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8 aprile 2007 7 08 /04 /aprile /2007 22:15

Insomma, oggi è Pasqua.
Il giorno in cui, per i cristiani, Gesù ha sconfitto la morte ed è resuscitato.
Così, lo ricordo giusto per intenderci, eh, ché spesso ci si dimentica del senso della festività che si vive per concentrarsi sul cioccolato dell’uovo. 

Come tutti gli anni, schiava della mia necessità di spiritualità inappagata, mi sono recata a messa.
Non che sia una novità, spesso la domenica mattina frequento la Chiesa del mio paese, che trovo sempre semideserta e abitata da strani personaggi.

Nei giorni di festa, poi, diventa un ricettacolo di varia umanità, molto più interessante da osservare rispetto allo star ad ascoltare il chiacchierante blaterare del prete ed il sordo ripetersi di formule oramai vuote da parte di una platea annoiata.
Arrivare in ritardo ha i suoi vantaggi, stare in piedi accanto al confessionale regala un buon punto di osservazione.

C’è la famigliola annoiata con almeno un pargolo di troppo seduta sulla panca in fondo a destra. Il padre sbadiglia dubbioso e serio, cercando di fingere interesse mentre si spulcia accuratamente le unghie.
La madre, agghindata come un albero di Natale e fresca di parrucchiere, annuisce seria e finge di ricordare tutte le parole del Credo mentre uno dei pargoli tenta di uccidere l’altro sotto la panca.

Ci sono i turisti, accorsi a frotte dalle città per godere di un paio di giorni di natura, vestiti casual e aria spaesata. Nella loro mente questo mio paesino abbarbicato su una collina e con davanti il lago deve essere un bello spettacolo.

C’è la mia ex compagnia di banco delle medie, incinta del terzo figlio.
Sarà felice? Sarà quello che voleva da ragazzina, quando era innamorata di Morten Harket e passava le giornate attaccando sue foto sul diario?
Certo che suo marito al bel Morten non c’assomiglia manco un po’. Anzi. Proprio per niente. Assomiglia al massimo a padre Cionfoli.

Ci sono i bambini della Prima Comunione, tutti vestiti con la tonaca bianca. Come faccio a non ripensare all’orrevole vestito di pizzo Sangallo che mia madre mi obbligò a portare per Comunione e Cresima? Mi sentivo una bomboniera grassa.
E avevo solo 8 anni.
Evviva la tonaca bianca, uguale per tutti.
E che sfina.

Ecco lì il mio amico gay, bellissimo in un completo grigio chiaro ed un paio di occhiali da vista molto fashion. Da quando ha fatto outing è molto più sicuro di sé e sereno. Fa bene al cuore vederlo così.

C’è la signora di una certa età, la ex proprietaria del negozio di alimentari del paese ora di proprietà di una nota catena, intona enfaticamente come al solito tutte le canzoni con due ottave di troppo, catalizzando l’attenzione dei turisti.

Poi c’è la meravigliosa ala dedicata al coro ed alla comunità neo-catecumenale. Sguardo vivo, occhi lucenti e totale aberrazione della propria mente davanti alle parole del prete. Sono una comunità, una famiglia allargata. Oppure fanno finta.
E’ questa la fede?

All’improvviso la mia attenzione è attirata dall’omelia del prete.
Vi ricordate del mio originale parroco? Sì, lui.
Colui che inneggiava alla crociate, lui.
Anche oggi ha dato il meglio di sé, generando in me la ferrea convinzione che se quel Gesù inchiodato alla croce in fondo alla chiesa potesse scendere, gli darebbe due schiaffi sonori.
Oppure, se potesse parlare come il Crocifisso di Don Camillo, lo prenderebbe a mali parole.

Cari fedeli, oggi a Roma c’è la marcia a favore della moratoria sulla pena di morte
Silenzio della Chiesa.
Immagino che ora partirà una tirata (giustissima) contro la pena di morte.
Sbaglio.
Io mi domando. Moratoria. Perché? Non dobbiamo forse morire tutti? Conta come e quando?
La gente mormora, si guarda negli occhi.
Moratoria, moratoria. Che senso ha? La pena di morte non deve interessarci! Solo in Gesù dobbiamo confidare!
Certo, certo.
In Cina viene eseguita la pena di morte su incriminati per reati politici, ma a noi cristiani cattolici non deve importare.
E poi in USA? Dove muoiono nel braccio della morte solo i poveracci con avvocatucoli incapaci? Ma noi tanto confidiamo in Gesù, che ce ne frega?
Che poi, questa gente che disonora la Pasqua per marciare è la stessa che uccide embrioni e malati!!! E’ la stessa che vuole demolire la nostra idea di famiglia!! Peccatori!!! Fornicatori!
AH! ECCO!!!
Il  problema non è la marcia contro la pena di morte, ma chi l’organizza!!!

E qui stavo alzando la manina come a scuola, ma il gomito di mia madre piazzato tra due costole mi fa desistere.
Peccato, perché avrei voluto spiegare che la pena di morte è quantomeno molto discutibile in un paese civile, figuriamoci in uno che non ha la nostra “democrazia occidentale”.
Che l’aborto è una libera scelta.
Che l’eutanasia è molto più dolorosa per chi deve praticarla che per chi la subisce.
Che lo studio delle cellule staminali è necessario per cercare una cura a molte malattie tremende.
Che posso non condividere tutte le idee ed i metodi dei radicali, però non cambia il fatto che spesso le loro idee siano giuste.

Ma sono stata zitta.
Ho inghiottito il rospo e mi sono guardata intorno.
Silenzio. Calma. Tranquillità.
Solo io sembravo sconvolta da tanta falsa moralità.
Possibile che solo io la pensi così? Oppure, mi piace pensare, nessuno ascoltava davvero ma aveva il cervello proiettato verso i cannelloni e l’agnello al forno.

Bruci il tempio con tutti i Farisei...

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2 aprile 2007 1 02 /04 /aprile /2007 00:25
Ali di pipistrello, polvere di lingua di lucertola essiccata, occhio di salamandra, essenza di belladonna fiorita una notte di venerdì 17, baffi di gatto nero. Il tutto rimestato in un pentolone con cura e risate demoniache e…

E niente, non lo otterrete nemmeno così.
Forse perché non esiste, forse perché è troppo soggettivo.
Ma alcune linee guida ci saranno, non trovate?
Come per cosa?

Ma ovvio, per l’uomo dei nostri sogni, l’uomo perfetto!

Cosa deve avere l’uomo perfetto? Chi vorreste vedere arrivare con la vostra scarpina decolté di cristallo numero 37 in mano?

Tralasciando per ora l’aspetto fisico, che conta comunque un 60% abbondante (anche se spesso tutto all’inizio), concentriamoci sulle altre qualità indispensabili all’uomo dei sogni.

