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17 novembre 2010 3 17 /11 /novembre /2010 20:58

Quando ero piccola non è che girassero molti soldi a casa mia. No, non eravamo certo poveri, ma nemmeno ricchi. Inoltre i miei hanno sempre avuto (e hanno tuttora) quel senso di risparmio contadino che consiste nel non voler spendere nel superfluo. 
Giusto, direte voi.
Certo, spiegatelo voi ad una bambina di sette anni che Barbie Fiori di Pesco è superflua!
Non che non avessi giochi, direi una cosa falsa affermandolo.
Avevo due Barbie: Barbie Hawaii e una Barbie modello base. E poi il camper, oggetto di culto anni'80. Mitico. Non si fosse decomposto dall'uso, ci giocherei ancora.
Ci radunavamo da mia cugina, di due anni più grande. Solo femmine, ovviamente, e solo politically correct. Quelle che mutilavano le Barbie, ne masticavano le mani o sfregiavano la faccia o, peggio ancora, tagliavano via i capelli con un colpo di forbice non erano ammesse nel gotha del rosa e dei buoni sentimenti.
Ognuna arrivava con l'armamentario completo: camper, vestiti (spesso fatti dalla nonna), scarpe (made in China, e che spesso alla bambola non entravano nemmeno con la violenza) e Barbie. Le più emancipate avevano anche Ken, invidiato da tutte le altre zitelle. Più spesso ci si accontentava del G.I. Joe del fratello, riciclato a gigolò per fare più movimentate le nostre storie.
Quando una cresceva troppo per partecipare alle riunioni settimanali regalava ad un'altra le sue Barbie, tramandando i giochi come fossero tesori. E forse lo erano e lo sono.
Tralascio sulle tragedie e gli odi trascinati per decenni quando le Barbie venivano regalate ad una invece che all'altra.
Le liti per i saldi non sono niente a confronto.

E' stato bello crescere così, alimentando giorno dopo giorno i miei sogni con le storie che sapevo inventare. Io ero la più piccola, ma lo stesso ero stata eletta "Maestra delle Storie" per la mia sconfinata fantasia.
Una volta eravamo povere ragazze in campeggio sorprese da una terribile tempesta, un'altra intrepide scalatrici di montagna che incontrano uno yeti. Ma la prossima settimana saremmo state libere di essere scienziate che scoprono una pianta che cura tutte le malattie o giovani dottoresse che raggiungono in camper popolazioni che non conoscono le medicine e salvano tante vite. O anche che si perdono e raggiungono Pufflandia, per dire.

 

I pomeriggi con mia cugina e le amichette mi sono rimaste nel cuore, anche se quelle bambine da grandi non sono restate tutte amiche. Alcune si sono perse, altre sono cambiate troppo. 

Ma quei pomeriggi passati ad inventare storie sono il ricordo più bello. Ci sentivamo invincibili, capaci di tutto. Il mondo era nostro, I can be everything I want to be.
 

Non va sempre così nella vita, ma è bello crederlo.
E sarebbe bello lasciare a qualcuno le bambole che ho in eredità.

Magari qualcuno di speciale...

 



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15 novembre 2010 1 15 /11 /novembre /2010 21:32
Il mio fruttivendolo è uno di quei soggetti speciali a metà tra il biologico ed il campagnolo. Una sorta di Bigazzi alto e occhialuto, per capirsi, e dotato di una capigliatura così equivoca da creare scompiglio tra i bambini. Non vende solo frutta e verdura (quasi) a chilometri zero, ma anche prodotti fatti con la farina di kamut, legumi biologici, e mille altre cose.
Ah, e poi la mozzarella di bufala che viene su tutti i giorni dalla Puglia fresca fresca. Non solo: burrata, ricotta e chi più ne ha più ne metta.
Un bel posticino, strano per la realtà culturale del mio paesetto, ma prezioso quando non si sa che cucinare.
E io spesso non lo so.

