Il mio lavoro è complicato, fatto di rapporti personali e di gestione di dati
sensibili, non solo di burocrazia spiccia e di conto di monete. Almeno io amo viverlo così, e il mio lavoro mi piace tanto. Così tanto che l’Amoremio mi rinfaccia sempre di essere una
tossica, di non saper staccare ed è vero: me lo sogno anche, a volte. Ho sognato di fare le buste paga, lo giuro. E nemmeno una volta sola.
Insomma, è così: in quanti possono dire di amare il proprio lavoro? Io sì.
Ok, mi capita di avere a che fare con la gente. Con tutti i tipi di gente, anche i più assurdi.
Anche con quelle persone che pensano che tu, anche se sei un collega, li stai certamente cercando di fregare, ma loro sono moooolto più furbi e di
certo riusciranno a sgamarti. Magari chiamando anche Giacobbo ad intervistarli, poi. Sì, come no.
Ma in genere ho tanti bravi
colleghi, eh, gente che lavora e che magari a volte rimane di stucco davanti alla esponenziale e logorroica burocrazia italiaca e allora sclera. O chiede almeno un milione di volte le stesse
cose, facendo sclerare me.
Ad ogni modo cerco di essere più gentile e comprensiva possibile, specie con quelle donne che si
avvicinano con timore alle pratiche per la marternità. E qui casca l’asino (povera bestia), nel senso che trattasi della
questione lavorativamente più spinosa che possa capitare.
Spesso per un retaggio maschilista del piffero, a cui avrei voglia
di rispondere “Ma tu sei nato sotto un cavolo? Oppure ti hanno clonato da un primate?” Col massimo rispetto per le scimmie, eh.
Non c'è giustizia e non c'è femminismo che tengano: tra un uomo ed
una donna il selezionatore medio sceglierà sempre un uomo perché, per dirlo alla perugina, non ha impicci. Poco conta se le donne lavorano meglio, sono più produttive, più sveglie, ecc.
Stereotipo contro stereotipo vince sempre quello della maternità. Quello che fa affermare che "una donna incinta poi non la rivedi più". O almeno dopo due anni.
Ché le donne, si sa.
L’argomento mi tocca molto da vicino, chiaramente, ma non posso fare a meno di chiedermi: c’è del vero? Dalla mia posizione
privilegiata, che mi permette di osservare un discreto campione della popolazione, posso solo dire che alcune donne si approfittano pesantemente dell'attuale disciplina della maternità, specie di
quella anticipata.
Lo so, non è bello detto da una donna, o forse sì.
Molte persone hanno lottato per la tutela della materità e credo che questi istituti vadano rispettati. Eppure molte donne non la pensano così, lo vedono come un evento logico. Sei incinta? E
perchè lavori? Chi te lo fa fare? Basta il certificato di uno specialista che dica che tu non te la senti ed il gioco è fatto: chi metterebbe in dubbio la parola di una incubatrice?
E allora ecco fiorire le scuse più colorite. Dal classico sono molto stanca al fantasioso la testa non m'accompagna, passando per sono gli ormoni, salvo poi prodursi in
fantasiose attività ricreative documentate dall'immancabiel Facebook.
Alla faccia dell'INPS, del datore di lavoro e dei cadaveri di coloro che hanno lotatto per la sacrosanta tutela della maternità.
Io, se fosse concesso, queste future mamme le prenderei a schiaffoni. Primo perché offendono tutte quelle donne che hanno davvero
bisogno di stare a casa, e secondo perché buttano benzina sul fuoco del maschilismo esasperato che domina l'Italia.
Che carina la mentalità italiana, in tanti anni non è cambiata di una virgola. La donna, se può, deve stare a casa, anche bluffando.
O frodando lo Stato, perchè questo è.