- prima di tutto deve avere interessi e voglia di vivere. Non potrei nemmeno pensare di innamorarmi o anche solo frequentare con un noioso e borioso rampante avvocato o manager affogato dal suo lavoro e invaghito fino alla morte delle meravigliose prestazioni del suo nuovo bolide o del suo cellulare. Mi piacciono le persone curiose, appassionate, che hanno ancora dei sogni sebbene abbiano superato l’adolescenza da un periodo di tempo sufficientemente lungo da essersene quasi scordati. Voglio un uomo che non si sia arreso alla mediocrità, che voglia vivere davvero, che non abbia paure sciocche. Merce rara? Temo di sì…

- altra caratteristica importante è l’ironia. C’è qualcosa di peggio di un uomo che non arriva a capire quando stai scherzando? Un permaloso che si chiude a riccio appena butti là una battuta? L’ironia è per me una parte molto importante anche dell’attrazione fisica verso un uomo. Non sono forse normale?

- deve avere una certa cultura, è innegabile. Ma non parlo di titoli di studio, visto che molti laureati o affini che conosco sono delle scarpe senza fine. Parlo sempre di quella certa curiosità che spinge verso la conoscenza, la voglia di sapere, indagare, conoscere che caratterizza una persona mai doma.

- caratteristica da cui non si può prescindere, ovviamente, è che sia premuroso ed innamorato. Ho detto premuroso, non appiccicoso come un panino col burro di arachidi. Una persona che sappia esserci quando è necessario, ma che sappia lasciare gli spazi che mi sono necessari a respirare e che spesso sono grandi. Parecchio. Odio la gelosia, è un sentimento che non  mi appartiene (non sono cieca, però, il ché è differente) e non sopporto di esserne oggetto nemmeno trasversale.

Fin qui, le caratteristiche prettamente morali.

Poi, c’è ovviamente il fattore “chimico” che può anche prescindere da tutto ciò sopraesposto e anche, udite udite, dall’aspetto fisico. Non sempre pettorali e tartaruga addominale rendono un uomo arrapante. Da qui, la convinzione da parte di tutti i miei amici maschi del fatto che io abbia un pessimo gusto in fatto di uomini.

Ed ho volontariamente tralasciato l’aspetto sessuale non perché non abbia la benché minima importanza, anzi. E’ forse uno degli aspetti più importanti, ma che varia e si evolve col tempo, conoscendosi ed imparando a capire le proprie esigenze.
Certo.
Certo.
Anche se.
Cosa c’è di più brutto al mondo di scoprire che l’uomo più carino/dolce/interessante del mondo è un micropisello? No, non un normo-dotato.
Proprio un micropisello.
Qui entra in gioco l’amore, certo, ma anche le esigenze della donna.
Di ogni donna. Normale almeno. E onesta.
Vorreste voi passare la propria vita con questa prospettiva?
E voi, lettori uomini, non scuotete la testa affermando che non è importante. Se è così, perché passate tanto tempo a misurarvelo tra di voi ovunque? Perché se non è importante non vi misurate i piedi o la lunghezza delle mani?
Quindi, tra le caratteristiche dell’uomo perfetto non può certo mancare l’abilità amatoria, unica ad una attrezzatura almeno di serie.
Almeno.

Ma dove trovare l’uomo perfetto?

Cosmopolitan, illuminato come sempre, sconsiglia di bazzicare i locali da ballo e pub, per concentrarsi verso luoghi più ameni quali il supermercato, la libreria, i ristoranti in pausa pranzo, la palestra e anche (per le più disperate) le mille vie di Internet.
Secondo me, il caso domina sovrano in queste cose, puoi incontrare l’uomo dei tuoi sogni al bar, tamponarlo ad un semaforo, al lavoro, in lavanderia, dal gelataio, ovunque.
Non c’è un luogo scientificamente preposto com’era la chiesa ai tempi dei nostri nonni e forse questo è il limite della nostra società. I nostri nonni andavano a messa, e invece di sentire la predica accorata del parroco dal pulpito occhieggiavano le giovani devote (che tanto pie non erano) nascoste sotto pudichi fazzoletti. E da lì scattavano tresche e fidanzamenti, amori e passioni.

Ed oggi? Oggi è difficile, la vita è una jungla, siamo tutti pieni di paure e frustrazione. E allora, una povera donna single come deve fare? Dove deve andare? Difficile ed aleatorio, siamo in mano al caso e nemmeno la Fata Smemorina ci può aiutare. Ma se non può lei, di certo potrà la potenza del mago del nuovo millennio: non Merlino, ma internet! Almeno per sognare, chiaramente.

Ora, se siete arrivati fin qui a leggere, a meno che non siate maschi completamente eterosessuali, di certo vi sarete chiesti chi è lo stallone che troneggia come illustrazione di questa mia digressione. Trattasi di tale Juan Garcia Postino, fresco vincitore della fascia di Mr. World vinta a suon di pettorali (ma non solo) da questo hidalgo spagnolo dagli occhi di ghiaccio.
La singolare competizione non tiene conto solo dell’aspetto fisico, seppure importante, ma prevede tutta una serie di prove non solo fisiche tutte indispensabili per ottenere la vittoria. Quest’anno ha vinto lui e gliene diamo ben merito. Mica non è solo bello, è anche un appassionato viaggiatore amante della cucina. E parla italiano. Pensateci.
Certo, leggendo attentamente i curriculum anche degli altri concorrenti, che vi consiglio vivamente di spulciare anche se il sito è solo in lingua inglese, ci sono molti uomini ideali che sarebbe bello poter incontrare, anche al supermercato.

C'è anche un italiano, ma il mio preferito è il brasiliano Lucas Gil, bellissimo nutrizionista impegnato nelle politiche sociali, amante del football e della lettura. Peccato solo che sul sito non ci siano i numeri di cellulare, altrimenti partivo subito per la terra carioca.

E il vostro uomo ideale esiste?
Che caratteristiche dovrebbe avere?
Ho tralasciato qualcosa?
Ho esagerato?
Sono troppo pretestuosa?
E Voi?
L’avete trovato?
Credevate di averlo trovato e invece no?
O invece sì?
E voi uomini, principi azzurri in attesa di scarpette da riconsegnare, come la vedete?
Fatevi avanti!

Ora scusate, devo andare: vado al corso di portoghese…

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27 marzo 2007 2 27 /03 /marzo /2007 00:25
Ci sono libri che inizi a leggere così, per sfida.
Giusto perché, intorno a te c’è chi lo ha amato alla follia e chi non lo userebbe nemmeno come fermo per una porta che sbatte.

Insomma, tutti intorno a te ne parlano e tu non hai una idea tua.
Che altro si può fare se non leggerlo?
Tu, proprio tu, che di libri fai finta di capirne... non l'hai ancora letto?
Inevitabile.
Con timore, forse.

Con zero aspettative, a dire il vero.