 
E così vado a comprare la mozzarella di bufala per cena.
Entro e ci sono il fruttivendolo intento a servire un cliente, un signorotto basso e tondo, dotato di un riporto architettonicamente stupefacente, e la moglie.
Che si avvicina per servirmi: “Ciao cocca, che ti serve?”
“Salve, vorrei dei bocconcini di bufala.” le rispondo.
L’altro cliente azzarda una battuta: “Eh, con tutta l’acqua che ha fatto da quelle parti mi sa che la mozzarella questa è l’ultima. Saranno morte tutte le bufale!”
E io: “Per non parlare di tutti quegli animali d’allevamento in Veneto! Morti affogati chiusi in batteria, senza nemmeno una possibilità di fuga!”
“Eh!!!” ribatte il cliente “ma che vuoi, lì beati loro c’hanno Zaia! Lui sì che si dà da fare, prima era anche ministro! Li sistemerà tutti per bene, meglio che prima dell’alluvione!”
Devo stare zitta, devo stare zitta, devo stare zitta: “Eccerto, come no? In fondo lui è l’uomo del fare! Che poi, uno che va in giro con il fazzoletto nel taschino per far capire a tutti da che parte sta, per me è un imbecille. Mica io vado in giro con la bandiera rossa in spalla!” 
Il fruttivendolo incalza: “Che poi, che ci sarà da vantarsi ad essere della lega!”
Ma il cliente, piccato, insorge: “Eh, ma loro sono al governo! Comandano e ci vuol rispetto” E si gonfia il petto delle sue parole.
Qui insorge la moglie del fruttivendolo, un donnino alto un metro e quaranta, occhialuto come un gufo di Harry Potter: “Infatti il Governo Berlusconi se ne deve andare!! A casa! A casa! Basta!”
Le fa eco il marito: “A morte! A morte!!”
Scoppia un parapiglia, volano improperi mascherati da burla.
Io afferro la mozzarella ed esco in retromarcia senza farmi vedere. Se non me ce trovo mi c’ imbatto, diceva mia nonna scrollando le spalle. 
E a me con la Lega capita spesso, nonostante viva in Umbria.
 
Eppure stavolta avevo solo detto poveri polli…

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12 novembre 2010 5 12 /11 /novembre /2010 22:26
Mia sorella lavora sottopagata da un commercialista. Ufficialmente apre la porta e risponde al telefono, ma in realtà è più commercialista lei del bacucco che è titolare dello studio.
Sì, lo so cosa state pensando. Il morbo della cojonaggine, che porta direttamente all'essere sottopagate è insito nel nostro DNA.
A cena mia sorella mi informa che hanno un nuovo cliente, un night club che chiameremo per comodità a privacy Bunga Bunga.
“E non ti fa schifo?”
Risatina isterica: “Certo che no, pure quando il mio fidanzato ci va con gli amici...”
“Eh????”
“Sì, che c'è di male? Guardano e basta!”
“ E fanno la bava!”
Si inserisce il resto della famiglia.
“Vabbè, ma queste lo fanno per professione!” chiosa lui.
“Eccerto, scommetto che a 8 anni il sogno di quelle ragazze era di dimenarsi contro un palo e strusciarsi contro vecchi e giovani bavosi!”
“E' il lavoro più vecchio del mondo”
“Perché gli uomini sono porci da quando hanno assunto la posizione a due zampe!”
“Esagerata!”
“Porco!”
Mia madre scuote la testa, vorrebbe dire tante cose, ma mio padre la precede: “Io ci sono stato una volta, quasi trentanni fa, con il mio ex direttore generale. Sono entrato, ho ordinato un'aranciata. Ho visto quelle ragazze e ho pensato che o me ne andavo a mi sentivo male. C'era Phoebe piccola a casa e pensavo che sarebbe stato orribile se lei...”
Ecco, io mio padre lo ADORO. Sia per l'aranciata (un'aranciata in un night, non è un tesoro?) sia perché è una speranza per la razza maschile.
“Vabbè, ma sono consenzienti! Anche nei privè mica si fa sesso. Al massimo la ragazza ti dà il numero di telefono e poi la richiami” insiste punto sul vivo il fidanzato di mia sorella.
“Sei un po' troppo informato”
Lei, con risatina isterica rimarca che nonc'ènientedimale.
Le vorrei aprire la testa con un cavatappi. Possibile che lo pensi davvero?
“E poi” aggiunge “sono bisogni maschili.”
“Se permetti ai bisogni del mio compagno ci penso da me!”
“E comunque, se vai in questi posti ti manca solo di votare Berlusconi e andare in chiesa e hai fatto tris” chiude ogni discussione mio padre, versandosi il limoncello.
 
Ognuno ha la famiglia che si merita...

