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18 agosto 2011 4 18 /08 /agosto /2011 11:34

Ci sono cose che mi terrorizzano molto di più di un film dell’orrore.
E sono, in genere, tutti quegli eventi che incidono nella mia vita senza che io possa far niente né per impedirli né per modificarli.
Insomma, ho paura dell’imprevisto, così come confermato (secondo eminenti psicologi e diversi siti web) dalla mia completa aracnofobia.
E vedendo i notiziari in questi giorni, c’è ben poco da star tranquilli.

Vedi le borse ed i titoli azionari crollare e poi rimbalzare, quindi crollare di nuovo.
Senti di stati grandi ed importanti come gli USA, che credevi rocce indistruttibili e castelli sicuri, essere declassati da agenzie di cui ignori la natura.
Senti parlare di default (termine che credevo appartenesse sono all'ambito sessuale, vabbè) e, francamente, proprio non capisci.
Tu non capisci, non sai, non  puoi rapportarti a tutto questo. Che succede, come andrà a finire questo mondo? E noi? E le bollette,le tasse, l’azienda per cui lavoriamo, i quattro spicci che giacciono in banca o in piccoli fondi di investimento non certo esiliati alle Isole Cayman o ad Antigua e che riaschiano di venir mangiati?
Io di economia e finanza non so una emerita cippa, non mi vergogno a dirlo. All’esame di Economia Politica all’Università avevo imparato tutto a memoria modello Cocorita e non ho assimilato un bel nulla.
Peccato.
Le uniche cose che capisco di economia sono quelle che ho imparato dovendo fare i conti con il mio stipendio e il mio povero portafogli (che non è certo di Gucci). Proprio come tanti altri italiani che non si intendono di finanza e di mercati, che non fanno brokeraggio in giro per il mondo e non hanno conti alle Isole Cayman (o, a caso, ad Antigua)
Ma vivono così, come me: con uno stipendio a fine mese, sicuro ma non troppo, e le spese da gestire. Che sono sempre tante.
 
Ogni giorno il notiziario spara notizie allarmanti e il cui significato non è sempre chiaro.
Come il futuro.
Non siamo poveri, no. Non poveri nell’accezione di mia nonna, quando la povertà non era non potersi comprare ciò che si vuole, ma non mettere insieme il pranzo con la cena.
Ma già adesso, anche se sono messa meglio di molti coetanei che lottano con la precarietà o con la disoccupazione, si naviga a vista, giorno per giorno.
 
Siamo in mano ad una classe politica che non dà fiducia a nessuno, a prescindere da colore politico. Siamo tutti sulla stessa barca, che beccheggia da morire tra l’altro.
La sicurezza, quello tanto agognata e infine raggiunta negli anni Ottanta dai miei genitori, non esiste più
E questo sconvolge sia loro che noi.
E così mio padre mi chiama, chiede consigli che né io né il mio letterato e latinista marito riusciamo a dargli e la mia frustrazione aumenta.
Insieme alla mia paura. E vorrei che ci fosse qualcuno in grado di mettermi una mano sulla testa e dirmi “Vedrai che andrà tutto benecome quando ero bambina, ma non è così che funziona.

L’Amoremio è nelle mie stesse condizioni e non riesce a dirmi cose non vere, anche se magari vorrebbe. E in certi frangenti lo vorrei anch'io.

Cosa fare?
Spegnere la televisione e affidarsi a Dio?
Sperare negli alieni?
O in un attentato islamico che faccia saltare per aria tutti nostri politici in sessione plenaria?
Ritirare tutti i soldi dalla banca e foderarci il materasso?
Cosa fare?
In che sperare?

Perché in qualcosa, fosse solo una piccola lanterna, occorrerà pur sperare…

 

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