Sicura e certa di trovare la solita boiata finto intellettuale che spesso si cela dietro un libro di un autore italiano cosiddetto giovane, ma già osannato dalla critica e benedetto dalle vendite.
E così che ho iniziato a leggere “Caos calmo” di Sandro Veronesi.

Ed è così che dentro c’ho trovato molto di più.

Il protagonista è Pietro, rampante manager di una pay tv, che in una domenica d’agosto salva la vita, insieme a suo fratello Carlo, a due donne che stanno per affogare. Contemporaneamente la sua compagna, Lara, muore all’improvviso nella loro casa al mare, unica testimone la figlia di 10 anni, Claudia.

La sua vita cambia dal quel giorno in modo radicale, cercando attimo dopo attimo di ritardare il momento in cui l’ondata del dolore per la perdita subita lo travolgerà. Per il bene della figlia, si dice lui. Il bene della piccola, saggia e riflessiva Claudia, che come tutti i bambini del mondo, nonostante i genitori non lo sappiano, sanno vedere molto più in là e capire il mondo e le emozioni di quello che il mondo degli adulti pensa.

Per uno strano gioco, il primo giorno di scuola promette che si fermerà fuori ad aspettarla. Lì. Tutto il tempo lì. Per il bene di Claudia. Già, certo... perchè  altrimenti?

Prima fuori dalla macchina, approfittando di un autunno che non vuole arrivare e di una estate che non vuol saperne di finire. Poi, in inverno, nell'abitacolo.
Ad aspettare un cenno della figlia alla finestra. Ad osservare una varia umanità che prima non aveva nemmeno notato, preso dalla folle corsa che è la vita quotidiana: la madre che porta a fare terapia il figlio down, la ragazza col cane, il vigile, le maestre, la cognata, il vicino di casa.
Un mondo sconosciuto che tenta di convivere con il dolore di Pietro.
Dolore che però non arriva.
Perchè? Dov'è?

E proprio lì, Pietro riceve colleghi, superiori e amici. Fuori dalla scuola rilegge la sua relazione con Lara, ripensa a lei, cerca di entrarne in contatto telepatico attraverso la musica, riesamina i rapporti professionali sconvolti anch’essi da una fusione industriale, da licenziamenti e dimissioni, da promesse di promozione (rifiutate) e da confidenze di uomini potenti.
La sua postazione fuori da scuola diventa un confessionale dove venire ad ammettere le proprie colpe e a manifestare le proprie lacrime, come se il dolore inespresso e mascherato  del protagonista fosse in grado di dare comprensione a tutti.

Perché caos calmo è proprio questo: il momento di attesa in cui si aspetta l’ondata di dolore che di sicuro ci sommergerà sopraffacendo la razionalità che tanto il nostro secolo decanta. E’ il rimandare il momento della presa di coscienza che quella persona, sì proprio quella che amiamo così tanto, non c’è più e non tornerà.

Caos calmo vuol dire vivere nel limbo, andare avanti ed allo stesso modi rifiutarsi di farlo. Posporre.
Sensazione che ho chiara in mente, in cui sono maestra.
Ritardare il dolore. Ignorarlo. Raccontarmi un’altra storia con un finale diverso.
Ed è inutile, perché senza affrontare il dolore, esso non passerà. Non smetterà di inseguirci.
Ma il libro di Veronesi non è solo questo.
E’ una piccola perla di sensibilità.

L’autore con estrema leggerezza narrativa disegna immagini e sensazioni, racconta piccole storie e grandi emozioni  che portano alla crescita ed alla evoluzione del protagonista.
Non posso affermare che si tratti di un capolavoro, ma è comunque uno di quei libri che fanno riflettere sulla propria vita e creano spunti di riflessione. E questo non è certo poco, vista l’aridità che c’è in giro per il panorama letterario.

Se c’è un appunto che si può fare a questo libro, è la mancanza di un ritmo che incalzi il lettore. Lo scrittore, infatti, si lascia spesso andare in lunghe divagazioni narrative che però, secondo me, sono la vera forza del libro. Ne fanno un piccolo affresco della vita di oggi, che spesso ci scivola addosso senza che l’80% delle cose che viviamo, vediamo, incontriamo ci tocchino.
Anzi, senza che nemmeno le notiamo.

E’, come ho detto all’inizio, un libro assai controverso. O lo si ama, o lo si odia.
Ma non credo, come è stato detto in una recensione non mi ricordo da chi o dove letta, che questo sia un libro solo per chi ha un QI molto elevato, un libro non per tutti.

Penso che, come tutti i libri, debba essere letto nel periodo giusto della propria vita per essere capito davvero e che bisogna essere dotati di una sensibilità particolare per innamorarsene.

La fine del libro porta con sé una morale notevole: spesso, anzi sempre, crediamo di fare le cose per il bene degli altri. E invece, senza accorgercene, le facciamo per il nostro.
Non per utilitarismo, ma semplicemente per spirito di conservazione che contraddistingue gli uomini.
Involontariamente, senza nessuno spirito egoistico, non per tornaconto.
Solo per proteggerci.
Ma non si può.

Il dolore è come una pantera che ti segue nell’ombra. Paziente aspetta, non ha fretta. Non si arrende mai. E quando pensi che sia troppo tardi, che oramai sia passata, di averla infine sfangata, ti salta alla gola.
E allora, tanto vale affrontare le cose a viso scoperto.

Già. Come se fosse semplice...

 

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22 marzo 2007 4 22 /03 /marzo /2007 23:54
Già.
E' uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo.

E così mi sono sacrificata e sono andata a vedere “Ho voglia di te”.
Per amore della scienza, sia ovvio.
Non perché Scamarcio mi smuova la benché minima tempesta ormonale.
Chiaramente.
E poi, c’è la Lauretta in questo film, ragazzina di paese cresciuta in casa mia sempre col sorriso sulle labbra a cui non era possibile non volere bene. Timida e  schiva, impegnata a mascherare la sua fragilità dietro una allegria che spesso  non era sua.

Il film è subito, fin dall’inizio, chiaramente indirizzato ad un pubblico di scuola media inferiore innamorato dell’amore e succube dei primi pruriti adolescenziali. La storia è troppo scema per essere divertente, troppo poco coinvolgente per essere melensa o romantica. Troppo per tutto e troppo poco per altrettanto, insomma.

Certo, c’è Scamarcio ed i suoi occhi azzurri, ma in questo film è troppo (quest’aggettivo si lega alla perfezione con il film, incredibilmente semplice e ridondante allo stesso tempo) ed insopportabilmente ragazzino e mi riservo di vederlo prossimamente in “Mio fratello è figlio unico” per dargli un voto come attore.

Il film si apre bene, con il protagonista che torna a Roma sulle note di “The passenger” di Iggy Pop. Stai a vedere, ho pensato, che magari…
Invece no, subito dopo si devia su Tiziano Ferro e non ce n’è più per nessuno.