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11 novembre 2010 4 11 /11 /novembre /2010 12:02

Di miracoli se ne parla da sempre, fanno un po’ parte della religione cattolica e del nostro tessuto sociale. Dalla moltiplicazione dei pani e dei pesci, alle stigmate di padre Pio, passando per la guarigione miracolosa di Paolo Brosio e la madonnina piangente di Civitavecchia, i miracoli veri o annunciati sono pane quotidiano.
Ma nell’Italia delle escort minorenne e delle veline a buon mercato, il miracolo richiesto ad una donna è ben oltre quelli canonicamente sacri: è quello di essere secca allampanata, ma con le tette.

La combinazione, resa possibile da Sua Maestà il Silicone, si rivela però impossibile per la maggioranza di noi donne comuni mortali, bombardate dalle immagini televisive e delle riviste patinate. Perché, ammesso e non concesso che io abbia mai denari sufficienti (e non ce li ho proprio) ad acquistare certe marce glitterate, mi troverei davanti all’ineluttabile scoperta: non c’è niente che mi entra.
Eppure sono alta un metro e sessantacinque, per onerosi 55 kg di peso. Seppure lottando con la bilancia da tempo immemore, questo è il mio peso “forma” ed indosso una onorevole 42 della Sisley. Sono stata in lotta vana col mio peso per anni, anelando ai 50 kg come meta lontanissima ed impossibile da realizzare. Ora basta.
Forse.
L’anno passato tuttavia, una scheletrica e forse snervata commessa di un negozio chic, alla mia richiesta di u paio di jeans mi guardò come si guardano gli scarafaggi e mi apostrofò con un “non c’è nulla qui per lei” facendomi sentire come la protagonista di “Una famiglia a dieta”.
Da qui pianti e strepiti, seguiti da tentativi vani dell’Amoremio di spiegarmi che no, no sono grassa.
Ma come, avrei voluto rispondergli, l’ha detto quella lì??!
Ora, a mente fredda ma anche a cervello più libero avrei voglia di presentarmi dall’efebica commessa per sfancularla invitarla a mangiare qualcosa di diverso dallo yogurt, che magari la vita le sorride di più. Ma sul momento avrei voluto morire.
Proprio come quando si prova una taglia 44 e sta stretta.
Come da Disegual, dove ho acquistato un maglione taglia L.
Io.
Alta 1, 65 metri.
Ora mi domando come una ragazza più alta di me possa entrare in un micro maglioncino come quello da me acquistato.
Senza considerare le taglie dei jeans.
No comment.

Forse ha ragione Elio, affermando che è C'è un cartello di ricchioni, che ha deciso che l'anno scorso andava il rosso e quest'anno il blè.
Gli stilisti, ma anche le case di moda pret a porter fanno taglie sempre più piccole. Per risparmiare stoffa? Forse, mi dico io, ma creando generazioni di donne convinte di essere sempre sull’orlo della grassità estrema.
E così, convinte di non essere adeguate, rimiriamo con invidia le ragazzette senza neuroni della tv, plastificate dagli zigomi al didietro, passando per abbondanti dosi di silicone sul davanti. Le guardiamo e vorremmo essere loro, perché allora sì che saremmo giuste.
Giuste per che cosa, proprio non lo so.
Noi donne, che dovremmo aspirare a ben altri modelli più autorevoli, vorremmo essere Belen Rodriguez.

Ed è per questo che gli uomini ci fregano sempre…

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31 ottobre 2010 7 31 /10 /ottobre /2010 11:27
Più volte mi sono apertamente scagliata contro un'Italia che non mi piace più, dimentica completamente degli ideali e della morale. Un paese più preoccupato del SUV ultimo modello che delle rate per pagarlo, un'Italia che legge avida le vicende di Corona e per cui il Silvio è un uomo che si è fatto da sé. Certo, con la plastilina, però.
Poi col tempo mi sono arresa, troppo stufa e stanca per continuare a sbattere la faccia contro un muro. Ironicamente (ma in fondo nemmeno tanto) ho anche progettato di emigrare a Cuba ed aprire sulla spiaggia un bar che servisse torta al testo ed arrosticini.
Arresa, sì, e magari anche rassegnata.
Però.
Però a tutto c'è un limite.
Forse.
Non mi metterò a raccontare nuovamente il celeberrimo Bunga Bunga (così magistralmente riassunto da quei geniacci degli Elii) perché è davvero troppo schifosa.
Vorrei invece far notare il silenzio assordante intorno a questo caso, che avrebbe distrutto la carriera  di qualsiasi ovunque nel mondo, ma non in Italia.
L'unica che invoca i santi e la moralità cattolica è Famiglia Cristiana, con cui per l'ennesima volta sono costretta a concordare.
Che tempi.
Io che concordo con Famiglia Cristiana.

