I miei genitori sono proprio come certa parte dei politici di destra che affermano senza remora alcuna che lo sterminio degli ebrei non sia mai avvenuto e che i campi di concentramento fossero in
realtà piacevoli strutture ricreative e prototipi di beauty farm.
Con la stessa bovina e caparbia faccia tosta, i miei genitori quando si parla della mia adolescenza
ed anni limitrofi, negano.
Facciamo un passo indietro.
Sono nata a gennaio.
Così, per non farmi saltare un anno intero e visto che ero una bambina sveglia, mi mandarono a fare
la celeberrima primina da una insegnante privata, due pomeriggi la settimana. Il fatto che avessi fatto a botte con metà dei bambini dell’asilo e fatto nascere un bozzo in testa a forza di colpi
di Lego alla bambina bionda antipatica con i boccoli non credo sia stato rilevante per la scelta dei miei genitori.
E’ che proprio ero una bimba sveglia.
Così entrai a scuola direttamente in seconda elementare.
A sei anni.
Se questo mi ha portato innumerevoli vantaggi, come il finire l’università con un anno fuori corso ma
con una età da “in corso”, nella mia adolescenza mi ha tarpato letteralmente le ali.
“Posso andare in gita a Parigi con la scuola?”
“No, sei troppo piccola”
“Posso avere il motorino?”
“No, sei troppo piccola”
“Posso scegliere che scuola fare dopo le medie?”
“No, sei troppo piccola”
Va da sé che per studiare non ero troppo piccola, né per badare alla mia sorellina (già)
rompiballe.
Fattostà che, al momento di scegliere la scuola, voce in capitolo non ne ho avuta.
Ma si sa, i genitori scelgono secondo logica e coscienza, in base alle attitudini ed alle
inclinazioni dei figli.
Possono farlo molto meglio di loro, che magari possono basare le proprie scelte su quelle delle
amichette del cuore o all’euforia del momento.
Giusto che in certe decisioni intervenga il controllo parentale.
Quindi, è giusto che se la propria primogenita viene promossa con ottimo in terza media ed è
considerata un piccolo talento letterario, venga iscritta senza colpo ferire all’istituto tecnico.
Perché l’unica del paese.
Così non sarei dovuta andare a Perugia, chè ero troppo piccola.
Inutile puntare i piedi. Sbattersi. Piangere.
No, no, no.
Così si fa.
Noi sappiamo cos’è meglio per te.
E questa è casa mia, e qui comando io.
E poi scrivere non dà da mangiare.
Peccato che la tranquilla scuola superiore a cui i miei mi avevano iscritta d’ufficio, a parte avere
delle materie che detestavo (merceologia??? E che roba è?), fosse frequentata dalla feccia della società. Avevo alcuni compagni di classe dell’età degli insegnanti, pluriripetenti che ammazzavano
il tempo a scuola e minorati assortiti che rullavano canne in classe. Avevo anche il bidello maniaco e pedofilo che mi chiamava principessina.
Un bell’ambientino.
Da cui sono scappata appena ho potuto.
Così sono passati cinque anni, due in riformatorio e tre all'ITC Capitini di Perugia, divisione Programmatori. L’élite, in pratica. I genietti della scuola. Sono
passati noiosi, campando di rendita, inanellando bei voti e pessimi giudizi caratteriali, continuando a non capire la differenza tra conto economico e finanziario (tutt’ora non lo so, vi prego
illuminatemi!) ed a sentirmi diversa da tutti gli altri.
Considerando che ora, per modificare il mio template devo piangere miseria presso colui che tutto può, devo dire che è stato tutto molto utile. Però conosco il COBOL.
Lo so, un po’ è l’adolescenza che ti fa odiare tout-court tutto della tua vita. Ma molto era
anche dovuto al fatto che on era quello che volevo. E oramai per tornare indietro era troppo tardi.
Che nervoso.
Ed ora, anno del Signore 2006, i miei genitori affermano tronfi davanti ad una coppia di amici in
visita intenti ad annuire che bèh, in effetti loro sono per l’autodeterminazione dei figli. Chè, è ovvio, devon prendere coscienza da soli della vita, fare le proprie scelte e non essere
condizionati.
Davanti alle mie rimostranze un tantino (come dire) accorate e veementi, non solo hanno sgranato gli
occhi, ma mi hanno dato della bugiarda esaurita e/o malata di nervi. Oltre che figlia degenere.
Siccome non hanno ancora superato la sessantina, può essere solo arteriosclerosi
precoce.
Non che frequentare un liceo mi avrebbe cambiato la vita, o reso la vita innegabilmente migliore o
con più talento. Magari ora sarei disoccupata, o mi toccherebbe fare la cameriera in qualche pulcioso pub irlandese del centro gremito di ragazzini erasmus urlanti.
Oppure no.
Il mio unico cruccio, a dire il vero, è che al mio paese ci fosse una sezione distaccata
dell’istituto tecnico e non della scuola professionale per estetiste.
Almeno, ora, saprei fare la french.