Non sto a raccontarvi la storia, anche se potrei riassumerla in un lampo, preferendo con un certo sadismo che ve lo gustiate tutto. Dall’inizio.
Vi dico solo che ho sbadigliato in preda alla banalità per tutto il film, finchè Step/Scamarcio ha affermato che da New York non si vedono le stelle la notte, mentre lì (da Roma) si vede tutta la volta celeste.


Vabbè, secondo me lui ha intascato i soldi e buttato giù tutto.
Ed ha fatto anche discretamente bene.
E poi gli perdono tutto, perché bello, intelligente nonostante il clichè che gli hanno stampato addosso e perchè sta con Valeria Golino.

Ora, io due paroline due le vorrei dire a Federico Moccia.

Caro Fede, ammesso che tu possa venire fin qui a leggere le mie baggianate, io un paio di sassolini dalle scarpe me li devo togliere.
Prima di tutto… in che mondo vivi?
Sono tutti ricchi o benestanti, ben vestiti e intenti a non far nulla in un mondo completamente decontestualizzato dal quotidiano. Capisco che i giovani d’oggi siano ripiegati su loro stessi, però…
E poi... Roma è una metropoli e la sua assolata solitudine estiva è forse la cosa più bella del film. Ma, Fede cacchio, è una metropoli da 5 milioni di abitanti e passa non il mio paesello sulle sponde del Trasimeno. Capisci che se uno gira alla ricerca della sua amata senza avere indizi, è parecchio difficile che la possa trovare!!

E a dirla tutta, Fede tesoro, siamo realistici. Se fosse una storia vera non si sarebbe conclusa con l’happy end, ma a scelta:
1) il protagonista torna con la ex stragnocca, lasciano la povera Laura (una di noi, massimo rispetto) a piangere sconsolata ed abbandonata
2) il protagonista torna con la ex stragnocca, che però si sposa lo stesso derubricando giustamente Scamarcio al ruolo di amante e perfezionandosi nell’arte del “piede-in-due-staffe”.
3) il protagonista, dopo l’abbandono dell’ex stragnocca, decide che non è il momento per storie seriededica alla sua libertà, perché deve ritrovare i propri spazi e vivere la propria vita. Insomma, tromba a destra e a manca.

Che votate? Io la terza, assolutamente.


Ah, no, che fai Federico, te ne vai?
Aspetta, aspetta un attimo. Non ho ancora finito con te.

Io, caro mio bello, “Tre metri sopra il cielo” (3MSC in breve… ma come si fa… ci volevi mettere pure una faccina???) l’ho letto. Si, si. Non te lo aspettavi, eh? E invece sì. L’ho aspettato in economica e l’ho letto, e tutto anche perché non mi piace giudicare senza aver provato. Il secondo no, non ce l’ho fatta. A tutto c’è un limite.

E dopo attenta analisi, tralasciando il contenuto giovanilistico e l’uso approssimativo della fantasia a discapito della banalità, posso affermare che hai avuto una gigantesca botta di culo.
No, dico davvero. Hai saputo mirare al cuore della generazione che scrive con le k e abbrevia tutto: parole, nomi, concetti, tutto.
Ok, ispirazione giovanile mi sta bene. Però il tuo primo libro sembra scritto da una ragazzina di seconda media. Dimmi la verità, hai per caso rubato il diario segreto della tua cuginetta? E non tirare fuori la scelta del target: scrivere libri per ragazzi non vuol mica dire scrivere come loro o pensare che chi legge sia ignorante e deficiente. A 14 anni io leggevo Stendhal. E va bene che ero sui generis come adolescente, però TUTTI in classe avrebbero saputo scrivere meglio di com’è scritto “Tre metri sopra il cielo”, anche lo sgobbone fallito del terzo banco partendo dal fondo, quello lì accanto alla finestra.
T’ha detto culo.
O magari sei stato bravo a mirare basso, consapevole che nessuno legge più e che il potere economico è in mano ai ragazzini che ricattando i genitori, rei di poco tempo e poco amore, sono i padroni dell’euro e della cultura pop. Ragazzini e ragazzine abbandonati in città enormi ed ostili tra il mito del brand, internet flat, la tv e il sesso ammiccato e ammiccante raccontato dalle gonne minimali delle veline. Quindi tanto vale abbassarsi al loro livello invece di contribuire alla loro crescita, parlando la loro lingua, raccontando il mondo di tutti i giorni con spruzzate di vita parolina, mescolando tutto con grandi quantità di sentimentalismi gratuiti.

Insomma, sei uno sciacallo. Si può dire? Beh, oramai l’ho detto, è tardi. Sei uno sciacallo che si traveste da finto giovane alla moda lucrando sull’immaginario di ragazzini drogati dalla TV e  ai quali i programmi pomeridiani della De Filippi hanno ciucciato gli ultimi neuroni.

Sì, lo so. La tua non è stata una vita facile, il successo è arrivato tardi e per caso. Hai lottato, creduto in te, fatto sacrifici. In fondo, chi era tuo padre? Capisco i tormenti, le difficoltà, le lacrime amare.
Ma tu, classe 1963, non ti vergogni nemmeno un po’?
Possibile?
Come dici? La mia è tutta invidia?
Certo!
Magari io!
Per carità, è il sogno di tutti quelli con minime velleità letterarie avere una botta di culo come la tua, imboccare un “3MSC” che faccia ottenere soldi, fama, gloria ed una imitazione favolosa di Fiorello, per poi passare la propria vita a scrivere sotto falso nome sceneggiature per film polacchi con sottotitoli in russo per espiare i propri peccati.

Perché è questa l’unica via.
L’unico strada verso la redenzione.
Questo, o leggere tutti gli autori russi in una notte.

 
Pentiti, peccatore, pentiti!!!!!!!!!!

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20 marzo 2007 2 20 /03 /marzo /2007 21:41
Ci sono poche cose che odio davvero.

Gli hot pants.
Dan Brown.
Le sciarpe di seta colorate da uomo.
I boxer.
Le scarpe con la zeppa.
La nebbia.
Berlusconi.
Il cavolo bollito.
Che altro?
Ah, sì. Dimenticavo.

Il fumo.

Ebbene sì, io sono una di quelle persone rompiballe ed altamente rognose da cui, rivolgendo la canonica domanda “Ti spiace se fumo?”, vi sentirete rispondere la verità bruciante. E cioè: “SI

Signori e signore, avete davanti a voi proprio la più intollerante delle intolleranti, la figlia illegittima del Professor Sirchia, la nemesi dei nicotinomani indefessi.

Chiamatemi sfigata.
Antica.
Rompiballe.
Ma il fumo delle sigarette io lo odio.

