del primo bagnetto, su cui scriverò post a parte, l'annoso problema che mi è stato posto da mia madre è: "Dove lo mettiamo?"
"Ma che?"
"Ma come che?!?! L'ombelico!!!"
"..."

A dire il vero non mi ero mai posta il problema, non immaginavo nemmeno che andasse messo da qualche parte.

Eppure tradizione così vuole e con miti, tradizioni e riti voodoo non si può combattere, nemmeno sulle sponde del Trasimeno e nemmeno nel 2014. Ecco quindi mia mamma, con i con la mani ben piantate sui fianchi che mi pone la domanda: "L'ombelico dove lo metti?"
Veramente, di tutti i quesiti sulla maternità che mi sono frullato in testa in questo nove mesi, a questo proprio non avevo pensato, giuro!

Leggenda vuole che mia nonna Spina mise il mio in mezzo ad un libro, generando così la mia divorante passione per la lettura e la scrittura.
L'ombelico della mia sorellina minore, invece, è stato messo da mia nonna in un roseto ed è per questo che è così bella e delicata. E vanitosa. Forse è per questo che colleziona scarpe, non è colpa sua.
Quale sia stata la scriminante tra me e lei neonate nella mente di mia nonna Spina non è dato sapere, ma alla fine siamo venute su diverse, ma non troppo.
Anzi.
Ma resta la storia dell'ombelico da piazzare.
Sarà vero?
Sarà leggenda o peggio superstizione?

Io, a dar retta all'istinto, metterei il cordone ombelicale di mia figlia dentro la mia preziosissima edizione bicolore preziosissima e rarissima (per me ovviamente, non vale niente sennò) de “La storia infinita” di Michael Ende, regalo della mia maestra di terza elementare e punto di svolta nella mia fantasia e nella mia passione letteraria.

Troppo pretenzioso?
Troppo banale?

 

Voi che mi suggerite?

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6 febbraio 2014 4 06 /02 /febbraio /2014 08:41

Mi sono sempre chiesta con disgusto come mai tutte le neo mamme, prima o poi, finiscano con l'ammorbare parenti e riottosi amici single con il racconto della cacca del proprio erede. Veri e propri trattati su consistenza, colore, frequenza e quantità delle emissioni (sempre profumate e rivestite d'oro) della propria prole, come se al povero interlocutore importasse poi qualcosa.

Come può accadere, mi sono sempre chiesta, che donne dotate di cultura, intelligenza, esperienze variegate e lavori interessanti cambino in siffatta maniera?
Possibile che l'argomento cacca finisca anche col sovrastare quello classico tra donne, cioè il sesso?

Possibile che il cervello di una neo mamma vada in pappa, si autodistrugga in un soffio al momento della nascita della prole?

Ho sempre scosso la testa, manifestando la più cupa disapprovazione: no, a me non accadrà di certo.

Ma figurati.

Ora, a distanza di più di quindici giorni dalla nascita di mia figlia posso dire con poco orgoglio e molto senso critico che anche io sono entrata nel tunnel della cacca.

Sì, lo ammetto.

Sì, proprio io.

Non faccio altro che parlare di mia figlia e perciò indi per cui anche della sua cacca. Che ovviamente non puzza, ma profuma di borotalco e rose e sarebbe, volendo riutilizzabile in mille modi per il bene dell'umanità. Ora non me ne viene in mente nemmeno uno, certo, ma riflettendoci sono sicura che qualcosa potrebbe uscirne, tipo la storia del caffè più caro del mondo.
O simile, insomma.

La verità non è che il cervello va in pappa, è solo e semplicemente che si adegua alle necessità attuali, analizzando con lo stesso raziocinio e con la stessa attività speculativa con cui prima si guardava al mondo esterno.