Non se ne parla.
Si commenta poco.
Ci si schernisce.
E Berlusconi nicchia anche lui davanti al suo peccato veniale.
 
Non sembra minorenne.
Ho aiutato un caso umano.
Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi.
 
E la gente?
E' scandalizzata, vero? No, ovviamente.
Mentre la vuota opposizione italiana urla allo scandalo nelle sue riunione al circolo ARCI popolate di vecchietti che giocano a tressette, la gente normale, il popolino che fa?
Sta davanti al plastico di Vespa, per sapere de la povera Sarah è stata uccisa nel fetido garage o nel più accogliente salotto di casa dello zio.
E se chiedi che ne pensa del caso della giovane marocchina i commenti potrebbero essere i più vari, quindi attenzione a chiedere.
Potreste ricevere le risposte che ho incassato io.
 
Però, visto che bella gnocca? Alla sua età!
Come va con le ragazzine!
Eh, dovrebbero cambiar disco, 'sti comunisti. Sembra che lui pensi solo alla fica e mica è così!
Lo vogliono martirizzare perché gli piacciono un po' le donne. E Clinton allora?
Almeno non era un trans!
 
E via cantando, riassumendo i principi cardine del celodurismo fesciòn.
Niente di nuovo sotto il sole?
No, forse. O forse sì. Sono io che sono cambiata. Stamattina, in macchina, proprio quando non ci pensavo, salta fuori dal lettore mp3 in modalità random una vecchia canzone di dieci anni fa, che va benissimo anche oggi. Anzi, è ancora più amara perché ricorda che in dieci anni niente è cambiato.
Se è peggiorato.
Ma che sei tu che fai la differenza, ed arrendendoti fai il gioco di chi ti vuole pecora e a novanta gradi pronta a svolgere il tuo piccolo ruolo nell'ingranaggio più grande della economia dei ricchi che schiaccia i deboli, ma anche i corretti.
 
E io voglio restare come sono...

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27 ottobre 2010 3 27 /10 /ottobre /2010 22:16

Un gatto è sempre un investimento.

Sia dal punto di vista affettivo, visto che pretende con occhi implorante coccole ed attenzioni salvo dimenticarsene appena una mosca gli passa a fianco e desta il suo interesse, sia economico.
Sì, economico. E non intendo solo dal punto di vista di crocchette, sabbia e veterinario. Dove la mettiamo la sua predilezione atavica per le tende ed i tappeti?
E come ci si può dimenticare del suo grande, grandissimo amore? Come quale?
Ma il divano!!!

A casa nostra il divano è un luogo sacro. Ci si mangia, guarda la tv, ci si racconta la giornata e si usa in tutti i modi per cui il progettista l'ha creato, più un paio a cui magari proprio non c'aveva pensato.

Io e l’Amoremio torniamo dopo una lunga giornata di lavoro.
Cena, camino e coccole sul divano: un must invernale imperdibile.

Ma ecco che arriva lui, il piccolo Nevruz.
Unghie puntate ad uncino sul divano, si fa strada a colpi di spada nemmeno fosse Jack Sparrow capitano dei pirati. Denti aguzzi come lo squalo dei Caraibi, pronti a tirar fuori l'imbottitura del divano in tutti i modi che l'ingegno gattesco sa trovare. E così il mio povero divano damascato blu e giallo, dono generoso dei precedenti proprietari della mia casa, è diventato all'improvviso un coacervo di fili tirati e zampate di felino.

Il mio fidanzato se l'è presa col gatto.
A dire il vero, lo voleva buttare dalla finestra quando s'è accorto del misfatto.
Ma povero Nevruz, è solo un micino!!!!
Io, che quel divano damascato l'ho amato perché simbolo della nostra nuova vita insieme, l'ho presa per quello che è: l'occasione per cedere il passo alla tecnologia ed all'eleganza di un divano nuovo. Bello. Tecnologico.
Che ci traghetti nella nostra nuova ed accogliente vita.
Che poi diciamolo: il fu divano proprio bello non era.