Non ho mai fumato che un paio di sigarette nei bagni delle scuole superiori. Così, per sentirmi come gli altri nell’età in cui omologarsi è necessario come e più di respirare.
Un paio, non di più, che la paura di mio padre, ex fumatore con l’olfatto di un cane da tartufo, mi ha sempre impedito di perseverare in questo vizio. Probabilmente anche perché non lo volevo davvero.
Sono troppo schizzinosa.

Analizziamo il tutto:

1) Il fumo ha un cattivo odore, sgradevole anche per chi fuma. Soffocante, asfissiante, rimane appiccicato ai vestiti ed ai capelli. Mica come se fumaste qualcos’altro. Una puzza disgustosa, capace di farmi cadere la libido a velocità impressionante. Come se ciò non bastasse, si lega a meraviglia con al puzza di sudore o con l’alito cattivo, creando mix davvero molto sexy.
Specie se avete perso il senso dell’olfatto.

2) Avete mai provato a baciare un uomo che fuma? Nonostante gomme e mentine, sembra sempre di baciare un posacenere sporco. Non è un luogo comune, ma una esperienza diretta della sottoscritta. E non è che continuando la situazione migliori. Avete mai provato a leccare dei mozziconi di sigaretta? Il retrogusto vi rimarrebbe in gola per ore.
Ecco, più o meno è questo che intendo…

3) Molte donne si sentono Marlene Dietrich ne “L’angelo azzurro” con la sigaretta voluttuosamente appoggiata tra le dita. Non considerando che fumare quelle dita le fa diventare gialle, e dello stesso invitante colore diventano i denti. I capelli si assottigliano, la pelle si ingrigisce e le rughe aumentano. Vogliamo poi parlare dei polmoni? O della finaccia che ha fatto la Dietrich?

4) Le sigarette costano, sempre e sempre di più. E giustamente, cacchio. Dipendesse da me, un pacchetto di nazionali costerebbero € 10,00 e poi da lì a salire. Ci metterei anche qualche nuovo balzello sopra. Potrebbe essere una favolosa idea per risanare i conti dello stato, non trovate? Risanamento dei conti e, parallelamente, tutela della salute pubblica: scopa!

Ma tutto ciò non è che la punta dell’iceberg. Se è vero che ognuno fa quello che vuole nei limiti della propria libertà personale costituzionalmente garantita, vero è anche che questa libertà trova il proprio naturale limite in quella sacrosanta degli altri.

Concetto semplice, alla base di ogni moderna democrazia, al limite dell’ovvio.
Ma difficile da far digerire a chi fuma.
Mi scoccia dirlo, ma nella mia modesta esperienza fumatore fa rima con cafone.
No, non tutti.
Ma almeno nel 90% dei casi.
Non in tutti, eh, ma una buona fetta.

Se fumare mi dà fastidio oggi e mi dava fastidio ieri, probabilmente anche un Chro-Magnon capirebbe che mi darà fastidio anche domani. E dopodomani. Ed il giorno dopo ancora.
Quindi, fumatore, non ce provà! Non è che mi dimentico, è inutile.
Non fare il finto tonto.
Se tossisco, mi sposto, mi faccio aria e alla fine apro tutte le finestre anche se fuori ci sono tre pinguini che ballano la hula non è perché mi è arrivata la menopausa all’improvviso.
E’ che mi scoccia rompere sempre, ripetere a vuoto le stesse cose.
E  non tirare fori la storia che è un vizio. La nutella è un vizio, non questo!

Tuttavia, caro fumatore, se mi becchi nervosa, mestruata o dopo una cena con i parenti, sono cazzi. Rischi che la sigaretta io te la spenga tra gli occhi con cura e perizia, generando sulla tua fronte un bindi molto trendy e parecchio indelebile che sarà l’invidia di tutti i tuoi amichetti.
Mi sono spiegata?

Se siete arrivati alla fine di questo pippone contro il fumo, vi starete chiedendo: dove vuole arrivare?
In fondo, queste sono cose dette e stradette, utili come  un set di degustazione del tartufo, non c’è niente di nuovo.
Il punto è che io vedo solo le negatività, ma se c’è tanta gente che fuma… bèh, non voglio pensare che sia solo perché fa figo!
Perciò, cari fumatori, attendo da voi un elenco: voglio 10 buoni motivi per iniziare a fumare (e continuare).


Se me li darete non solo non scoccerò più, ma andrò dal tabaccaio più vicino e comprerò due pacchetti di sigarette, uno per il vincitore che avrà elencato tutte le sue 10 motivazioni, e uno per me.
Giuro che me lo fumo tutto.
Aspirando.

Lo giuro.

Resto in attesa fremente…

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14 marzo 2007 3 14 /03 /marzo /2007 23:10

Era una calda domenica di luglio di cinque anni fa.

Con i miei amici stavamo arrostendoci al sole nel verde prato della spiaggia antistante il lago quando uno di loro, noto per l’arguzia e la capacità immensa di rompere le balle (Nicola, ti voglio bene lo sai!!!!!) mi fece notare un raccapricciante aspetto del mio corpo: tenevo le dita del piede destro contratte, come se camminassi in punta di piedi.
Non molto sexy, a dire il vero…

Vado dalla mia dottoressa e lei prontamente mi informa che, ovviamente, io ho seri problemi psicologici, sono stressata ed a un passo dall’esaurimento nervoso e questa non ne è che è la logica conseguenza, il ribaltamento sul mio fisico del mio traballante stato emotivo, bla bla bla.
Certamente.
Dopo aver frenato la lingua con uno sforzo titanico per evitare di sfancularla, me ne esco ed archivio l’argomento piede come un banale aneddoto da raccontare.
Anche se ogni estate torna alla ribalta tra i miei amici che, detto tra parentesi, debbono essere feticisti folli per aver voglia di osservare i miei piedi in questo modo ossessivo.

Hanno pure scoperto che ho il piede greco, mica cazzi.
Che ti guardi, i miei piedi?

Anche perché non è che siano la parte migliore di me.
Tra l’altro.

Passano gli anni.
Cambiano le mode.
Si alternano le stagioni.
Il piede inizia  farmi male.
Non un dolore insopportabile, un fastidio fino fino, specie di notte.
Ecco non esattamente un dolore, ma un fastidio, una specie di tensione.
Allora, mi sono detta, perché non approfittare della competenza e della prontezza del sistema sanitario italiano?
Faccio la richiesta e dopo innumerevoli traversie mi danno l’appuntamento.
Tra tre mesi. Vabbè, io non ho urgenza, quindi non mi pesa aspettare.

Arriva la fatidica data.
Prendo un permesso dal lavoro e vado.
Pago il ticket.

Il simpatico addetto alle informazioni di settantanni, somigliante in maniera inquietante al vecchietto che negli spaghetti western passa le sue giornate sulla sedia a dondolo in veranda col cappello sugli occhi e una pipa in bocca,  conosce la perfetta dislocazione dello studio del podologo come io conosco a menadito la fisica quantistica.
Dopo girovagare a vuoto e mero peregrinare per i meandri della ASL, mi dicono che ho sbagliato palazzina.
Devo riprendere la macchina, nel traffico, recarmi in un’altra struttura e lì il mio destino si compirà.