Prima grafici di andamento del profitto marginale dell'azienda o dell'andamento finanziario del mese appena trascorso. Ora, come si evolve l'attività espulsiva del bebè che è diventato il nuovo padrone di casa, il tutto trasferibile (volendo, ma anche no) su grafici ben organizzati. Ché siamo donne moderne.

Mi dicono che poi passa, che poi si torna ad essere persone con una vita strutturata che vada oltre la conta dei pannolini.
Sì, mi dicono che poi passa.

 

Passa?

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5 febbraio 2014 3 05 /02 /febbraio /2014 09:30

Oggi sono due settimane dalla nascita del mio angioletto. Quindici giorni pesanti, ma bellissimi, che sono volati e che sono sembrati lunghissimi allo stesso tempo.
Non ci credete? 
Sono due settimane da quando la mia vita si è perfezionata; non stravolta, non sconvolta, non cambiata. Perfezionata.

E per quanto sia difficile, sia complicato e spaventevole se affrontato con razionalità, quando la guardo negli occhi cerulei sento che potrei fare di tutto per lei, modello leonessa della savana.
Due settimane in cui è arrivato e passato lo scarico ormonale, dove ho pianto guardando la pubblicità degli assorbenti, dove ho avuto paura di essere un pessimo acquisto per mia figlia e di non sapere fare niente e dove mi sono sentita felice e soffocata allo stesso tempo.
Sì, tutto insieme.

Dorme, la pupa.
Dorme con i pugnetti stretti accanto alla faccia ed il gatto che la guarda da lontano, incerto se scappare o no.

"In fondo," credo che pensi, "ha l'odore della padrona addosso, male non sarà. Certo che però è strana forte."
Sono passate due settimane, quindici giorni esatti. Due settimane da quando ho imparato a sentirmi fortunata, ad accettare l'amore incondizionato di chi mi sta accanto, a mollare i freni del facciotuttoio e del controllotuttoio.

Sì, lo so. Non può durare.

Il mio pessimo carattere riemergerà allo svanire della prolattina, di questo statene certi.


Però finché dura approfittatene...

 

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3 febbraio 2014 1 03 /02 /febbraio /2014 12:40

Eccomi qui, sono tornata!!!!
Come, non ve ne siete accorti? Davvero?
Ma sì, lo so che vi sono mancata e che vi siete strappati tutti i capelli nella frenetica attesa di sapere cosa fosse successo o meno. Del resto, come potete vivere senza di me e il mio blog?

Delirio a parte, il mio blog è stato offline dal 20 gennaio fino ad oggi, in pratica esattamente come me. 
Io il 20 mi sono ricoverata in ospedale perché la mia pupa non aveva nessuna intenzione di uscire dalla pancia nonostante i termini ampiamente scaduti (sempre in ritardo, come la mamma) e non mi sono resa conto di nulla fino al mio rientro a casa. Rientro che, diciamolo, non è stato facile tra dolori del cesareo e baby blues. Per fortuna che la mia famiglia e le mie amiche non mi hanno mollato un attimo. 
Quando mi ripiglio che scopro?
Che il blog è sparito. PUFF! Così, come cambia il vento. 

Senza lasciare traccia.
PANICO.
Anche perché non avevo idea di come risolvere la cosa e non avendo un interlocutore diretto mi sono trovata ad affrontare tutto al buio. Senza backup di niente, ovvio, nemmeno del template. Perché io, che ho fatto le scuole informatiche, nella realtà sono una pippa atomica in queste cose e continuo a rimpiangere Splinder e la sua facilità di utilizzo.
Insomma, alla fine stamattina sembrerebbe tutto risolto, Overblog s'è scusato e io non voglio indagare oltre: basta che da oggi sia tutto a posto.
Spero.

Non è che nel frattempo vi siete dimenticati di me, eh?

 

 

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Tutto quello che c'è nella mia testa...vita, amore, arte, libri, immaginazione, musica. Il tutto naturalmente immerso nella confusione più totale. Poco? Qualche volta, pure troppo!!!

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