E così sono entrata in un negozio Natuzzi, quelli della pubblicità Divani&Divani. Con un occhio solo a dire il vero, perché immaginavo prezzi da gourmet francese e commesse come fotomodelle anoressiche e glamour. 
Nel santuario dell'arredamento fashion pensavo di sentirmi come Ugly Betty davanti a Vogue. 
E invece no. la commessa, gentilissima, mi ha accolto col sorriso, capito le mie esigenze e fatto fare un piccolo test per capire che divano comprare e cosa era meglio per me. 
E cosa esce fuori dal test? Un divano bianco, bellissimo, enorme. Elegante, ma minimale. Una casa nella casa. Di quelli che li guardi e pensi che il suo acquisto rischia di azzerare per sempre la vita sociale dell'uomo medio, figurarsi dell'uomo medio lettore.

Anche l'Amoremio che girava con il sopracciglio alzato  s'è dovuto ricredere.

E alla fine abbiamo comprato.
Non solo il divano, ma anche il dissuasore per gatti.

Sennò la prossima volta ci vola davvero giù dalla finestra...

 



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25 ottobre 2010 1 25 /10 /ottobre /2010 22:13
Non miNon mi piacciono in genere queste catene di Sant’Antonio travestite da premi, ma questo premio Happy mi è piaciuto. Prima di tutto perché mi mette allegria elencare 10 cose che mi rendono felice, poi per il pensiero carino che Coccinella ha avuto per me.
Non mi piacciono in genere queste catene di Sant’Antonio travestite da premi, ma questo premio Happy mi è piaciuto. Prima di tutto perché mi mette allegria elencare 10 cose che mi rendono felice, poi per il pensiero carino che Coccinella ha avuto per me.

Iniziamo con l’elenco, ordinatamente a casaccio:
1) Andare a cena con le mie amiche del cuore e sparlare del resto dell’universo
2) La formula quasi matematica (divano+Amoremio+gatto-rotturediscatole+camino acceso)*tutte le domeniche pomeriggio fredde
3) Un bel libro sul comodino
4) Programmare un viaggio in un paese lontano, anche se magari non accadrà mai,
5) Glee in tv
6) Il venerdì pomeriggio
7) Un pensiero inaspettato di un amico
8) Svegliarmi di colpo e accorgermi che è solo un incubo
9) Andare in libreria e starci due ore senza nessuno che ti metta fretta
10) Una carezza inaspettata o un bacio rubato dell’Amoremio (che melensa, lo so)
 
E ora passo la palla a cinque blog meritevoli che mi fanno sempre divertire:
 
 
Fateci una visitina, vi regaleranno un sorriso.

Ve lo garantisce Phoebe...
Don’t worry, be happy! piacciono in genere queste catene di Sant’Antonio travestite da premi, ma questo premio Happy mi è piaciuto. Prima di tutto perché mi mette allegria elencare 10 cose che mi rendono felice, poi per il pensiero carino che Coccinella ha avuto per me.
Iniziamo con l’elenco, ordinatamente a casaccio:
1) Andare a cena con le mie amiche del cuore e sparlare del resto dell’universo
2) La formula (divano+Amoremio+gatto-rotture di scatole+camino acceso)*tutte le domeniche pomeriggio fredde
3) Un bel libro sul comodino
4) Programmare un viaggio in un paese lontano, anche se magari non accadrà mai,
5) Glee in tv
6) Il venerdì pomeriggio
7) Un pensiero inaspettato di un amico
8) Svegliarmi di colpo e accorgermi che è solo un incubo
9) Andare in libreria e starci due ore senza nessuno che ti metta fretta
10) Una carezza inaspettata o un bacio rubato dell’Amoremio (che melensa, lo so)
 
E ora passo la palla a cinque blog meritevoli che mi fanno sempre divertire:
 
- Il cartolaio matto
-          Fatturina, sconticino… fanculino
-          Nonsolomamma
-          Me parlare donna un giorno
-          Ma che davvero
 
Fateci una visitina, vi regaleranno un sorriso.
Don’t worry, be happy!

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17 ottobre 2010 7 17 /10 /ottobre /2010 22:52
Cioè una specie di aperitivo turco, fatto di mille salsine e cosette da mangiare.
E come ad Istanbul si comincia così la cena, io per iniziare il racconto del mio viaggio partirò dal principio sfatando luoghi comuni e rispondendo per voi alle domande che mi sono state (più e più volte) fatte alla partenza o al mio ritorno da soggetti più o meno umani (e da mia madre, anche).
 
Ma vai ad Istanbul? Non è pericoloso?
Sì, lo è.
Come Parigi, Londra, New York e tutte le megalopoli. Per il resto NO, non vado a Teheran (anche se un giorno mi piacerebbe) e NO, non prevedo di incontrare Osama Bin Laden. Però se lo incontro magari ci faccio una foto insieme e ve lo saluto tanto.