Raggiungo finalmente il luogo predestinato.
Almeno non c’è fila: entro subito.
Il dottore mi guarda, e subito sentenzia: “Lei, signorina cara, è tutta storta
Ma grazie, che bel complimento! Chissà quante donne avrà conquistato così!!!!!!!
Mi fa togliere le scarpe, passeggiare su di un tappetino ipertecnologico e per magia sullo schermo del suo PC compaiono i miei piedi.

Dottore: “Dunque, signorina… Come le dicevo lei ha un po’ di problemi
Phoebe: “Ehm… mi dica…
Dottore: “Ha il bacino ruotato, più alto a sinistra
Phoebe: “Ah.”
Dottore: “E una spalla più alta ed una più bassa. Nello specifico, la destra è più alta
Phoebe: “Ah.”
Dottore: “Insomma, compensa
Phoebe: “Ah.”
Dottore: “Ma poi ha una gamba più lunga dell’altra”
Phoebe: “Ah.
Dottore: “
Phoebe: “
Dottore: “

Phoebe: “E quindi?”
Dottore: “Ma lei ha dolori?
Phoebe: “No, vabbè, dolori no…
Dottore: “Ok, allora niente. Faccia stretching!
Andiamo parecchio bene... io non mi tocca manco le punte dei piedi con le gambe tese, sono figlia degenere di mia madre yoga...

Pensavo di aver scampato alla grande ogni pericolo, quando dal nulla emerge una dottoressa giovane e grassa che mi fa: “Ora guardiamo i piedi”.
Ah.
Bene.
Feticista?
Ok, ok. Mi tolgo scarpe e calze.
La tipa, dall’aria poco raccomandabile, passa la successiva mezz’ora a sprimacciarmi le mie povere estremità come fossero palline di pongo. completamente incurante delle mie proteste, passa con occhio vigile la ronda sui miei piedi.
Diagnosi: alluce valgo.

Non mi devo preoccupare, mi ha detto, perché è molto comune e se non sento dolore non è un problema grave: un plantare e passa la paura.

 
Peccato che oggi mi faccia male.
La mia ipocondria si sta forse scatenando?
In effetti, sono piuttosto ossessionata da tutta questa faccenda.
O sarò forse tocca come sosteneva la mia dottoressa?
Che ero un po' storta, in fondo, si sapeva...
La cosa più assurda è che quetso mio essere paragonabile ad un'opera di Picasso pare sia dovuto al fatto che ho portato la macchinetta ai denti.
Modificando l'assetto della bocca, si è modificato a lungo andare anche quello del corpo. proprio come se la bocca fosse la mappa per il resto di Phoebe.

Lo sapevo che alla fine la colpa era del dentista...

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9 marzo 2007 5 09 /03 /marzo /2007 00:52

A volte vivendo la propria realtà quotidiana, fatta di complicate relazioni sentimentali, sofferenze assortite e semplici fastidi, è facile dimenticarsi che possano esistere relatà diametralmente opposte.

No, tranquilli.

Non ho intenzione di tirar su un pippone sulla fame e le malattie nei paesi del terzo mondo cottrapposte all'abuso di scarpe a stiletto nei paesi cd. "civilizzati". Queste sono cose che oramai sono trite e ritrite, fatte apposta per intenerire sotto Natale e dimenticarsene a Capodanno. Se proprio volete dare una mano, allora aderite al progetto Pangea.

 

Ma non divaghiamo.

Io parlavo del rovescio della medaglia, del raro caso che intenerisce il cuore di ogni donna più di un cucciolo di labrador abbandonato sotto la pioggia: l'uomo che soffre per amore.

 

Raro come il quadrifoglio, non è pur tuttavia una figura mitologica. Esiste, e non solo nelle canzoni di Tiziano Ferro.

E così mi capita di imbattermi in una storia quasi speculare a quella che accade a molte donne loro malgrado: innamorarsi di una persona già impegnata e che non ha nessuna intenzione di divincolarsi dal proprio rassicurante rapporto.

Né, ovviamente, di allontanare noi.

Anzi.

 

Già, a quanto pare i campioni di tenuta-del-piede-in-due-staffe non sono solo penemuniti, ma abbiamo validi esponenti anche nel sesso femminile.

Assurdamente irreale. Ma vero, cacchio.

 

Succede quindi che la suddetta campionessa tenga in scacco un mio caro amico oramai da un tempo sufficientemente lungo da poterla definire senza remora alcuna STRONZA (abbreviando per comodità in S.).

Sì, mi rendo conto che è un po' forte, ma proseguendo nel ragionamento mi darete ragione.

S. vive nella piccola ed addormentata provincia italiana, è fidanzata da tempo immemore probabilmente con il suo primo amore delle medie e vive in apparenza una vita da perfetta figlia e fidanzata.

Ma non è tutto oro quello che luccica.

S. non è poi così soddisfatta della sua vita tranquilla come vorrebbe sembrare.

Ci deve proprio essere qualcosa che le manca, se il suo ruolo sociale di fidanzatina innamorata le va un pochino stretto. Così stretto da dover cercare un appoggio esterno al suo rapporto.

Ed ecco arrivare di gran carriera il mio amico.

Un diversivo?

Un passatempo?

O un colpo di fulmine di cui non si può fare a meno?

Destino? Noia?

Non ci è dato sapere, come sempre accade in questi frangenti.

Fattostà che inizia una "relazione" molto celebrale, ma anche occasionalmente fisica, con un mio amico di lunga data (che da qui in poi abbrevierò per ragioni di semplicità e chiarezza, con A.) che tutto si aspettava meno di venire travolto.

Un po' per i motivi legati ai misteri dell'innamoramento, un po' perché come tutti anche A. è attirato morbosamente da quello che non può avere e si strugge per questo, ballonzolando al limite della depressione.

S. ovviamente non si tira indietro, altalenando momenti di grande presenza (telefonica) e di incontri furtivi a giorni di assoluto silenzio pneumatico con maestria estrema.

Cosa dovrebbe fare A.?

Ovviamente, mandarla a quel paese, archiviarla ed andare oltre.

Banale a dirsi, come banale è ricordare che al cuore non si comanda.

E poi non è mica facile giudicare da fuori. Tutti, e per prima io, sono una frana nei rapporti interpersonali.

Pensa un po’ se posso giudicare o dare consigli.

 

Ovviamente A., ferito nell'orgoglio e piccato nei sentimenti, su consiglio degli amici che lo spingono ad uscire da questo insensato vortice, frequenta altre donne.

Giusto!

Ma con loro non riesce ad essere sè stesso al 100%, il pensiero corre a S., fa paragoni tremendi ed improponibili (come si fa a battere un amore impossibile?), non ce la fa.

