L’ho cominciata il 28 agosto e finita ieri. Per me che leggo a ritmi vertiginosi, un record negativo assoluto.
Non per questo mi è piaciuta poco, anzi.
Solo che certi libri vanno letti coi loro tempi, che son diversi da quelli moderni. Vanno fatti decantare, occorre aspettare d’esser pronti, di aver capito tutto, di essere entrati in punta di piedi nell’alta aristocrazia russa della fine del 1800 e di vederli i personaggi della storia.
Vederli lisciare una gonna, acconciarsi i capelli o tormentarsi un favorito con sguardo noncurante.
Tolstoj ha il grande pregio di disegnare i suoi personaggi senza descriverne l’aspetto fisico, rendendoli magicamente vivi della loro luce interiore.
Senza pietà analizza l’aristocrazia borghese e liberale del suo tempo, viziata e nullafacente, indebitata e pigra, troppo impegnata a rimirarsi, a fare visite di cortesia e riceverle ed a andare a teatro (per sparlare degli altri) per lavorare o produrre qualsiasi cosa possa somigliare ad un lavoro.
La storia (e il finale) lo sanno tutti, così come l’incipit che credo sia, anche giustamente, il più noto della storia della letteratura mondiale. Pertanto non vi tedierò con queste risapute e nozionistiche amenità, e vi regalo alcune brevi riflessioni:
- se è innegabilmente vero che questo libro contiene pagine vivide e bellissime e che Tolstoj rende omaggio a Calliope in ogni sua parola scritta, la terza parte, in cui Levin sproloquia per pagine e pagine e pagine sulle prospettive della politica agricola russa e se sia meglio l’antico feudalesimo oppure la moderna mezzadria (per non parlare del pollaio) sono state per me come un incudine poggiato sugli attributi che non ho. Ho seriamente pensato di mollare e non l’ho fatto solo per tigna. No, l’ho fatto anche perché m’ero convinta che Tolstoj l’avesse messo lì apposta ‘sto muro, per scoraggiare i meno convinti. Tiè, Lev, t’ho fregato!
- Anna Karenina viene dipinta nelle varie trasposizioni cinematografiche come una gnocca supersonica, e anche io non posso far a meno di immaginarla con il viso ed il corpo di Greta Garbo, incastonata in un quadro di Tamara De Lempicka. Eppure Anna era sì la perla dell’aristocrazia di Pietroburgo, ma secondo i canoni dell’epoca, non i nostri. Insomma, era un po’ tarchiatella, per dirlo con estrema gentilezza. Lo ribadisce anche Tolstoj, accostando in più di un’occasione l’aggettivo, oggi socialmente sconveniente, grasse alle braccia di Anna. Il resto era tabù, quindi non sapremo mai. Però il sospetto ce l’ho.
- Vronskij oggi in Umbria lo chiameremmo un pancottone. Privo di qualità morali, vive dell’apparenza che le cose danno. I suoi rapporti con Anna, con la figlia, ma anche con la madre o con chiunque lo circondi sono improntati all’apparenza, allo scorrere delle cose, a quel che ci si aspetta lui faccia. Anche quando Anna sta per morire per le complicazioni del parto, l’unica cosa che riesce a fare è piangere, prima, e tentare il suicidio, poi. Utile, eh. Se fossi stata Anna u po’ me la sarei presa. Meglio Aleksei Aleksandrovič, che nonostante sia marito cornuto fuor d’ogni dubbio non perde la propria dignità (In quel momento, eh. Poi la perderà abbondantemente in seguito…).
- Il mio personaggio preferito è Levin, col suo amore inconsolabile e puro verso Kitty. Potrebbe quasi diventare il mio uomo ideale se non decidesse, inopportunamente, di darsi alla religione proprio alla fine del libro. Come farà lo stesso Tolstoj verso gli ultimi anni della sua vita. Ma nessuno è perfetto, nemmeno lui.
Finisco qui, con la considerazione che le declinazioni di nomi e cognomi russi farebbero impazzire chiunque sia sano di mente.
E invitandovi a riscoprire i classici che non avete letto in giovane età. Sono faticosi, alti come montagne e a volte leggermente fuori moda, ma regalano grandissime soddisfazioni.
Io, appena mi riprendo (e mi riprenderò divorando Le cronache del ghiaccio e del fuoco), mi tufferò su Moby Dick.
Ditemi in bocca al lupo. Anzi, alla balena…