 
Come si mangia d Istanbul? Ma in Turchia non sono sporchi?
Io amo mangiare le cose locali quando viaggio. Ragion per cui ho obbligato l’Amoremio all’assunzione di fermenti pre-vacanza. Bèh, potevamo farne a meno. Ad Istanbul hanno l’ossessione della pulizia.
Dalle strade ai baracchini che vendono pannocchie arrosto, castagne, simit e molto di più, tutto è pulito e ripassato. C’è da dire che non ho visto i sobborghi della città, mi sono limitata (come molti turisti) al centro e poco più, ma l’ho trovato ragguardevole lo stesso. Per quello che riguarda il cibo, in Turchia si mangia benissimo, tutto è super squisito ed i dolci sono da farsi venire il diabete (seguirà capitolo apposito, slurp).

 
Ma l’hai visti i musulmani pregare per strada?
Ma veramente no. Al richiamo del muezzin, molto tipico e mistico secondo me, i locali non fanno un frizzo e continuano con le loro “frenetiche” attività. Lo dico con ironia, perché non ho mai visto un popolo più fancazzista e rilassato dei turchi, capaci di passare a chiacchierare ore intere. Ho pensato che forse potremmo subaffittargli Brunetta per un po’.
Pregare l’ho visto fare solo nelle moschee, agli orari più impensati e molto più di quello che abbia mai visto in Italia. Un po’ invidio questo misticismo, questa fede che noi abbiamo perso.
 
E le donne in nero col burqua?
Mah, sì, non proprio il burqua, ma delle donne in nero le ho viste. Come ho visto anche altre cose. Tipo le ragazze con lo chador e uno spolverino aderente con la cinta sotto il seno che girano sole per la città. O le donne che fanno le poliziotte, o i medici, per dire. E’ una città dai molti volti, si trovano le ragazze che fumano al bar insieme agli uomini e timide donzelle accompagnate dalla madre che guardano il mondo ad occhi sbarrati.
C’è di tutto e anche di più ad Istanbul, proprio come in tutte le megalopoli.
 
Ma il caffè turco fa schifo? C’è la polvere dentro…
A me un po’ sì, anche se è una botta di caffeina indispensabile. All’Amoremio invece è piaciuto molto, e ne è diventato presto un estimatore. C’è da dire però che il caffè turco non è una abitudine turca, tutt’altro. In Turchia si beve solo in occasioni speciali (matrimonio, ricorrenze, eventi particolari) e non quotidianamente. La bevanda nazionale è infatti il çai, un tè nero molto forte che si beve con due zollette di zucchero. Lo sport nazionale è infatti sedersi ad un caffè e bere il çai a qualsiasi ora del giorno o della notte, chiacchierando per ore.
 
Ma è vero che i turchi fumano come turchi?
Sì. Molto.
Moltissimo.
Come mio suocero, per dire.
 
Se avete altre domande, anche più intelligenti, sono a disposizione.
 
A presto per le cronache di viaggio…

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15 ottobre 2010 5 15 /10 /ottobre /2010 21:20
Arrivo all’aeroporto di Fiumicino per imbarcarmi per Istanbul e compro il mio settimanale di riferimento per ingannare l’attesa ed il volo con la compagnia più economy che ci sia.
Che scopro?  
Così, a freddo, alle nove di mattina, dopo un’ora di fila sul GRA?
Lancinante dichiarazione, urlo nel vuoto, incredibile rivelazione, capovolgimento del mondo: Tiziano Ferro è gay.
Niente, davvero, sarà più lo stesso.
Ecco cosa voleva dire con la canzone sulla Carrà, mica ci ero arrivata!!!
Sono sconvolta!
Ora, a parte che lo sapevano anche i sampietrini del piazzaletto sotto casa dei genitori di Tiziano, se lui s’è fatto mille paranoie e ha sentito il bisogno di mettere al mondo canzoni allegre come la metafora della canna del gas mi dispiace sinceramente.
Per lui, ma anche per noi e le nostre orecchie.

 
Ma per essere succinti: un bel chissenefrega, no?
 