Così, dopo qualche uscita o al massimo una coppia di mesi, molla il colpo.

E si ricomincia da capo.

Con sofferenza un po' di tutti.

Tutto ciò porta alla nascita di giovani arpie scaricate spesso senza spiegazione o, peggio, in nome di un rapporto irrisolto ed irrisolvibile che sfogheranno la loro frustrazione su altri uomini e così via, in una piramide a crescita esponenziale.

Nei secoli dei secoli, amen.

 

Capirete bene che, analizzando e sviscerando bene la questione, dal privato siamo arrivati direttamente al problema sociale: perché ci sono tanti trentenni arrabbiati e frustrati?

Ecco il perché.

Perché ovunque tu vada c'è sempre qualche S. o qualcuno che lei ha traumatizzato.

 

Quindi, donne, la prossima volta che venite scaricate da un uomo che vi dice "Non voglio continuare a vederti, perchè sennò poi mi innamoro e non voglio soffrire più" fate una bella cosa: oltre a prendere a randellate sulle gengive lui, andate anche ad acchiappare la sua S. e passatele sopra con un tosaerba stile "Misery".

 

Zio Stephen dà sempre ottimi consigli...

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6 marzo 2007 2 06 /03 /marzo /2007 23:37

Verba volant scripta manent dicevano gli antichi.

 

Oppure, molto meno pomposamente, come diceva mia nonna “le chiacchiere non fanno frittelle”.

Ed è vero, innegabile, chiaro come il giorno.

A parole siamo tutti bravi.

Degli angeli dalle lunghe ciglia.

Bravi a dire “Ti voglio bene”, ma anche il famigerato ed annoso “Ti amo”; a fare promesse da marinaio che non si manterranno mai, anche se nel momento in cui si sono pronunciate erano vere.

Ma le parole sono labili e veloci, leggere come ali di farfalla.

Facili da portare via come foglie nel vento d’autunno.

Facili da dimenticare come le facce della gente che incontri sul tram.

Lo giuro.


Frasi, parole, momenti, che vengono rielaborati ancora ed ancora fino a plasmarli nella nostra mente sempre di più, fino a farli assomigliare alla nostra volontà.

Fino a giustificarci.

Lo faccio solo io?

 

Ecco perché le lettere hanno il loro antico fascino.

Immortale.

Il fruscio delle pagine ammassate.

Sia che parlino di amicizia, sia che raccontino terre lontane, passando per languide lettere tra innamorati. Scritte su fogli di quaderno o su carta da lettere profumata alla violetta, per secoli hanno riempito scatole piene di ricordi di signorine attempate per cui la primavera è passata troppo presto, lasciandole avvizzite e piene di scartoffie.

Postini coraggiosi ed indefessi hanno affrontato le intemperie peggiori ed i chihuahua più rabbiosi per consegnare le missive.

Lettere, cartoline, biglietti.

Ma si sa, ci vuole costanza per archiviare la memoria.

Solo le signorine di quel tempo che fu forse ne avevano a sufficienza.

E così traslochi, momenti di furia, pulizie troppo zelanti o rabbiosi attimi di dolore nel corso del tempo hanno il potere di minare le riserve di memoria su carta che tanto gelosamente pensavamo di custodire per sempre.

 

Ma, come sempre nel nostro secolo, la tecnologia ci viene incontro tendendoci la mano.

Ed eccolo, il surrogato.

La posta elettronica.

L’e-mail.

Facile, sicura, accessibile, indistruttibile come gli scarafaggi dopo un’esplosione atomica.

Comoda e virtuale, l’agile e spaziosa Gmail, prestigioso regalo di Google, ne rappresenta la versione deluxe.

Grande, grandissima. Più di 2 giga di memoria, archiviazione per argomento, possibilità di richiamare le mail per destinatario, di inglobare altri indirizzi di posta per una più facile consultazione.

 

Con un gingillino così, cosa si può volere di più?

Si può persino andare a spulciare, così per diletto, tra la posta degli anni passati.

Riscoprire mail di amanti focosi i cui bollenti spiriti hanno subito svariate docce fredde.

Ritrovare tracce di amici lontani, sorridere e mandargli una nuova mail per sapere come stanno. Ed avere una risposta entro brevissimo giro, anche se vivono all’altro capo del mondo.

Oppure far saltare fuori mail di persone che non ci sono più, che per le più svariate ragioni ci hanno abbandonato.

Mail tristi, mail allegre.

Tutto nell’etere.

 

Forse manca solo il profumo di violetta…

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3 marzo 2007 6 03 /03 /marzo /2007 11:39

Ci sono film che colpiscono, non tanto perché appartengono al nostro vissuto, ma solo perché raccontano emozioni.

E “Saturno contro” è uno di questi.

Almeno per me.

L’ultimo film di Ferzan Ozpetek è la storia di un gruppo di quarantenni che si barcamenano tra le avversità del nostro tempo, tra crisi economica, terrorismo internazionale e la paura per il contagio delle nuove malattie e sulla cui apparente tranquillità emotiva si scaglia come uno tsunami la tragedia.

Tra i protagonisti troviamo Antonio (Accorsi), sposato con Angelica (Buy) e il loro rapporto entra in crisi da quanto l’uomo ha una relazione con Laura (Ferrari), proprietaria di un negozio di fiori in centro. A sua volta Davide (Favino), scrittore di successo di romanzi per ragazzi, convive con Lorenzo (un Luca Argentero assolutamente tutto da scoprire e rivalutare), un pubblicitario creativo. Del gruppo fanno parte anche Roberta (Angiolini), amica di Lorenzo appassionata di astrologia che si droga e ha una bassa considerazione di sé; Neval (Ylmaz), traduttrice e interprete sposata con un poliziotto balbuziente e umbro DOC (Timi); Sergio (Fantastichini), che è stato un ex-compagno di Davide, nullafacente che vive con una piccola rendita eredità della madre. Paolo (Michelangelo Tommaso che per me sarà sempre Filippo, il figlio un po’ tonto di Ferri di “Un posto al sole”), appena entrato in contatto con il gruppo, laureato in medicina, grande fan di Davide e bisessuale.

Lorenzo involontario protagonista, è colpito da un ictus durante una delle loro allegre e colorate cene ed entra in coma. Sulla panca dell'ospedale gli amici veglieranno il suo sonno, in attesa della ricongiunzione del loro mondo affettivo e del ripristino dello status quo.

Intorno a loro girano meravigliosi personaggi minori, come Lunetta Savino nel ruolo della matrigna di Lorenzo e Milena Vukotic, infermiera rassegnata alla sua vita ed al suo lavoro, capace di una triste ironia irresistibile.

Il film è tutto qui, nell’attesa del dolore e della sua assimilazione.

Nello sgretolamento del mondo che la piccola “comune” si era costruito. Un mondo solido, vivo. Fatto di legami forti, tra persone diverse eppure uguali. Che si conoscono come le proprie tasche nonostante le diversità.

 

Almodovar italiano?

No, non credo. Non mi piace il paragone.

Ferzan non ha la violenta satira dissacrante di Pedro, è più un fine cesellatore di sentimenti. Gli manca anche l’esplosione colorata e lo studio del colore che caratterizza lo spagnolo.

L’unica cosa che hanno in comune è, forse, la coralità dei loro racconti ed il non aver paura di esplorare certi tipi di rapporti ritenuti “non convenzionali”. Ma basta parlare di una coppia omosessuale per essere il nuovo Almodovar?

 

Molta parte della critica non ha apprezzato il film; l’hanno definito manieristico e stantio, e forse in parte è vero.

Ma non bisogna mai dimenticare che quello che forse rende grande un film è l’empatia con il telespettatore.

E io sono quattro giorni che continuo a pensarci.


Continuo a pensare a quanto il personaggio di Roberta (abuso di droga a parte) mi somigli. Con le sue paure, le sue insicurezze e la certezza di essere un disastro su tutta la linea. Il tutto mascherato da un’allegria sopra le righe che spesso caratterizza anche me.

Nel suo peregrinare all’ospedale, non riesce mai ad entrare a visitare Lorenzo, come se non vedendolo negasse la sua malattia. E nel momento della sua morte, mentre tutti vanno a dargli l’ultimo saluto all’obitorio,  lei si ferma. Non ce la fa, non riesce a girare l’angolo arrotondato dietro al quale c’è la verità che non può più negare.

E rimane lì, incapace di superare un ostacolo troppo grande lei, incapace di vivere.

Proprio come ho fatto io.

Come se non vedere, riuscisse a modificare una realtà innegabile.

Come quando senti la sveglia, e metti il repeat per passare cinque minuti in più.  Ma non è che non ti devi alzare lo stesso, e magari dovrai pure fare le cose di fretta.

Come una pianta ha cui giardinieri inesperti hanno troncato le radici, Roberta senza Lorenzo si sente persa, senza punti di riferimento. Inchiodata ad una vita, al trascorrere dei giorni senza una bussola ad orientarla. Senza sapere cosa fare e dove andare.

Forse mi ha colpito perché è proprio così che mi sento anche io.

I miei punti di riferimento mi hanno abbandonato con motivazioni più o meno irreversibili, ed ora mi ritrovo a navigare a vista.

A dover camminare con le mie gambe.                        

Non che non sia giusto, in fondo ho 31 anni e si suppone che sia ora.

Forse ho fatto sempre troppo affidamento sugli altri, sugli affetti che credevo veri.

Ed ora è il momento di affrontare le cose. Da sola.

 

L’ultimo pensiero di Lorenzo prima dell’ictus era stato “Non voglio novità, colpi di scena. Voglio che tutto rimanga così per sempre. Anche se per sempre non esiste”.

No, non esiste.

Tutto cambia e non sempre questo è un bene.

 

Anche se non si hanno i pianeti contro…

 


PS. A scanso di equivoci, fatevi il piano astrale anche voi!

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26 febbraio 2007 1 26 /02 /febbraio /2007 23:01

In una brutta canzone sanremese di qualche anno fa, il simpatico Toto Cutugno allegramente, come festosa e trascinante solo la sua voce sa essere, cantava: “Voglio andare a vivere in campagnaaaaaaaaaa!”.

Certo, chi non vorrebbe?

 

L’aria pura invece dello smog.

Tramonti mozzafiato.

Gli uccellini che ti svegliano la mattina invece del rumore di ambulanze e clacson assortiti.

Le stelle che sembrano vicine vicine, quasi da poterle toccare.

Il lago tutto luccicante in primavera.

Il profumo delle ginestre sulle colline in primavera, che ti riempe la casa

 

MA ANCHE…

 

Ragni grandi come palline da tennis, che una vedova nera in confronto è nana.

Moscerini. Moscerini. Moscerini.

La possibilità nemmeno tanto remota che una comitiva di cinghiali venga a campeggiare nel tuo giardino accanto alle begonie di tua madre.

Il dover prendere la macchina anche solo per andare a comprare il giornale visto che i mezzi pubblici sono inesistenti e tutto ti è lontano.

Rumorosi cacciatori che la domenica mattina alle nove decidono di andare a giocare all’uomo primitivo su per le colline di casa tua sparando a qualsiasi cosa si muova, loro stessi compresi. Spero.

E, soprattutto, la totale impossibilità di avere l’ADSL.

Non sei cablato, che ci vuoi fare?

La colpa non è di nessuno, se non di quei pidocchiosi della Telecom che hanno fornito delle comodità della vita moderna solo chi vive in città.

 

In principio fu l’ADSL SAT.

Cara.

Lenta.

Umorale.

Complicata.

Rompiballe.

E soprattutto, fornita dall’odiatissima TELECOM con cui ho un rapporto, come ricorderete, che dire conflittuale sarebbe riduttivo. Diciamo che in confronto, Bin Laden e Bush Jr. sono simpatici ed affettuosi vicini di casa che passano la domenica pomeriggio a fare il barbecue e a guardare la partita.

 

Rassegnata a passare l’ISDN, schiavizzata alla linea analogica, proprio quando l’umore era nero ed il fisico provato da tanta sofferenza, ecco una luce nel buio: ARIADSL.

AriaDSL è una compagnia privata che, tramite ripetitori di onde medie piazzati qua e là ti promette la navigazione a 4 mega facile, sicura ed ad un prezzo accessibile, tramite la semplice istallazione di una parabola sul proprio tetto.

Chiamo.

“Buonasera, vivo a XXXXXXX, c’è la possibilità di usufruire del vostro servizio?”

“Sisisiisi!!”

Bene, benissimo.

Stipulo un contratto flat.

Bartolini, dopo infinite traversie, mi consegna la parabola ben imballata.

Da montare.

Costringo mio padre ad impiegare il sabato pomeriggio sul tetto.

Facciamo un buco dalla soffitta a camera mia.

Viene il tecnico.

Tutto a posto?

E invece no.

Non va.

Non funziona.

Non c’è segnale.

Una qualche cazzo di verde e ridente collinetta umbra mi blocca il segnale.

Niente da fare.

 

A parte la grande delusione e il buco che ora troneggia sopra la mia libreria (da cui temo possano farsi strada orribili creature aracnidi), il punto dolente è uno solo: non ho alternative.

Non mi resta che aspettare che piantino un nuovo ripetitore sufficientemente vicino e potente da arrivare al mio tetto, indi rimontare l’antenna e pregare.

Intanto, mi godo la connessione analogica.

 

Aiutatemi…

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Tutto quello che c'è nella mia testa...vita, amore, arte, libri, immaginazione, musica. Il tutto naturalmente immerso nella confusione più totale. Poco? Qualche volta, pure troppo!!!

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