Io non capisco questa mania dell’outing. Se serve a far stare bene con sé stessi ci può anche stare, ma non vedo altra utilità.
Mi sembra come se il proprio orientamento sessuale si debba mettere sul biglietto da visita accanto al cellulare. “Piacere, mi chiamo Phoebe e mi piace il pisello. Volete sapere anche orientamento religioso e politico?”. Ma insomma, saranno cose private? Che me ne frega se il mio medico, il mio dentista o il mio salumiere è gay?
L’importante è che faccia il suo lavoro e che sia, esageriamo, magari anche simpatico e piacevole, se poi tra le mura di casa sua organizza festini sadomaso o ha una relazione consensuale col suo golden retriver che mi cambia?
Ma no, la gente DEVE sapere, per quell’inestirpabile gene della portinaia che alberga in ciascuno di noi. Magari è più sepolto in alcuni soggetti rispetto ad altri, ma il pettegolezzo anima tutti, prima arma per erigersi una spanna al di sopra degli altri.
E credo che il buon Tiziano sia stato ben consigliato nel suo fare il bucato in pubblico, magari da un lungimirante editore.
 
Detto questo, attendo trepidante il momento che cambierà la tv italiana: quello in cui Gabriel Garko, portatore insano di brillantina demodé, farà il suo outing causando il suicidio di massa di casalinghe disperate e bimbeminkia con gli ormoni in escalation critica.

Perché succederà, lo sapete vero?
 
Perché succederà, lo sapete vero?Arrivo all’aeroporto di Fiumicino per imbarcarmi per Istanbul e compro il mio settimanale di riferimento per ingannare l’attesa ed il volo con la compagnia più economy che ci sia.
Che scopro?  Così, a freddo, alle nove di mattina, dopo un’ora di fila sul GRA?
Lancinante dichiarazione, urlo nel vuoto, incredibile rivelazione, capovolgimento del mondo: Tiziano Ferro è gay.
Niente, davvero, sarà più lo stesso.
Ecco cosa voleva dire con la canzone sulla Carrà, mica ci ero arrivata!!!
Sono sconvolta!
Ora, a parte che lo sapevano anche i sampietrini del piazzaletto sotto casa dei genitori di Tiziano, se lui s’è fatto mille paranoie e ha sentito il bisogno di mettere al mondo canzoni allegre come la metafora della canna del gas mi dispiace sinceramente. Per lui, ma anche per noi e le nostre orecchie.
Ma per essere succinti: un bel chissenefrega, no?
 
Io non capisco questa mania dell’outing. Se serve a far stare bene con sé stessi ci può anche stare, ma non vedo altra utilità.
Mi sembra come se il proprio orientamento sessuale si debba mettere sul biglietto da visita accanto al cellulare. “Piacere, mi chiamo Phoebe e mi piace il pisello. Volete sapere anche orientamento religioso e politico?”. Ma insomma, saranno cose private? Che me ne frega se il mio medico, il mio dentista o il mio salumiere è gay? L’importante è che faccia il suo lavoro e che sia, esageriamo, magari anche simpatico e piacevole, se poi tra le mura di casa sua organizza festini sadomaso o ha una relazione consensuale col suo golden retriver che mi cambia?
Ma no, la gente DEVE sapere, per quell’inestirpabile gene della portinaia che alberga in ciascuno di noi. Magari è più sepolto in alcuni soggetti rispetto ad altri, ma il pettegolezzo anima tutti, prima arma per erigersi una spanna al di sopra degli altri.
E credo che il buon Tiziano sia stato ben consigliato nel suo fare il bucato in pubblico, magari da un lungimirante editore.
 
Detto questo, attendo trepidante il momento che cambierà la tv italiana: quello in cui Gabriel Garko, portatore insano di brillantina demodé, farà il suo outing causando il suicidio di massa di casalinghe disperate e bimbeminkia con gli ormoni in escalation critica.
 
Perché succederà, lo sapete vero?

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14 ottobre 2010 4 14 /10 /ottobre /2010 22:40
Ci sono coseCi sono cose che l’essere umano non può controllare, sono insite nel suo DNA, così ataviche da sfuggire anche all’analisi del DNA. 
Ci sono cose che l’essere umano non può controllare, sono insite nel suo DNA, così ataviche da sfuggire anche alle analisi più approfondite. 
Una delle peculiarità di cui l’uomo non riesce a liberarsi nonostante la morale ed il vivere civile è la tendenza a ravanare nel torbido e nel perverso. 
Quando, ovviamente, non riguardano lui in prima persona.
 
Così come se c’è un incidente nell’altra corsia della tangenziale, è normale rallentare e sperare inconsciamente di vedere sangue, morti e lamiere contorte così è interessante passare le serate assistendo alla ricostruzione con tanto di plastico della villetta di Cogne arredato con le macchie di sangue finte di un bambino vero..
Sangue, merda, morte: un bello spettacolo.
Ancora più bello se c’è anche un pizzico di sesso.
Prima c’è stata Meredith, poi Chiara Poggi, Elisa Claps, e altre che ho dimenticato rosicchiate dal clamore mediatico.
 
Ora c’è Sarah Scazzi.

Una ragazzina appena adolescente, problematica come lo sono un po’ tutte a quell’età.
Sparita, poi trovata tragicamente in diretta su Raitre. Un vero servizio pubblico, non c’è che dire. Specie per la madre, esposta al dolore più grande in diretta tv senza requie.
E’ stato lo zio? Confessa, ma poi non può essere, c’è qualcun altro. 
L'ha violentata dopo morta, sì, ti rendi conto? Oppure no, non si sa, si dice, ma anche no. 
Che orrore! Davvero, non si può sentire! Shhht! Zitta, che comincia! 
Per me è stata la cugina grassona perché era invidiosa.
Ma lo sai che la madre è Testimone di Geova? Per me sono stati loro!
L’occhio dei media acceso, le trasmissioni del pomeriggio (ma anche della sera) scatenate sull’orrore, a cercare tra le rughe e gli occhi gonfi di amici e parenti quel dolore che non vorremmo mai provare e per questo sbattuto in piazza come se fosse un esorcismo.
E poco importa se il clamore inficia il lavoro degli inquirenti: la gente vuole, ha bisogno, DEVE sapere.
La gente vuole essere lì, rimirare, guardare. Ma da lontano però, che non gli si sporchino le scarpe scamosciate con il sangue, per carità.
Che è intrigante, è vero, ma solo se non mi riguarda.
Ed il dolore degli altri, vale quanto uno speciale a Pomeriggio5.

Qu
indi non molto, ahimè...
Quindi molto poco… che l’essere umano non può controllare, sono insite nel suo DNA, così ataviche da sfuggire anche all’analisi del DNA. 
una delle peculiarità di cui l’uomo non riesce a liberarsi nonostante la morale ed il vivere civile è la tendenza a ravanare nel torbido e nel perverso. 
Quando, ovviamente, non riguardano lui in prima persona.
Così come se c’è un incidente nell’altra corsia della tangenziale, è normale rallentare e sperare inconsciamente di vedere sangue, morti e lamiere contorte così è interessante passare le serate assistendo alla ricostruzione con tanto di plastico della villetta di Cogne arredato con le macchie di sangue finte di un bambino vero..
Sangue, merda, morte: un bello spettacolo. Ancora più bello se c’è anche un pizzico di sesso.
Prima c’è stata Meredith, poi Chiara Poggi, Elisa Claps, e altre che ho dimenticato rosicchiate dal clamore mediatico.
Ora c’è Sarah Scazzi. Una ragazzina appena adolescente, problematica come lo sono un po’ tutte a quell’età.
Sparita, poi trovata tragicamente in diretta su Raitre. Un vero servizio pubblico, non c’è che dire. Specie per la madre, esposta al dolore più grande in diretta tv senza requie.
E’ stato lo zio? Confessa, ma poi non può essere, c’è qualcun altro. 
La violentata dopo morta, sì, ti rendi conto? Oppure no, non si sa, si dice, ma anche no. 
Che orrore! Davvero, non si può sentire! Shhht! Zitta, che comincia! 
Per me è stata la cugina grassona perché era invidiosa.
Ma lo sai che la madre è Testimone di Geova? Per me sono stati loro!
L’occhio dei media acceso, le trasmissioni del pomeriggio (ma anche della sera) scatenate sull’orrore, a cercare tra le rughe e gli occhi gonfi di amici e parenti quel dolore che non vorremmo mai provare e per questo sbattuto in piazza come se fosse un esorcismo.
E poco importa se il clamore inficia il lavoro degli inquirenti: la gente vuole, ha bisogno, DEVE sapere.
La gente vuole essere lì, rimirare, guardare. Ma da lontano però, che non gli si sporchino le scarpe scamosciate con il sangue, per carità.
Che è intrigante, è vero, ma solo se non mi riguarda.
Ed il dolore degli altri, vale quanto uno speciale a Pomeriggio5.
 
Quindi molto poco…

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